In scena al Teatro alla Scala il secondo tassello della tetralogia wagneriana nel discusso allestimento fantasy di David McVicar
‘Die Walküre’ è il più popolare dei quattro drammi in musica che compongono il ‘Ring’ wagneriano, in cartellone attualmente al Teatro alla Scala nel discusso allestimento fantasy di David McVicar, con la direttrice d’orchestra Simone Young, chiamata a sostituire, in alternanza con Alexander Soddy, il direttore-star Christian Thielemann dileguatosi all’ultimo momento per ragioni personali. Dopo ‘Das Rheingold’, visto e criticato lo scorso ottobre, eccoci dunque alle prese con un’opera così profondamente umana e compiuta in sé da meritarsi, soprattutto in passato ma non di rado anche oggi, lo scorporo dalla Tetralogia per essere proposta singolarmente: un dramma familiare di rara intensità.
La storia dell’amore incestuoso fra i due fratelli Siegmund e Sieglinde, dai quali nascerà Sigfrido, conquista le platee, mentre i palati più raffinati e attenti alla drammaturgia si dilettano dei dialoghi che mettono a nudo in profondità le relazioni tra i componenti la variegata famiglia di Wotan, come l’aspro dialogo tra Wotan e la moglie Fricka, o quelli con l’amatissima figlia ribelle Brünnhilde, cui Wotan chiede prima di proteggere Siegmund nel duello con il rivale Hunding, poi di farlo morire, a seguito delle rimostranze di Fricka sul legame adulterino e incestuoso fra i due.
Proprio su “ciò che Brünnhilde sapeva”, come recita il capitolo di un celebre saggio di Slavoj Zizek, si è concentrata negli ultimi anni l’attenzione dei registi, tanto da farne in più allestimenti la protagonista assoluta (d’altra parte il titolo è dedicato a lei) e guardando la vicenda amorosa dei due fratelli alla luce della personale evoluzione della figlia prediletta di Wotan. È ascoltando le parole di Siegmund – che dice di non provare alcun interesse a entrare nel paradiso degli eroi, il Walhalla, se non vi troverà Sieglinde – che Brünnhilde si trova per la prima volta faccia a faccia con l’amore, lei che fino a quel momento ha conosciuto solo la devozione filiale verso un padre-dio. E tale crescente consapevolezza la spinge a tentare invano di salvare Siegmund, disobbedendo al padre, provocandone l’ira e la punizione, poi addolcita nel confronto finale tra padre e figlia, quando Brünnhilde ribadisce di non aver fatto altro che cercare di realizzare la vera, nascosta volontà di Wotan. Dunque la figlia preferita di Wotan, colei che incarnava la sua stessa volontà, la valchiria libera dalla schiavitù della sottomissione all’uomo, dovrà abbandonare il suo status divino e dormire un lungo sonno protetta da un cerchio di fuoco, perché solo “un libero eroe senza paura” riesca a raggiungerla e conquistarla. Il lungo, struggente addio di Wotan “all’intrepida, superba figlia”, seguito dall’incantesimo del fuoco, chiude un dramma avvincente, che ha bisogno di grandi interpreti per risplendere e, vien voglia di dire, anche nulla più.
Per questo l’allestimento da fiaba di David McVicar, criticato anche pesantemente in ‘Das Rheingold’, qui scorre innocuo e placido, prevalentemente notturno ma baciato dalle luci convincenti di David Finn, essenziale e ruvido, con pochi elementi in scena: la cupa capanna-prigione di Hunding nel primo atto, mentre alcuni menhir e un mappamondo gigante arredano il Walhalla nel secondo atto, e nel terzo un’enorme testa adagiata di profilo sul fondo del palcoscenico si aprirà per accogliere il sonno della dormiente.
Unico elemento bizzarro i cavalli delle valchirie, a cominciare da Grane, il destriero di Brünnhilde, scalpitante e baldanzoso come e più degli altri cavalli. La particolarità è che gli animali presenti in scena sono rappresentati da uomini che indossano costumi animaleschi. Così i due corvi che accompagnano Wotan all’inizio, i martoriati arieti che guidano il carro dell’insopportabile Fricka, e i destrieri delle valchirie, mimi su bassi trampoli, che “indossano” il muso scheletrico di un cavallo. Animalesca è anche la tribù del brutale Hunding.
Non ci sono voci dai grandi volumi nel cast di ‘Die Walküre’, ma ci sono grandi interpreti. Sieglinde (la debuttante Elza van den Heever) e Siegmund (Klaus Florian Vogt, tenore più lirico che eroico) cantano il loro amore con tenerezza e passione; Brünnhilde (una vibrante Camilla Nylund) fronteggia il padre Wotan dilaniato dai tormenti (Michael Volle, uno dei grandi Wotan del nostro tempo, un po’ affaticato nel terzo atto); Fricka (Okka von der Damerau) si impone con autorevolezza. Ma la vera trionfatrice della serata – ho assistito alla prima replica – è la direttrice australiana Simone Young. Se in ‘Das Rheingold’ non aveva convinto del tutto, in ‘Die Walküre’ è semplicemente strepitosa dall’inizio alla fine. Non c’è solo la totale padronanza della complessa architettura wagneriana, ma anche l’espressione di una propria visione – narrativa, appassionata, a tratti cupa, spettacolare – che accompagna i protagonisti nel loro percorso. Che cosa è cambiato? Simone Young ha fatto sua l’orchestra del Teatro alla Scala e la musica deflagra in tutta la sua potenza e poesia, con lei sempre attenta all’equilibrio tra buca e palcoscenico.
Gli applausi non mancano per nessuno, con qualche dissenso per Wotan e per la regia, ma i più fragorosi sono per Simone Young. ‘Die Walküre’ si replica alla Scala fino al 23 febbraio.