I dibattiti

Una politica regionale che non c’è

Strategia globalmente fallimentare: sarebbe interessante un’analisi costi-benefici della Npr in Ticino

Ronny Bianchi

A seguito dell’intervista apparsa il 2 settembre su questo quotidiano, articolo che mi ha permesso di discutere i temi trattati con diverse persone ‘comuni’, e grazie alla recente partecipazione a una puntata esterna di Modem (Rsi) sul futuro degli impianti di risalita, ho finalmente capito perché la politica economica regionale non funziona come dovrebbe. Il motivo è semplice, ma non facile da capire: non è una politica regionale.

Torniamo indietro di due decenni. A fine anni 90 la Confederazione decise di sostituire la vecchia Legge sugli investimenti nelle regioni di montagna (Lim) che sosteneva progetti puntuali e che aveva esaurito la sua funzione, con una nuova politica regionale. Negli intenti di Berna la nuova strategia avrebbe continuato a sostenere finanziariamente progetti a condizione che avessero una valenza regionale e che fossero gestiti a livello cantonale. In Ticino la Npr entrò in vigore con almeno un paio di anni di ritardo (forse anche di più; basterebbe andare a rivedere le cronache di quegli anni) perché le impostazioni di Berna non andavano bene ai politici locali. Dopo numerose discussioni si arrivò alla decisione di creare quattro Enti regionali di sviluppo.

Perché si volle adottare questa strategia? Difficile rispondere, ma mi sembra legittimo supporre che l’obiettivo fosse quello di mantenere un controllo politico e partitico sul territorio. Il risultato di questa soluzione è che la Npr è molto simile alla vecchia Lim, perché in realtà continua a finanziare progetti puntuali. L’apparenza di regionalità è stata mascherata con una serie di Masterplan, che in realtà sono quasi esclusivamente interventi eterogenei nei settori più disparati, oltretutto con tempi di realizzazione non proprio immediati.

Di esempi concreti se ne potrebbero fare molti ma, vista la stagione, prendiamo quello degli impianti di risalita. Nel 2008 è stato pubblicato lo studio della società Grischconsulta – commissionato dal Consiglio di Stato – che evidenziava come in Ticino non avessero un futuro e concludeva che la strategia più razionale fosse quella di chiuderli. Prevedeva anche alcune soluzioni alternative che potevano essere finanziate – a determinate condizioni – da parte dell’Ente pubblico, ma consapevoli che non sarebbero mai stati investimenti redditizi. E soprattutto evidenziava come l’indotto – sul quale si fa leva per giustificare i quasi 200 milioni investiti dall’ente pubblico – fosse in realtà negativo.

Praticamente questo studio non è mai stato seriamente preso in considerazione e si è continuano a tamponare qua e là, con altri interventi pubblici. Come mai? La risposta è evidente: non era sostenibile politicamente. Naturalmente si può discutere sulle conclusioni dello studio, ma doveva perlomeno essere un punto di partenza per ripensare seriamente il futuro di queste stazioni. E invece, dopo 14 anni, poco a nulla è stato fatto se non che tutti parlano di destagionalizzazione, ma senza avere un vero progetto concreto e sostenibile.

A questo punto è forse utile ricordare cosa intendesse la Confederazione con politica regionale. Facciamo un esempio. Se sostengo con aiuti pubblici la via Francisca che va dal passo del Lucomagno a Bellinzona, faccio una politica regionale perché il pellegrino inevitabilmente si fermerà almeno una notte a dormire, comprerà prodotti locali e se la via avrà successo permetterà di creare nuove strutture di accoglienza e incrementare le attività economiche della regione. Se invece finanzio la creazione di una pista di Mtb in una stazione invernale, faccio una politica locale. In altre parole, è necessario avere un obiettivo di sviluppo regionale centrale (come nella valle Poschiavo con il progetto Bio) e poi costruire e finanziare anche attività locali collaterali, in linea con l’obiettivo primario. Evidentemente è più complicato che non puntare su progetti singoli, ma i risultati sono potenzialmente maggiori (a condizione di collaborare e avere successo).

Negli altri cantoni com’è stata applicata la Npr? In tutta onestà non lo so, ma alcuni esempi virtuosi ci sono, come appunto la valle Poschiavo e l’alto Vallese. Ma anche se gli altri hanno fatto come noi o peggio, non è una ragione valida per continuare con una strategia globalmente fallimentare. Sarebbe interessante un’analisi costi-benefici della Npr in Ticino. Naturalmente non cambierà nulla, ma ci si dovrebbe perlomeno rendere conto che gli aiuti finanziari pubblici non sono infiniti – soprattutto nei prossimi anni – e che forse sarebbe necessario iniziare a investire in una vera politica regionale di sviluppo, fondamentale per le regioni periferiche.

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