I dibattiti

Dallo Stato estensivo allo Stato intensivo

Non abbiamo bisogno di ridistribuire ciò che c’è e scarseggia, ma di creare valore aggiuntivo da ridistribuire. Tramite produttività e innovazione

Sergio Morisoli
(Ti-Press)

Stiamone certi, la decrescita felice ci porterà dritti nelle braccia di nuovi totalitarismi. Per non ritrovarci come la “rust belt” americana, c’è solo un modo: puntare su una scommessa forte. Cioè creare l’intesa civile oltre la politica partitica per sostenere un “Patto Paese” per la crescita; cioè produrre maggiore reddito da lavoro (salari) e da impresa (utili); generare occupazione (posti di lavoro per residenti) e aumentare la produttività (rapporto tra input e output economico). Non si scappa, occorre invertire la rotta. Dobbiamo abbandonare la fissa della ridistribuzione garantista attraverso lo Stato, per abbracciare la fissa della creazione di ricchezza attraverso il lavoro. Non abbiamo bisogno di ridistribuire diversamente ciò che c’è già e scarseggia, urge creare valore aggiuntivo da ridistribuire. Tutti gli studi ci dicono che siamo bassi in produttività, innovazione, attrattività, valori aggiunti e marketing territoriale, punti essenziali da recuperare in fretta. A supporto di ciò ci vuole una modernizzazione dello Stato: da Stato estensivo a Stato intensivo; o, se si vuole, dallo Stato assistenziale allo Stato della crescita.

La spesa pubblica sta diventando il problema, non la soluzione

Il ruolo della spesa pubblica va ridimensionato e soprattutto va ormai sfatato il mito dell’effetto moltiplicatore che essa genererebbe. Infatti toglie a qualcuno per dare ad altri, ma non genera più nulla in più. La globalizzazione e l’accentramento delle decisioni politiche hanno annullato l’effetto leva un po’ ovunque in Occidente, figuriamoci localmente da noi! Per questo occorre fare solo ciò che è necessario, non ciò che la politica fantasiosamente suppone potrebbe essere “nice to have”. La spesa pubblica sta diventando il problema, non la soluzione. La sua inefficienza e inefficacia in molti campi è lì da vedere. Rispetto a 10 anni fa, spendiamo centinaia di milioni all’anno in più; e con ciò siamo più sicuri, più sani, più istruiti, più mobili o più benestanti? No, non hanno migliorato il malessere sociale e l’esclusione che crescono in continuazione; come i milioni spesi in più all’anno nell’educazione non hanno migliorato la prospettiva per i giovani, la loro qualifica e il mercato del lavoro. Quindi, da una parte spendere meno e meglio; dall’altra lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini e delle imprese.

Lo Stato tuttofare spreca soldi

Ci vogliono condizioni nuove per rilanciare la crescita, ed è compito della politica; ci vogliono buoni progetti, ed è compito del privato. Lo Stato tuttofare con ruoli ambigui spreca solo soldi e tempo. Ripeto, non sono i tempi dell’abbondanza, un po’ a te e un po’ a me; sono i tempi delle azioni efficienti ed efficaci. Quindi occorre puntare su chi è più efficiente ed efficace a fare cosa; significa decidere, selezionare, agire, esporsi e rischiare. E i privati lo fanno meglio dei politici, perché lo fanno con i loro soldi, non con quelli degli altri, e lo fanno per guadagnarci. In politica invece occorre uno schema di ragionamento nuovo: si devono fare le cose utili, necessarie e che hanno probabilità di successo; non per salvare ciò che da tempo sarebbe già sparito, o imbarcarci in finte iniziative economiche che altro non sono che accanimento terapeutico. I soldi casomai ci vorrebbero per supportare quella “creatività distruttrice” economica di mercato cara a Joseph Schumpeter; unico processo che crea ricchezza, competitività e benessere costanti.

Riattivare famiglia e azienda

Il liberalismo riprenderà quota se, invece di rincorrere neo-utopie politically correct, tornerà a riattivare i suoi due motori principali per produrre prosperità: la famiglia e l’azienda, garantendogli un contesto di libero mercato e di libera iniziativa. Dall’altra parte, lo Stato avrà un ruolo ancora importante a condizione che i pilastri del suo agire per il bene comune – scuola e welfare – vengano radicalmente riformati. Cioè, per cominciare, nel primo caso distinguendo tra istruzione ed educazione; e nel secondo caso tra bisogni finanziari e necessità di servizi. Infine, per un Patto Paese, smettiamola di confondere la libera capacità di voler stare assieme con la delega allo Stato dell’obbligo di tenerci assieme.

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