laR+ Il ricordo

Ricordo di Fabrizio Mena

La vita è una lotta per tutti, ma per alcuni, i più sfortunati, è una condanna senza appello, una prigione senza l’ora d’aria. Fabrizio Mena era ben consapevole ch’era solo questione di tempo e che la luce si stava spegnendo. Ciò nonostante continuava a combattere, lungo un cammino costellato di visite, di consultazioni, di emodialisi. Non si dava per vinto, pur intravedendo la fine del viale.

Persona gentile, tanto colta quanto modesta; insegnante scrupoloso e disponibile, Mena è stato soprattutto uno studioso del nostro Ottocento, con un occhio di riguardo per la produzione cartacea di questo secolo denso di fervori patriottici e di intensi apostolati per l’autodeterminazione dei popoli. Il secolo del «fuoco della rivoluzione», per riprendere il titolo di un ponderoso saggio di Christopher Clark. Con la tesi di dottorato Stamperie ai margini d’Italia (Premio Migros 2001), Fabrizio raccoglieva l’eredità di Giuseppe Martinola, pure lui minuzioso indagatore di gazzette, riviste e fogli volanti stampati tra il crepuscolo della Cisalpina e i fermenti della stagione risorgimentale. Frequentare gli archivi italo-svizzeri voleva dire inoltrarsi in una selva popolata da agitatori, libellisti, editori e librai, pubblicisti di vario orientamento, molti dei quali in fuga dal Lombardo-Veneto controllato dagli austriaci. Com’è noto, passarono di qui Mazzini e Garibaldi. Cattaneo scelse di rimanere in Ticino fino alla morte.

Che Fabrizio, con questo curriculum alle spalle, dovesse figurare tra i collaboratori della nuova Storia del Canton Ticino curata da Raffaello Ceschi appariva naturale, scontato. Sei i capitoli da lui redatti per il primo tomo, dedicati al filantropismo liberale, a giornalisti, editori, esuli, alla pubblica istruzione, all’assistenza e prevenzione, agli esuli di fine secolo, più un capitolo scritto con Ceschi sulla salute del popolo. Un’altra impresa che lo vide co-artefice assieme a Ceschi e Marco Marcacci fu la pubblicazione dell’Epistolario di Stefano Franscini (due grossi volumi) e più tardi, come curatore unico, della raccolta, sempre del Franscini, degli Scritti giornalistici (1824-1855). Ancora una volta il suo sguardo si appuntava sul lato sociale delle vicende umane, sulle istituzioni, sulle dispute e i contrasti che attraversavano la società, i partiti e le associazioni. A questa attività si aggiunse poi la cooptazione nel comitato redazionale dell’Archivio storico ticinese (Ast), la rivista di cultura semestrale edita da Fabio Casagrande, sulle cui pagine Fabrizio non faceva mai mancare un suo articolo, una sua noterella o una sua segnalazione.

Negli ultimi anni, quelli più tormentati dalla malattia, Fabrizio aveva lavorato a opere collettive, come la storia del Partito Agrario (poi Udc) e lo studio del profilo intellettuale di Vincenzo Vela, con un’incursione nella contesa politica del dopoguerra (carteggio dal 1993 al 2017 tra Giovanni Maria Staffieri e Benito Bernasconi).

Come tutti gli storici Fabrizio aveva in mente altri progetti, altri soggiorni in archivi e biblioteche pubbliche e private. Purtroppo il decesso ha stroncato tutto questo, privando la famiglia del suo affetto, gli ex allievi del Liceo 2 di Lugano del suo sapere e la comunità dei ricercatori del suo apporto sempre lucido e rigoroso.