Nei primi giorni del 2025 sono apparsi i risultati di vari sondaggi che misurano il grado di felicità e benessere nel nostro Paese. Facendo qualche paragone ci si imbatte in un interessante paradosso: secondo il World Happiness Report saremmo il nono Paese più felice al mondo, ma il barometro della speranza dell’Università di San Gallo ci mostra un’immagine un po’ diversa, e cioè quella di una nazione dove due terzi dei cittadini sono spaventati da un possibile e drastico abbassamento della qualità di vita. Se a questo dato aggiungiamo anche la classifica dell’Expat Insider Report che misura la cordialità di una popolazione verso gli stranieri, dove deteniamo un misero 46° posto su 53, e i due o tre suicidi (escludendo quelli assistiti) registrati ogni giorno dall’Osservatorio svizzero della salute, possiamo dirci davvero felici?
Intervistato dal Tages-Anzeiger, il filosofo finlandese Frank Martela – il cui Paese da anni si aggiudica il primato della felicità – sottolinea come spesso il benessere di una popolazione sia legato alla situazione economica in cui versa, ma che essa non basti a spiegarlo del tutto: se in Finlandia le persone sono più felici che in Germania, in Inghilterra o in Svizzera non è per la maggiore ricchezza, bensì per il fatto che vivono in una società caratterizzata da un forte senso di fiducia sia verso il prossimo che verso le istituzioni. Ed è infatti proprio la speranza che sembra mancare all’87% degli intervistati nel sondaggio dell’Università di San Gallo, che ritiene come piuttosto o molto probabile un futuro fatto di sovrappopolazione, distruzione ambientale, malattie e conflitti. Sembrerebbe che la nostra felicità – costruita soprattutto sulla ricchezza – stia cominciando a vacillare e che non basti più a garantirci una visione ottimistica del futuro. Anzi: forse è proprio ciò che abbiamo accumulato e che temiamo di perdere a renderci tanto incerti e spaventati. E qui torniamo al problema della cordialità verso gli altri, di cui siamo ahimè tradizionalmente un po’ carenti, e che denota una mentalità chiusa e diffidente, proprio il contrario di ciò che serve per affrontare la vita con gioia e senza paure. Purtroppo, come sottolinea sul Tages-Anzeiger Markus Freitag, professore di Scienze politiche presso l’Università di Berna, in Svizzera stiamo assistendo anche a un declino del capitale sociale, e cioè della coesione e della generosità tra gli individui, che dal punto di vista statistico si tramuta in una diminuzione delle associazioni sportive e/o culturali e del lavoro di volontariato; anche nei sondaggi l’altruismo non figura più tra le qualità che i genitori vorrebbero vedere nella propria prole.
Se vogliamo dunque che la Svizzera resti un Paese felice, dobbiamo puntare sulla generosità e sul dialogo e promuovere la coesione. In questo modo alimenteremo anche la speranza e contrasteremo la preoccupante polarizzazione tra fazioni opposte, fenomeno nel quale non sguazzano solo habitué come Elon Musk, ma anche tanti nostri politici locali.