Medio Oriente

Il numero 2 di Hamas eliminato a Beirut

Un drone israeliano centra vicino alla capitale libanese l’ufficio dove si trova Saleh al-Arouri. Interrotti i negoziati sugli ostaggi.

In sintesi:
  • Ucciso uomo chiave e anello di collegamento con Hezbollah, Iran e Turchia
  • La morte di Arouri e di altri due alti funzionari militari di Hamas rischia di far dilagare il conflitto Israele-Libano
Saleh al-Arouri (a sinistra) con il numero uno di Hamas Ismail Haniyeh
(Keystone)
2 gennaio 2024
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Israele affonda un colpo strategico in Libano e attacca coi droni l’ufficio di Hamas alla periferia di Beirut uccidendo Saleh al-Arouri, il numero due dell’organizzazione, uomo chiave e anello di collegamento con Hezbollah, Iran e Turchia. Un raid mirato, a sorpresa, che ha fatto sette morti tra i membri di Hamas. Tra questi anche alti funzionari militari del movimento come Samer Fendi, anche noto come Abu Amer, e Azzam Aqraa, conosciuto come Abu Ammar. Entrambi avevano un ruolo nella gestione delle Brigate Qassam, l’ala armata di Hamas, in Libano.

La loro morte rischia far dilagare il conflitto Israele-Libano, finora ‘limitato’ a scambi a fuoco lungo il confine con Hezbollah, con l’esercito israeliano che ha dichiarato la “massima allerta”, pronto “a ogni evenienza”. Ma complica anche i già debolissimi tentativi diplomatici con il segretario di Stato americano Antony Blinken che avrebbe rinviato – annunciano fonti israeliane – il suo viaggio nella regione, previsto per questa settimana. E sembra destinato a bloccare i tentativi di negoziati per gli ostaggi: fonti diplomatiche arabe hanno fatto sapere, scrive ‘Haartez’, che “la situazione è cambiata” e i colloqui sono interrotti. “Ora non è più possibile alcun progresso”, hanno riferito.

Hamas, nel confermare la morte del dirigente, ha tuonato affermando che “i codardi omicidi compiuti dall’occupante sionista contro i leader e i simboli del nostro popolo palestinese dentro e fuori la Palestina non riusciranno a spezzare la volontà e la resilienza del nostro popolo, né a ostacolare la continuazione della sua coraggiosa resistenza”, ha affermato attraverso Ezzat al-Rishq, membro dell’ufficio politico. «Un movimento i cui leader e fondatori cadono come martiri per la dignità del nostro popolo e della nostra nazione non sarà mai sconfitto», ha detto il leader di Hamas Ismail Haniyeh. La Jihad islamica ha rincarato la minaccia: Israele “pagherà il prezzo dei suoi crimini”. Secca condanna anche dal premier libanese Najib Mikati per il quale Israele “punta a trascinare il Libano in una nuova fase della guerra”.

Lo stato ebraico non ha invece commentato la notizia, anche se immediatamente dopo consultazioni ristrette si sono svolte tra il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, prima di una riunione del gabinetto di guerra. Su X, tuttavia, un esponente del Likud, Dani Danon, si è congratulato con Mossad e Shin Bet per l’operazione a Beirut.

Intanto a Gaza, dove il conteggio dei morti secondo il ministero della Sanità è salito a 22’185, la guerra prosegue senza pause: Israele sta colpendo duramente il sud della Striscia, annunciando al contempo che le forze israeliane sono riuscite ad assumere il controllo del Comando militare di Hamas nel settore Gaza-Est. Era costituito, ha precisato un portavoce, da 37 edifici, all’interno di una zona residenziale civile, che comprende ospedali, scuole e condomini.

In una giornata che segna una svolta pericolosa, dalle conseguenze imprevedibili, Israele ha intanto fatto sapere che si presenterà davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per difendersi dalle accuse di genocidio del Sudafrica.

la sentenza

Annullato il ‘cuore’ della riforma giudiziaria

“Esther Hayut passerà alla storia come la donna che ha salvato la fragile e limitata democrazia israeliana, almeno per un po’”. Ha scritto di lei ‘Haaretz’, quotidiano estremamente critico verso il governo Netanyahu, dopo la decisione della Corte Suprema che ha annullato un elemento chiave della riforma giudiziaria fortemente voluta dall’esecutivo. Un piano che per otto mesi, prima del massacro del 7 ottobre e della guerra che ne è seguita, ha visto le proteste in piazza di milioni di israeliani.

La giudice, bellissima settantenne con i capelli corvini legati e gli occhi verdi, che ha presieduto la Corte come ultimo atto della sua carriera poiché in pensione da tre mesi, ha preso posizione contro la riforma del ministro della Giustizia Yariv Levin (presentata il 4 gennaio dell’anno scorso) fin dal primo momento. E lascia ora a Israele una “coraggiosa eredità”, come hanno detto i media progressisti. Allo stesso tempo è diventata il bersaglio di dure critiche da parte della destra e di alcuni centristi, non solo per il contenuto della decisione ma anche per averla pubblicata in tempo di guerra rifiutandosi di aspettare ulteriormente.

Esther Hayut tuttavia ha già dimostrato di poter sopportare le critiche più feroci. Nel suo parere alla decisione di lunedì aveva scritto: “Dato il fragile e carente sistema di pesi e contrappesi esistente in Israele, la totale cancellazione del controllo giudiziario sulla ragionevolezza delle decisioni governative e ministeriali rende vana una parte sostanziale del ruolo del tribunale nella difesa dell’individuo e dell’interesse pubblico”. Insomma, nessun dubbio che la riforma della giustizia di Netanyahu potesse essere una pietra tombale per la democrazia del Paese.

Figlia di genitori rumeni scampati all’Olocausto, la madre sopravvissuta alla deportazione in Transnistria e il padre ad Auschwitz, Hayut è nata nel 1953 in un campo di transito per immigrati a Herzliya. A 18 anni, durante il servizio militare, si fece conoscere come pop star locale in una band assegnata al Comando centrale delle Forze israeliane e qualche video di lei che canta resiste su Youtube. Laureata in giurisprudenza all’Università di Tel Aviv, nel 1990 è diventata giudice, nel 2017 ha prestato giuramento per un mandato di cinque anni alla Corte.

Ora per Hayut – considerata parte del campo progressista del collegio di 15 magistrati – non ci saranno i tradizionali saluti né la cerimonia di pensionamento prevista per i membri della Corte Suprema, annullati per la guerra. Ma lei, prima di lasciare, ha scritto una lettera indirizzata ai giudici e ai dipendenti dell’amministrazione giudiziaria citando una poesia del poeta israeliano Anadad Eldan, membro del kibbutz Beeri, scritta nel 2016 per la morte della figlia, che oggi torna drammaticamente attuale: “C’è un’ora di oscurità fluttuante, eppure c’è l’alba e la luce”. ANSA/RED

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