laR+ la recensione

Come Stalin uccise il Teatro ebraico di Mosca

‘Re Lear è morto a Mosca’ di César Brie, uno spettacolo visto al Teatro San Teodoro di Cantù e che ha raggiunto il successo grazie al passaparola

(paolo porto)
16 marzo 2025
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Ci sono spettacoli – non molti, per la verità – la cui fortuna nasce dal passaparola, che non hanno alle spalle alcun supporto istituzionale, né grandi sponsor o attori celebri fra gli interpreti, e ciò nonostante riescono ad arrivare al pubblico, che ne decreta il successo. Succede anche che il pubblico se ne innamori a tal punto da tornare a vederli, spostandosi di provincia in provincia, raggiungendo i poco noti piccoli (ma belli) teatri che costellano l’Italia.

È il caso di ‘Re Lear è morto a Mosca’ di César Brie, nato due anni fa da una coproduzione fra Isola del Teatro e Campo Teatrale, due realtà indipendenti, creative e attive nel Nord Italia, che con il loro ‘prodotto’ finale hanno convinto il Teatro Elfo Puccini di Milano a ospitarli il prossimo giugno per quello che sarà un meritato approdo.

La giovane compagnia di neoprofessionisti è formata dall’attore, regista e drammaturgo argentino César Brie, fondatore negli anni Settanta della Comuna Baires, poi per motivi politici costretto all’esilio in Italia. Scorrendone la biografia, si capiscono le ragioni che possono averlo spinto a mettere in scena la ricca e complessa vicenda del Teatro ebraico statale di Mosca (Goset), compagnia teatrale yiddish fondata nel 1919 con grandi speranze, e chiusa nel 1948 dalle autorità sovietiche, dopo l’assassinio, camuffato da incidente stradale, del suo primattore Solomon Michoels, e in seguito l’arresto, la prigionia, le torture e infine l’esecuzione del suo successore, l’attore Veniamin Zuskin. Dei due è Michoels il più politicizzato, ma anche Zuskin si rende conto che il loro teatro è divenuto indigesto al regime a causa della sua connotazione fortemente ebraica, per l’uso di una lingua che non è quella russa e per il sottotesto che quella lingua sfuggente al controllo del regime contiene.

La drammaturgia, curata da Brie, da Leonardo Ceccanti e dagli attori e le attrici della compagnia, si ispira al libro di memorie della figlia di Zuskin, Ala Zuskin Perelman, intitolato ‘I viaggi di Veniamin. Vita, arte e destino di un attore ebreo’, e al volume ‘Solomon Michoels e Veniamin Zuskin. Vite parallele nell’arte e nella morte’ di Antonio Attisani (entrambi Accademia University Press, Torino 2019 e 2020), consulente storico della compagnia. Lo spettacolo cattura alcuni momenti della storia del Teatro ebraico di Mosca, partendo dall’affollato funerale di Michoels, che racconta in prima persona la sua uccisione a Minsk a opera della polizia segreta, per ordine di Stalin. All’interprete il cui ‘Re Lear’ del 1935 è considerato tra i più memorabili del suo tempo, si devono i funerali di stato, e da qui nasce l’occasione per ricordare la fondazione della compagnia e l’allestimento del primo spettacolo, con il contributo di Marc Chagall in veste di estroso scenografo. Ma il sodalizio dura poco perché Chagall litiga con il regista Garnowski e prende altre strade, lasciando alla compagnia l’eredità di una poetica nuova, intrisa di sogno, leggerezza, libertà. Nello spettacolo Ala Zuskin racconta l’infanzia di suo padre Veniamin, che fin da ragazzino sogna di fondare un teatro ebraico in Urss, e i cui manoscritti sono stati in larga parte bruciati da solerti funzionari statali, a eccezione delle pagine messe in salvo, a rischio della vita, da due archiviste, che nel lavoro di Brie diventano donne delle pulizie.

Uno dei momenti più esilaranti dello spettacolo, che si avvale di una scrittura vivace e brillante, è la scena che ritrae Stalin al Politburo insieme a Molotov e Beria, (scena che ricalca un celebre numero dal film musicale con Fred Astaire ‘The Band Wagon’, in cui l’attore e ballerino canta e balla insieme ad altri due interpreti in abiti da bebè con la cuffietta in testa). E in quella scena satirica e grottesca si decide l’eliminazione di Michoels. “Sono stufo di trattar bene gli ebrei per far credere che sono migliore di Hitler!” tuona il dittatore. Siamo nel 1948 e, sebbene Solomon sia stato negli anni della guerra a capo del Comitato ebraico antifascista, incaricato di raccogliere fondi per lo sforzo bellico presso la comunità ebraica internazionale, ora che la vittoria ha rafforzato il regime stalinista, non c’è più bisogno di lui e, anzi, Stalin detesta gli attori, specialmente se godono di grande popolarità, ed è ossessionato dall’idea di un ‘complotto sionista’, tanto da ordinare una purga contro i medici ebrei, convinto che vogliano avvelenarlo. Ma poiché il pubblico adora Solomon Michoels, i tre decidono che è meglio eliminarlo con un finto incidente d’auto.

L’unica colpa è quella di essere attore

L’omaggio del regista e teorico del teatro Edward Gordon Craig, che fu tra gli spettatori prima scettici e poi entusiasti del ‘Re Lear’ di Solomon, fino a dire che “era come se Shakespeare lo avesse scritto in yiddish”, è un altro momento chiave dello spettacolo. Dopo l’assassinio di Michoels, il teatro sopravvive per qualche mese fino alla liquidazione da parte delle autorità. Zuskin, stremato dagli eventi, entra in una clinica per la cura del sonno e di lì si risveglia in prigione, dove viene torturato dalla polizia politica e arrestato fino all’esecuzione capitale il 12 agosto 1952 (nella famigerata ‘notte dei poeti assassinati’, in cui tredici ebrei sovietici subirono la pena capitale) con un processo-farsa senza difesa, in cui ripete più volte ai giudici di aver firmato la propria confessione per mettere fine alla tortura, di considerare la condanna a morte un sollievo e che la sua unica colpa è quella di essere attore. Ed ebreo, naturalmente. Dalla figlia Ala sappiamo che tre anni dopo, morto Stalin, la Corte suprema lo dichiara innocente perché il fatto non sussiste. Zuskin e gli altri imputati non hanno tradito la patria, non hanno mai complottato contro lo stato. E tuttavia non sono stati ancora riabilitati.

Questa densa materia è trattata nello spettacolo di Brie con la passione di chi, da uomo di teatro, ha conosciuto momenti difficili proprio a causa di quella indipendenza di pensiero e di espressione che tanti artisti non vogliono abbandonare nemmeno dentro le dittature, e ne indica gli orrori e gli errori per il tempo presente. Tuttavia, sebbene si tratti di materia tragica, ‘Re Lear è morto a Mosca’ è pieno di vita, di energia, di umorismo, grazie a una compagnia di giovani motivati e ben preparati, che recitano, cantano e danzano, grazie alle belle musiche tradizionali yiddish e di Pablo Brie, grazie alle magnifiche coreografie di Vera Dalla Pasqua.

Lo spettacolo diverte e fa ridere. Commuove e fa pensare. E non mancherà di far discutere, quando approderà a Milano, al Teatro Elfo Puccini dal 3 al 15 giugno.