Estero

Trump prepara le sanzioni alla Cina per Hong Kong

Pechino insiste: ogni tentativo di interferire è destinato al fallimento

29 maggio 2020
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Sanzioni al settore finanziario e misure in quello commerciale: secondo le anticipazioni dei media, è questa la risposta che Donald Trump dovrebbe dare contro il giro di vite della Cina su Hong Kong, cruciale porta commerciale e piazza finanziaria per il Dragone. Una escalation della nuova 'guerra fredda' con Pechino, dopo la battaglia sui dazi e le accuse per aver nascosto l'epidemia di coronavirus. La Cina si è detta pronta a contromisure e come prima risposta potrebbe ridurre o bloccare le sue importazioni di prodotti agricoli dagli Stati Uniti, colpendo uno dei principali serbatoi elettorali di Trump.

La mossa americana arriva mentre cresce il coro di condanna a livello internazionale ed è scontro al consiglio di sicurezza dell'Onu, dove la Cina ha bloccato la richiesta di un incontro urgente da parte di Washington e Londra. "Qualsiasi tentativo di usare Hong Kong per interferire negli affari interni della Cina è destinato al fallimento", ha avvisato l'ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite Zhang Jun. Usa, Canada, Gran Bretagna e Australia hanno condannato in una nota congiunta la decisione della Cina d'imporre la nuova legge sulla sicurezza a Hong Kong come una "una violazione" delle garanzie di mantenere sino al 2047 il modello 'uno Stato, due sistemi' previsto dalla Dichiarazione sino-britannica che sancì la restituzione del territorio nel 1997. Londra ha anche minacciato visti più facili e percorso agevolato verso il passaporto britannico per i cittadini di Hong Kong se Pechino procederà unilateralmente. Il passo riguarderebbe circa 300.000 abitanti già in possesso del documento di British National (Overseas) - o Bno - una sorta di passaporto bis che al momento consente ai titolare solo di visitare il Regno Unito senza visto per periodi fino a sei mesi, senza metterne in discussione la nazionalità cinese esclusiva.

Ma il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha spiegato che Londra potrebbe rimuovere il limite dei sei mesi e consentire ai titolari dei passaporti Bno di chiedere di estendere il periodo di permanenza nel Regno Unito fino a 12 mesi per motivi di lavoro o di studio, un tempo sufficiente a far maturare il diritto per "avviare il percorso verso una futura cittadinanza" britannica. Immediata la reazione del Dragone, che ha presentato "proteste formali" contro i quattro Paesi anglosassoni contestando la loro legittimità a citare la Dichiarazione sino-britannica" e ha minacciato l'adozione di "necessarie contromisure" contro la Gran Bretagna se allenterà le sue norme sui passaporti per i residenti di Kong Kong. Anche la Ue ha criticato la stretta cinese su Hong Kong: "mette in questione il tema della fiducia" con Pechino, ha ammonito l'Alto rappresentante Ue Josep Borrell, precisando però che "le sanzioni non sono il modo per risolvere il nostro problema con la Cina". Il primo a dare il tono della polemica era stato il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, secondo cui Hong Kong - che nel 2018 era al settimo posto al mondo per volume commerciale con un valore di quasi 1200 miliardi di dollari - non gode più di un alto grado di autonomia dalla Cina e non merita quindi più il suo speciale status commerciale, con l'esenzione dalle tariffe. Ma, come ha avvisato la stessa ex colonia britannica, qualsiasi sanzione è un'arma a doppio taglio che danneggerà anche gli interessi Usa e le loro 1300 società qui presenti. Non solo. Se nel 1997 Hong Kong giocava un ruolo significativo nell'economia cinese, rappresentando circa il 18% del suo pil, ora vale il 2%-3%, secondo gli esperti

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