TRIBUNA LIBERA

Razzismo e genocidio di Stato

Si celebra la giornata internazionale contro la discriminazione razziale, ma poi si fanno affari con un Paese che perseguita le minoranze etniche

In sintesi:
  • Bene la sensibilizzazione, ma c'è ancora una barriera stagna tra diritti umani e affari
  • Appunti per un approccio più coerente e meno servile
(Keystone)

La città di Zurigo si impegna contro il razzismo: infatti insiste affinché scompaiano tutti i simboli che ricordano il colonialismo e il razzismo. La si deve finire con le insegne “zum Mohrenkopf” e “zum Mohrentanz”. Ma non sarebbe forse più efficace un cartello che ricordasse i legami di certe famiglie e imprese zurighesi con il colonialismo, piuttosto che cancellare definitivamente un passato vergognoso? Sembra che si preferisca piuttosto salvare la faccia, o meglio, la facciata degli edifici in questione. Intanto questa stessa città di Zurigo, il 24 gennaio scorso, ha deciso di mantenere il gemellaggio con la città cinese di Kunming, un’operazione i cui costi sono sostenuti da Berna. Ma la forma più acuta di razzismo non è forse il genocidio? La maggioranza del Consiglio comunale di Zurigo fa finta di niente. Volker Türk, invece, Commissario per i Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, ha appena denunciato il genocidio organizzato dal Partito Comunista Cinese a danno delle minoranze politiche, religiose ed etniche in Cina, in particolare nello Xinjiang e nel Tibet, in modo ben più deciso e fondato di quanto non avesse fatto il suo predecessore, la signora Michelle Bachelet, nel suo Rapporto pubblicato poche ore prima di cessare la sua funzione.

Molte autorità di Cantoni e Comuni svizzeri si preparano, per il prossimo 21 marzo, a celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. La Commissione federale contro il razzismo (di cui il consigliere nazionale Lorenzo Quadri il 27 settembre 2018 chiese, invano, lo scioglimento), gli Uffici cantonali per l’integrazione e, in Ticino, il Centro cantonale ticinese per la prevenzione delle discriminazioni (di cui il Mattino della Domenica del 12 marzo scorso chiese la chiusura), nonché numerose organizzazioni della società civile, come ogni anno lanciano programmi di sensibilizzazione e azione, come per esempio la formazione di allievi facilitatori nelle scuole, programmi di sensibilizzazione all’interno dei corpi di Polizia riguardo alla diversità e alla profilazione facciale. Il Servizio federale di lotta contro il razzismo (Slr), in un suo recente rapporto basato su 300 analisi scientifiche, ha appena accertato che “in Svizzera il razzismo strutturale è una realtà”. Tutto bene, purché non si tocchino gli affari: come nella città di Zurigo e un po’ dappertutto, il mondo degli affari lascia fare, tanto la lotta contro la discriminazione razziale, forse, durerà soltanto questa settimana; fino all’anno prossimo si potrà continuare mano nella mano a rinforzare il commercio con l’economia di un paese, la Cina, sempre più dominata dal Partito Comunista, responsabile di genocidio, ossia, bisogna ripeterlo, la forma più radicale del razzismo.

L’Ambasciatore della Cina in Svizzera continuerà a meritarsi il tappeto rosso da parte del governo dei Cantoni e dei Municipi delle principali città svizzere (ultimamente anche Bellinzona), senza che nessuno osi pronunciare le parole proibite: Hong Kong, Xinjiang, Tibet. Quand’è che Tangram, l’ottima rivista della Commissione federale contro il razzismo, deciderà di consacrare una rubrica periodica al razzismo di Stato, descrivendo quali sono i poteri pubblici, le imprese e i mediatori, procacciatori, facilitatori che lavorano in Svizzera in connivenza con i Paesi genocidari? Perché non tentare finalmente di oltrepassare questa parete stagna fra le iniziative virtuose contro il razzismo e, d’altra parte, il mondo degli affari, affinché vengano discusse e affrontate le sue responsabilità a favore dei regimi razzisti e genocidari? Perché non pubblicare le ricerche riguardanti le infiltrazioni di tali regimi sul nostro territorio, allo scopo di perseguitare e di ricattare i loro asseriti “nemici del popolo” che abitano in Svizzera? Perché i Palazzi della Confederazione, dei Cantoni, dei Municipi e delle grandi imprese svizzere, ogni 10 marzo, anniversario dell’aggressione cinese in Tibet, non espongono la bandiera del popolo tibetano, ormai in via di estinzione?

Articolo pubblicato in francese sulla Tribune de Genève

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