Kallas: Israele deve migliorare la situazione umanitaria sul campo
L'Unione Europea - come sempre profondamente spaccata sulla condotta da tenere con Israele dopo lo scoppio della guerra a Gaza - non ha adottato nessuna delle 10 misure contenute nel rapporto stilato dall'alto rappresentante Kaja Kallas, in cui si spaziava dalla sospensione dell'accordo di associazione all'embargo dei prodotti provenienti dai territori occupati. Era prevedibile, e infatti è stato previsto.<\/p>
Il Consiglio Affari Esteri, l'ultimo prima della pausa estiva, non è stato però del tutto inutile: gli Stati membri più critici nei confronti di Tel Aviv hanno strappato il "monitoraggio" dell'intesa appena siglata con l'Ue per la consegna degli aiuti a Gaza e deciso di "rianalizzare" la situazione a fine agosto.<\/p>
"Vediamo segnali positivi: più camion e rifornimenti raggiungono Gaza e più punti di accesso vengono aperti, ma Israele deve adottare misure più concrete per migliorare la situazione umanitaria sul campo", ha detto Kallas in conferenza stampa al termine del Consiglio.<\/p>
Ora ogni due settimane sarà consegnato un rapporto sui numeri al Comitato di Politica e Sicurezza dell'Ue e si tireranno le somme al Consiglio informale di Copenaghen, appunto a fine agosto. "Saremo pronti ad agire se Israele non manterrà i suoi impegni", ha sottolineato Kallas tornando sulle 10 opzioni. "L'obiettivo non è punire Israele ma migliorare concretamente la situazione a Gaza".<\/p>
L'alto rappresentante è stata abile perché ha capito qual era il minimo comun denominatore tra i 27 - la questione umanitaria - e da lì è stata in grado di costruire consenso, evitando un'ulteriore plateale spaccatura. Perché si va da Madrid che chiede di "procedere con la sospensione dell'accordo di associazione" finché permane la tragedia di Gaza, all'Ungheria che pone il veto persino sulle (timide) sanzioni ai coloni violenti, già concordate da tutti gli altri (Italia e Germania comprese, fermissime nel patrocinare la via del dialogo e dunque l'approccio light).<\/p>
Al tavolone rotondo del Consiglio, a quanto spiegano fonti diplomatiche, una metà dei Paesi ha sostenuto che l'intesa sugli aiuti umanitari è stata "frutto del dialogo", mentre l'altra metà ha rimarcato che la svolta è arrivata solo dopo che Israele ha "sentito la pressione" esercitata dal processo di revisione innescata dall'Olanda. Naturalmente c'è poi chi porta l'acqua al suo mulino.<\/p>
"Un accordo di principio sugli aiuti umanitari non può essere una scusa per l'inazione: abbiamo tutti la responsabilità di proteggere i civili", ha affermato la ministra slovena Tanja Fajon. Il meccanismo del monitoraggio, fa notare un funzionario europeo, mantiene però il faro dell'Ue su Gaza e se Israele non si impegnerà rischia davvero di perdere il sostegno di qualche sponsor di peso. Insomma, si tratta di un processo lungo e tortuoso ma è l'unico percorribile, dato che - al netto delle dichiarazioni ad uso stampa - poi i voti al Consiglio, per ora, non ci sono.<\/p>
A Gaza, ad ogni modo, lo scenario resta "catastrofico" e i raid sulla Striscia hanno provocato altre vittime tra i civili palestinesi, con l'esercito israeliano che ha ordinato l'evacuazione di gran parte di Gaza City e di Jabalia. L'alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani afferma di aver registrato almeno 875 uccisioni nelle ultime sei settimane presso i punti di soccorso gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Stati Uniti e Israele, e nei convogli gestiti da altri gruppi di soccorso, tra cui l'Onu. La maggior parte delle vittime si trovava nei pressi dei siti della Gaza Humanitarian Foundation, mentre le restanti 201 sono state uccise lungo i percorsi di altri convogli di aiuti.<\/p>
Alcuni media egiziani fanno invece sapere che sono in corso al Cairo incontri tra Egitto, Qatar e Israele per discutere delle modalità d'ingresso degli aiuti, l'uscita dei feriti e il rientro delle persone bloccate, nell'ambito degli sforzi egiziani per raggiungere un cessate il fuoco. Alla fine, infatti, l'aspirazione ultima, anche a Bruxelles, è quella di mettere fine alla guerra, ottenere la riforma dell'Autorità Palestinese, e ripartire con la soluzione dei due Stati, giudicata come l'unica opzione per avere una pace duratura. Naturalmente è un'altra storia. Che dura da 70 anni e, ormai, rischia di trasformarsi in un feticcio geopolitico, relitto di un mondo ormai tramontato.<\/p>