Estero

Già rotta la tregua nel Nagorno Karabakh

Accese reciproche tra Armenia e Azerbaigian, decine i civili già uccisi

11 ottobre 2020
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La tregua nel Caucaso non regge. E mentre Armenia e Azerbaigian si lanciano accuse reciproche di violazioni dell'intesa entrata in vigore ieri a mezzogiorno grazie alla mediazione russa, le bombe continuano a mietere vittime tra i civili.

Secondo i media armeni, la capitale del conteso Nagorno Karabakh, Stepanakert, è stata colpita ripetutamente nella notte. Il ministero degli esteri azero ha denunciato che le forze armene hanno attaccato a colpi di artiglieria la città di Ganja provocando sette morti e 33 feriti, molti dei quali bambini. "È stata presa di mira un'area residenziale", ha precisato Baku e, a quanto riferito da un testimone, è stato raso al suolo un intero isolato.

"Tutto ciò per cui ho lavorato un'intera vita è andato distrutto", ha detto all'agenzia di stampa Afp uno degli abitanti, Zagit Aliyev, che a 68 anni si ritrova senza più una casa. E come lui sono decine di migliaia i senzatetto, costretti a fuggire dalle proprie abitazioni a causa del conflitto riesploso due settimane fa o semplicemente perché ridotte a un cumulo di macerie. Ma Erevan ha respinto le accuse, bollate dal ministero della difesa come "una assoluta bugia".

Il leader del Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha descritto la situazione nella giornata di domenica come "più tranquilla", avvertendo però che la tregua è precaria. Timori espressi anche dal papa all'Angelus: "Nonostante la tregua si dimostri troppo fragile - ha detto il pontefice -, incoraggio a riprenderla ed esprimo partecipazione al dolore per la perdita di vite umane, per le sofferenze patite, nonché per la distruzione di abitazioni e luoghi di culto".

Da quando il conflitto attorno alla regione si è riacceso, meno di due settimane fa, si stima che siano morte almeno 450 persone, tra cui oltre 50 civili. La tregua ha come obiettivo quello di consentire alle parti belligeranti lo scambio dei prigionieri e la restituzione alle famiglie dei corpi dei caduti.

Ma nelle intenzioni del capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov, mediatore tra le parti, è il primo passo verso la pace. Ieri aveva sottolineato che i due Paesi ex sovietici del Caucaso hanno concordato di avviare "colloqui sostanziali" per "raggiungere il prima possibile una soluzione pacifica" al conflitto. Ma il portavoce del leader del Karabakh, Vahram Poghosyan, ha chiarito che la via per porre fine alle ostilità passa dal riconoscimento dell'indipendenza dell'area da parte della comunità internazionale, accusando Baku di usare la tregua come copertura per preparare nuovi attacchi.

Armeni e azeri si contendono la regione da decenni: nella guerra combattuta tra il 1988 e il 1994 sono morte almeno 30'000 persone. Ufficialmente è territorio azero, ma di fatto è controllato da una repubblica autoproclamata sostenuta dall'Armenia e i suoi abitanti sono prevalentemente di etnia armena. Il vero rischio, che le trattative per la tregua hanno cercato di disinnescare, è che il conflitto si estenda anche alle potenze regionali che nel Caucaso hanno interessi contrapposti.

In primo luogo la Turchia, che sostiene apertamente l'Azerbaigian, e secondo la quale la tregua è "l'ultima possibilità" per l'Armenia di ritirare le sue forze dal territorio conteso. Mosca invece è in buoni rapporti sia con gli armeni sia con gli azeri, ma ha una base in Armenia ed è legata a Erevan dall'alleanza militare Collective Security Treaty Organization.
 
 

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