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Berger go home?

Non abbiamo mai condiviso una concezione “pettegola” della politica (purtroppo oggi dominante) che va a cercare in questa o quella persona l’origine di ogni male. Per questo affrontiamo le discussioni che chiamano in causa singole persone solo quando queste rappresentano una politica, o la sua concretizzazione, esulando dagli aspetti strettamente personali.

Non vi sono dubbi che Emanuele Berger, potente direttore della Divisione scuola nonché coordinatore del dipartimento – chiamato a questi ruoli con l’avvento di Manuele Bertoli a capo del Decs – rappresenti uno di questi casi: cioè di persone che incarnano nella loro azione una ben precisa concezione politico-scolastica, interpretando nel loro ruolo quella certa idea di scuola che ha dominato almeno negli ultimi 10 anni.

La ragione per la quale abbiamo espresso l’interrogativo che dà il titolo a questa breve riflessione è che proprio quella domanda ci è stata sottoposta a più riprese, nelle ultime settimane della campagna elettorale, da numerose persone attive nel mondo della scuola, a cominciare da persone che si situano “a sinistra”. Per la verità (ma rientra in fondo nello stesso tipo di interrogativo), una medesima richiesta ha investito anche altri dirigenti nominati da Bertoli in questi anni alla testa delle strutture di direzione del Decs, a cominciare dalla responsabile della Divisione della cultura Raffaella Castagnola.

Go home? A casa? Lascia l’incarico? Viene sostituito? Sono queste le formule condivise di un’aspettativa ora realizzatasi: il presupposto era che Marina Carobbio riprendesse il Decs. Ma a questo si aggiungeva un sottinteso: e cioè che Carobbio avesse (ed abbia) una visione della scuola e della sua conduzione (così come della cultura) diversa da quella che fino a oggi ha contraddistinto la direzione del Decs con Manuele Bertoli. Non vogliamo qui avanzare ipotesi su che cosa pensi la nuova consigliera di Stato del modo con il quale è stata condotta la scuola negli ultimi anni, e neppure ci ha aiutati a capirlo il contenuto della sua campagna elettorale (se non per qualche generico accenno a una volontà di ascolto delle istanze provenienti dal mondo della scuola); quel che è certo è che il Ps, i suoi organi direttivi, il gruppo parlamentare (e chi più ne ha più ne metta) hanno sempre sostenuto totalmente l’azione del Decs e di Bertoli.

Certo, in confidenza e bisbigliando, alcuni di questi stessi esponenti del Ps esprimevano critiche a Bertoli e a Berger, magari sostenendo che quest’ultimo dovesse essere prima o poi rimosso perché “cattivo consigliere”: ma la fiducia nel consigliere di Stato e negli orientamenti che si sono affermati nel suo Decs in questo ultimo decennio non è mai venuta meno. Solo quando la sua rinuncia è diventata esplicita alcune voci (anche quelle di fedeli soldatini di partito) si sono fatte sentire, sia pur timidamente, in forma pubblica.

Berger, come abbiamo detto, ha incarnato alcuni dei peggiori aspetti di questo declino del mondo della scuola. Pensiamo, ad esempio, al prepotente prevalere di quell’orientamento tutto incentrato sulla priorità di un tecnicismo pedagogico-didattico che ha mortificato il ruolo della conoscenza e del sapere come elementi fondamentali del progetto scolastico. Pensiamo all’insistenza con la quale, in testi programmatici (Piano di studi della scuola dell’obbligo) e in iniziative di aggiornamento si è voluto imporre il credo fideistico in una scuola delle competenze!

La politica portata avanti dalla Divisione scuola nei confronti dei docenti a suon di disposizioni, vincoli, restrizioni e velate minacce ne ha sistematicamente ridotto le possibilità partecipative ai processi di decisione nel mondo della scuola, quando anche non ha contribuito ad avvalorare l’idea degli insegnanti come forza conservatrice, pronta a difendere i propri privilegi e resistente al cambiamento.

Senza dimenticare le numerose misure che hanno reso sempre più difficile, caricandolo tra l’altro di numerosi compiti amministrativi, il lavoro dell’insegnante, reso semplice esecutore di programmi e direttive che incidono sulla qualità del suo lavoro ma sui quali nulla ha potuto dire.

Berger è stato il frontman di questa politica, condivisa con il suo capo Bertoli. Difficilmente potremmo separare le responsabilità, individuando chi tra i due abbia più influenzato l’altro. Ad esempio, la sufficienza vicina al disprezzo – non riusciamo a trovare altri termini – che ha accompagnato spesso le esternazioni di Bertoli nei confronti dei docenti, è sicuramente tutta farina del suo sacco, ma ha indubbiamente trovato in Berger un sostegno importante.

Ora Bertoli finalmente se ne è andato, dopo tre legislature nelle quali ha dato un contributo importante a un netto e chiaro peggioramento del clima interno alla scuola ticinese in tutti i suoi aspetti principali. E non sorprende che De Rosa abbia voluto rinunciare ad assumere la direzione del Decs pur avendone la possibilità: non vi sono dubbi che oggi il Decs sia una vera e propria “peppa tencia” rimasta nelle mani di Marina Carobbio.

Naturalmente non basterà spostare uno o più funzionari dirigenti; ma, sicuramente, questo potrebbe essere un passaggio importante per esprimere quella discontinuità con il passato senza la quale ci pare assai poco probabile che la nuova responsabile del Decs possa ricucire un rapporto di fiducia con i docenti che è andato perso in questo ultimo decennio. Un rapporto senza il quale (ed è la cosa fondamentale che Bertoli non ha assolutamente compreso e che lo ha condotto a sonore sconfitte come quella su “La scuola che verrà”) qualsiasi riforma progressista della scuola sarà impossibile.

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