Estero

La Corte Suprema Usa: non si può licenziare perché gay o trans

Una sentenza 'contro' la politica di Trump, decisivo il voto di Neil Gorsuch, il giudice voluto dal presidente

15 giugno 2020
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Un lavoratore non può essere licenziato perché è gay o transgender: lo ha deciso la Corte Suprema degli Stati Uniti, secondo cui il titolo VII della legge sui diritti civili del 1964 che vieta le discriminazioni nei luoghi di lavoro in base al sesso - ma anche alla razza, al colore, alle origini nazionali e alla religione - si applica pure a omosessuali e trans. La battaglia legale si concentrava sulla definizione di sesso e i giudici hanno dato un'interpretazione estensiva che riguarda l'orientamento sessuale e l'identità di genere.

È la più grande vittoria per la comunità Lgbtq (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) da quando nel 2015 la Corte Suprema legalizzò le nozze gay. Successo che arriva mentre l'America continua a scendere in piazza per altri diritti civili, quelli riguardanti la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd e di altri afroamericani per mano della polizia.

La sentenza è invece un sonoro schiaffo al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che corteggiando i voti conservatori dei cristiani evangelici aveva lanciato sin dal suo insediamento una crociata contro la comunità Lgbtq. Proprio la scorsa settimana la sua amministrazione aveva deciso di revocare le protezioni anti discriminazioni per i trans nella sanità, ribaltando una delle svolte di Barack Obama. Ma in precedenza il suo governo aveva sostenuto il diritto di certe attività di rifiutare il proprio servizio ai gay sulla base di obiezioni religiose alle nozze tra persone dello stesso sesso, aveva bandito i trans dal servizio militare e cancellato l'opzione per gli studenti transgender di scegliere il bagno nelle scuole pubbliche in base al sesso non naturale.

Lo schiaffo brucia anche perché la decisione è stata presa da una maggioranza di sei giudici contro tre, con il presidente della Corte John Roberts e il giudice conservatore Neil Gorsuch - nominato da Trump - che hanno votato con i giudici di nomina democratica. Ed è stato lo stesso Gorsuch a scrivere che "la nostra è una società di leggi scritte. Un datore di lavoro che licenzia un individuo puramente per essere gay o transgender sfida la legge".

Immediata la reazione di Joe Biden, il rivale di Trump nella corsa alla Casa Bianca: "La decisione di oggi è un altro passo nella nostra marcia verso l'uguaglianza per tutti. La Corte Suprema ha confermato l'idea semplice ma profondamente americana che ogni essere umano deve essere trattato con rispetto. Ma il lavoro non finisce qui", ha dichiarato, promettendo che se sarà eletto presidente promulgherà la legge Equality Act, proteggendo i diritti civili degli americani Lgbtq.

Plauso anche dall'amministratore delegato di Apple Tim Cook, il primo capo di una grande azienda a dichiararsi gay: "Le persone Lgbtq meritano parità di trattamento sul posto di lavoro e nella società. La decisione di oggi mette ulteriormente in evidenza come la legge federale tuteli il loro diritto all'equità".

"Questa è una vittoria storica per l'uguaglianza", ha commentato il leader dei diritti civili Lgbtq Alphonso David, presidente della Campagna per i diritti umani, il primo afroamericano. "Non possiamo e non dobbiamo tornare al tempo in cui la gente pensava di dover nascondere chi era per sentirsi sicuro nel posto di lavoro", ha aggiunto.

La sentenza è importante anche perché nella maggioranza del Paese, ossia in 28 Stati su 50, non ci sono protezioni esplicite nei luoghi di lavoro, lasciando quindi gay e trans esposti al rischio di essere perseguitati o licenziati senza possibilità di fare ricorso. La decisione è stata presa affrontando tre casi di gay licenziati per il loro orientamento sessuale, in Georgia, in Michigan e a New York.

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