laR+ I dibattiti

Come una borsa di plastica in pieno vento

(Ti-Press)

Lunedì scorso, durante la trasmissione ‘Democrazia diretta’, il senatore Fabio Regazzi si è messo a urlare, scomposto come una borsa di plastica in pieno vento, il re è nudo. Senza accorgersi che, in quel momento, il re nudo era lui. Intorno al minuto 50, il giornalista della Rsi Paolo Ascierto ha infatti avuto l’indelicatezza di ricordargli che, è vero, molti ticinesi non pagano le tasse, ma perché i loro stipendi o le loro pensioni non lo rendono possibile. Il politico e imprenditore Regazzi, invece di dire che sì, il problema esiste, ha mosso la testa in qua e in là, come raggiunto da una sberla di realtà. Ha alzato la voce, si è proteso verso la telecamera, ha minacciato, sbraitato, intimidito il giornalista, reo di essere intervenuto nel dibattito, invece di limitarsi, come nei patti, a passare il microfono, annuire, e magari, perché no, ogni tanto baciare la terra dove passano i potenti. O supposti tali.

Questo è quello che ha detto, ma forse non quello che è successo veramente. Perché il fatto che un giornalista, documenti alla mano, contesti o precisi l’affermazione di un rappresentante delle istituzioni dovrebbe essere prassi. Paolo Ascierto, dunque, non solo non è stato irrispettoso nei confronti del consigliere agli Stati, non è neppure stato particolarmente bravo: ha agito secondo normalità. Ha fatto il suo dovere.

E dunque la reazione da marchese del Grillo deve far riflettere in almeno due direzioni. Da una parte indica che il giornalismo sta faticando molto per rimanere, compiutamente e autorevolmente, il quarto potere, dato il clima di palese intimidazione che spesso innesca una triste forma di autocensura. Dall’altra parte denuncia un atteggiamento, ormai percepito come normale, scopertamente arrogante di un numero sempre maggiore di politici. Complici i social, sui quali ognuno può affermare tutto e il contrario di tutto, protetto dalla bolla genuflessa degli amici, il passaggio alla tv, alla radio o sui giornali non è più inteso come un dovere democratico, un esame della preparazione e capacità argomentativa del mondo politico, ma come un diritto acquisito.

Ma allora, per tanto così, è lecito chiedersi se ChatGpt non farebbe il lavoro dei politici meglio di loro, perché in assenza di confronto, in assenza di un giornalismo incisivo, assetato di contraddizioni e di storpiature del reale, l’intelligenza artificiale garantirebbe almeno un po’ di contenuto. Oppure, dato che una certa politica in televisione crede di dover essere soltanto ammirata per le sue formule retoriche, scegliamo almeno tra quelli che hanno il dono della parola e della metafora ardita. Sarà più facile per la cittadinanza non vedere il re nudo.