laR+ I dibattiti

Il Plr e il Centro alleati?

Anch’io, da giovane ero partigiano, all’insegna di "così fan tutti". Eppure, un accordo, tra il Plr e l’allora partito Conservatore (ora il Centro), mi ha sempre allettato. Più volte ne ho parlato con aderenti dell’uno e dell’altro e ho trovato in tanti condivisione degli argomenti, ma, all’atto pratico, un generale scetticismo, anche se, con il passare degli anni, qua e là, è andato un po’ scemando. Comunque, personalmente, sono sempre più convinto che, presto o tardi, i fatti, più testardi delle ideologie, lo imporranno. In tale attesa, approfitto delle prossime elezioni cantonali per spiegare perché con qualche speranza.

È evidente che solo la ricchezza (nel senso di crescita, l’essenza dell’economia moderna) consente lo sviluppo della socialità e del benessere di tutti e la ricchezza è il prodotto di tre fattori: terra, lavoro e capitale. Quindi, ognuno ha diritto a una giusta parte della stessa, diversamente, presto o tardi, l’escluso o il trattato male si ribellerà con successo, perfino la natura, come giustamente sta facendo, a scapito del risultato, quindi di tutti. Dei tre fattori, il più importante è il lavoro, quindi l’individuo, in quanto determina gli altri due. D’altro canto, è nell’economia sociale di mercato che predilige l’offerta, come insegna Adamo Smith e conferma la storia, che l’individuo si realizza di più, magari con il sostegno dello Stato, ma a vantaggio di tutti. Allora, mi chiedo: quale cittadino Liberale Radicale e quale cittadino del Centro non può condividere questa evidenza? Nessuno, a mio giudizio. Quindi l’economia unisce e l’ideologia non ha nulla a che vedere. Non ha nulla a che vedere, ma turba il tutto, sotto forma di clericalismo da una parte e di laicità dall’altra. Oggi però è incontestabile che, tanto il clericalismo quanto la laicità, non sono più quelli di una volta.

La Chiesa infatti, dopo aver condannato, per secoli, la laicità, considerandola ora, con il Concilio Vaticano II, "l’espressione giuridica della libertà dell’atto di fede" e, politicamente, sostituendo, nella scelta partitica fatta dagli elettori cattolici, la parola "divisione" con quella di "pluralismo", ha attuato una vera e propria rivoluzione copernicana. E non si è trattato di un mero atto di buona volontà, ma ha aperto la porta ad una evoluzione secolarizzante che ha concretizzato in modo clamoroso il postulato. Infatti, oggi, la maggior parte delle persone pur sinceramente cattoliche, raramente mette piede in chiesa. Pagano il culto perché ritengono importante la presenza del parroco anche quale assistente sociale nelle disgrazie. Non è però tutto. Infatti, quante persone praticanti non mangiano carne il venerdì, osservano il digiuno, si confessano e si comunicano a Pasqua, divorziano o vivono in unione libera? E non è ancora tutto, perché quante persone tradizionaliste e devote, pur rimpiangendo il passato, censurano coloro che hanno seguito questa evoluzione come, immancabilmente, capitava un tempo? Infine, perché rimpiangere il passato, dato che la fede dei credenti, oggi, è più umana, più robusta e più nobile, anche agli occhi dei non credenti, in quanto libera da ogni condizionamento, in particolare della pastorale della paura di Sant’Agostino?

Secondo René Rémond (autorità morale, sociale e politica notoria), oggi, "l’auto-identificazione al cattolicismo ha un significato principalmente culturale e affettivo: essa esprime la fedeltà a un insieme di credenze, di ricordi e di costumi, ove il religioso occupa solo un posto, anche se rimane il cemento degli altri elementi assemblati". Il fatto religioso "è soprattutto una scelta personale di pertinenza dalla coscienza, nella quale emerge la rivendicazione per antonomasia dell’autonomia della persona. La Chiesa stessa, per legittimare la libertà religiosa ha insistito molto sulla libertà dell’atto di fede".

E che dire della laicità? Essa affonda le radici nel concetto di Libertà molto tempo prima della Rivoluzione francese, ma è in quest’ultima che è stata istituzionalizzata per arginare il clericalismo, considerato il nemico irriducibile della Repubblica, in quanto la legge civile deve essere assolutamente monda dalla morale cattolica perché l’elemento religioso è fermento di discordia, che mina l’unità della Nazione, generando la decadenza dello Stato. Ciò premesso, non meraviglia il rapporto sull’insegnamento nelle scuole elementari del laico dei laici, Èdouard Herriot (1872-1957)1, presidente del Governo francese, al Congresso del Partito radicale del 1906 secondo cui: "Allorquando si fanno così tanti sforzi per dare ai ragazzi una istruzione pedagogica veramente razionale, scientifica e normale, è mostruoso che, accanto al docente, si trovi un uomo (il prete) autorizzato a distruggere con un colpo solo tutto il lavoro compiuto, insegnando al ragazzo quel riassunto di assurdità, di contraddizioni, di intolleranze e di mostruosità intellettuali che si chiama catechismo". Di conseguenza, "a scuole pubbliche, fondi pubblici; a scuole private, fondi privati". Peggio per loro se quelli che sostengono quest’ultima pagano due volte l’imposta: la formazione del cittadino, per salvare l’unità della Nazione, deve avvenire in modo uniforme, perciò laicamente. Quindi, non meraviglia neppure se, in quel tempo in Francia, un cattolico non poteva diventare né presidente del Governo né ministro dell’Interno e, allo scoppio della Guerra del ’14, i cattolici vennero esclusi dal Governo di "Unione Nazionale", fin quando, esacerbatosi e prolungatosi il confitto, venero inclusi in quello che ha fatto seguito e ha vinto: la "Sacra Unione".

Oggi, il campo del conflitto tra cattolici e società politica, in pratica, si è ristretto a detto dilemma, appunto perché è la scuola che forma il cittadino e gli argomenti fatti valere in favore della scuola laica non sono mutati, come se la laicità fosse stata al riparo dal dinamismo evolutivo della società. Però, se il senso delle parole e dei concetti, letteralmente, non mutano, inseriti in un nuovo contesto sociale, il loro senso cambia. Orbene, oggi, la società è radicalmente cambiata, in particolare i rapporti tra pubblico e privato sono sostanzialmente diversi da quelli di un tempo non lontano. Oggi, lo Stato ha invaso e continua a invadere settori economici, sociali e culturali tradizionalmente di esclusiva competenza del privato; non solo, ma si è sviluppato un vasto dominio misto in tutti i settori della vita, nel quale pubblico e privato collaborano all’insegna dell’organizzazione della società su basi economiche, scientifiche e tecnocratiche, le quali, per logica, includono il sociale (l’individuo non può essere ridotto all’"homo economicus" di J.S. Mill), quindi un positivismo economico/sociale. Questa evoluzione ha contribuito in modo determinante a consolidare l’unità nazionale, sicché la laicità non può più giustificarsi siccome reazione al clericalismo minante detta unità, per cui è diventata neutralità, nel senso di Libertà dalla quale è derivata e la Libertà implica il pluralismo.

E quale è l’esito di questa doppia evoluzione religiosa e laica? La Chiesa non ha rinunciato a illuminare le coscienze, però senza ricorrere a nessuna costrizione egemonica. Invece, se, come sottolinea René Rémond, "è più che giusto rendere omaggio ai repubblicani per il contributo dato al consolidamento del sentimento dell’unità nazionale e la scuola, in questa presa di coscienza collettiva, ha avuto un ruolo capitale come il servizio militare", buona parte dell’opinione pubblica non prende ancora in considerazione detta evoluzione. Perché? Perché il fatto religioso è, per natura, intollerante e, per secoli, è stato attribuito non alla singola persona, ma sistematicamente all’istituzione, alla Chiesa, per cui quest’ultima è apparsa siccome un blocco clericale monolitico immutabile. Per di più, talvolta, si è comportata tale in modo inaudito: penso alle Crociate, all’Inquisizione e alla persecuzione dei Càtari. Ma, a giusta ragione quindi, la rivoluzione di oggi del Concilio Vaticano II, è copernicana. Però, è noto il ritardo con il quale simili cambiamenti culturali si diffondono e vengono assimilati dall’opinione pubblica, per cui è comprensibile che parte di quest’ultima creda nella sincerità del singolo, ma non nell’Istituzione. Tuttavia, oggettivamente, oggi, è ragionevole temere che il cattolicesimo post-conciliare, del quale è detto sopra, possa costituire un pericolo per l’unità nazionale e per la libertà religiosa? Manifestamente, no, anche perché la stragrande maggioranza dei credenti (praticanti e non praticanti), non seguirebbe. Quindi, del fatto religioso rimane solo un atto culturale individuale, totalmente libero, ma, appunto perché libero, deve essere, per tutti, responsabile senza alcun pregiudizio storico. Di conseguenza i due partiti di Destra progressista devono collaborare affinché il positivismo economico/sociale del quale si è detto prosperi nell’interesse di tutti e lo possono fare, tranquillamente, senza turbare le rispettive convinzioni religiose dei loro aderenti (è doveroso menzionare anche un altro compito, urgente e di estrema importanza, che pure li accomuna: operare affinché la Democrazia ridiventi più rappresentativa, per arginare il populismo dilagante).

Tutto questo lo conferma Marx: l’economia (la sottostruttura) determina le Istituzioni quindi, anche rapporti tra i partiti (la soprastruttura). Se ciò non bastasse, lo conferma anche la scienza politica: nel regime parlamentare, salvo se vi è un partito con la maggioranza assoluta (e non capita quasi mai, salvo nel Regno Unito e non sempre neppure in quello), tutto si basa sulla coalizione, ossia tra coloro che, logicamente, possono collaborare. Quindi, se, da noi, invece del regime assembleare, ci forre quello parlamentare, il Plr e il Centro, da tempo, sarebbero coalizzati. Non solo, ma, quante persone dell’uno e dell’altro partito, oggi, si stimano reciprocamente al punto che potrebbero scambiarsi il partito, senza diventare oggettivamente "voltamarsina"? Nessuna meraviglia quindi se vi sono persone aderenti al Plr che sono devote più dei devoti appartenenti al Centro. Allora, "embrassons-nous"? No: perché il tempo non è maturo ed è giusto che ognuno conservi la propria identità: è la dialettica che lo vuole e la dialettica presuppone il pluralismo, tanto più che l’unità nazionale, oggi, è tale che, non solo lo consente, ma lo auspica perché la diversità fortifica il "consenso". Allora una intesa elettorale? Certamente. A livello cantonale? Non subito, perché le elezioni sono vicine e, in questo campo, non si improvvisa, diversamente vi è il pericolo del fiasco… quindi spetterà ai dirigenti dei due partiti preparare il terreno per il 2027. Ma a livello nazionale, a fine dell’anno prossimo, diversamente riderebbero persino i topi.

[1]Famoso uomo di Stato, la cui vita, per più di cinquant’anni, si confuse con quella parlamentare, caratterizzata prevalentemente da un duro anticlericalismo. Ciò nonostante, Herriot ha avuto due funerali: quello laico, solenne, alla presenza dei corpi costituiti, ignorando che, due giorni prima, per suo volere, all’ospedale Santa Eugenia di Saint-Génie-Laval, presieduto dal cardinale Pierre-Marie Gerlier, Primate di Francia, era stato celebrato quello religioso. Saputolo, i suoi amici anticlericali hanno scatenato una polemica all’insegna della "concessione estorta dalla fami­glia al moribondo semi incosciente", pur sapendo che, dopo il suo viaggio in Terra Santa, "Hérriot era passato dal suo focoso anticlericalismo che manifestava all’inizio del secolo, alle preoccupazioni spirituali" (Serge Bernstein "Eduard Herriot "La République en personne", pag. 45).

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