Il Faust di Goethe nella versione piegata alle esigenze del nostro tempo del giovane autore e regista Leonardo Manzan, in scena al Lac l'11 e 12 febbraio
Il Faust di Goethe non è certo un testo facile da maneggiare: un’opera monumentale, ricca di contraddizioni. Non solo per la sua complessità e le mille sfumature intellettuali, ma anche per la natura stessa dell’opera, che Goethe definiva «incommensurabile». Eppure, Leonardo Manzan ha deciso di piegarlo alle esigenze del nostro tempo, senza fronzoli né riverenze. La versione di Faust che il giovane regista porta in scena al Lac i prossimi 11 e 12 febbraio, trae la sua forza non tanto dalla grandezza dell’opera, ma dalla sua decostruzione.
C’è qualcosa di particolarmente affascinante nel prenderlo e smontarlo pezzo per pezzo, nel rimodellarlo sotto la pressione del presente. «Abbiamo deciso di metterlo in scena prima ancora di averlo letto», spiega Manzan. «Il diavolo mi affascinava così tanto che ho pensato: “Manteniamo vivo questo istinto”».
Si fa prima a dire cosa abbia mantenuto dell’opera di Goethe, piuttosto che ciò che ha cambiato. «Il testo originale è molto criptico: un miscuglio di allegorie, di storie, di personaggi e di erudizione», afferma l’autore. Nel suo spettacolo, Faust è lontano dall’essere l’eroe tragico in cerca della verità assoluta; diventa piuttosto un artista che ha smarrito la propria identità. Il suo conflitto non è tanto con Mefistofele, definito, in un mondo che ha smesso di credere al male “un diavolo disoccupato”, quanto con sé stesso.
Come racconta Manzan: «Sui due protagonisti ci siamo scontrati con il ragionamento più volte, cercando di capire cosa significasse mettere in scena un diavolo senza potere e un intellettuale così infelice da arrivare a un annichilimento tale delle sue funzioni che non riusciva più nemmeno a desiderare il patto con il diavolo, la spinta drammatica dell’originale».
Il patto con il diavolo, tradizionalmente simbolo di corruzione e tentazione, si trasforma in questa versione in una metafora dell’artista moderno, schiacciato dalle dinamiche dell’industria culturale e costretto a piegarsi. «Faust incarna l’artista che è sottomesso ai criteri di mercato, ma anche una deformazione del pensiero che permea la cultura di oggi», spiega. Ma non si tratta solo di una critica alle logiche economiche. Manzan va oltre, e sfida la comodità delle convenzioni contemporanee, dipingendo il quadro di un’arte sempre più piegata alle esigenze del “politically correct” e della censura travestita da progresso. «Parlo tra le righe, ma intendo anche la cancel culture, che oggi si spaccia per una censura progressista», ammonisce, «sta facendo grossi danni al mondo dell’arte».
«La scenografia è un lunghissimo tavolo da conferenza, simbolo di un teatro che, per Faust, si è appiattito. È diventato una lezione accademica, un comizio politico, perdendo la fantasia dei personaggi e la possibilità di rappresentare il male». La rappresentazione si trasforma così in una riflessione meta-teatrale, un dialogo che smonta le aspettative dello spettatore e le tradisce. «Cosa è vero? Cosa è reale? Cos’è verosimile? In tutti i miei spettacoli cioè si proprio conflitto realtà finzione, verità, illusione». La conferenza che si svolge sul palco è un atto di provocazione, così, ogni scena, pur mantenendo un legame con l’originale, si articola in modi inaspettati, con stacchetti e un tono che sembra essere un richiamo al cabaret. «Lo spettatore trova le sue aspettative tradite. La conferenza, infatti, non è ciò che ci si aspetta quando si va a teatro. Il tentativo è proprio quello di spogliarla della sua realtà e trasformarla nella follia fantastica che è il Faust di Goethe».
Dietro a questo grande lavoro di sovversione si rimboccano le maniche i collaboratori di sempre di Manzan, come Rocco Placidi, che scrive i testi, insieme agli attori Paola Giannini e Alessandro Bay Rossi, ma anche nuovi innesti, come Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti, Alessandro Bandini e Jozef Gjura, che formano quello che viene definito un «quartetto in scena esplosivo». La compagnia è il cuore che trasforma il Faust da semplice riflessione intellettuale a un’esperienza fisica e teatrale. Ma se c’è una verità che emerge da questa messa in scena, è che l’arte e il teatro stanno affrontando delle sfide, ma non sono destinati a soccombere. «Crediamo che il mondo abbia nascosto il diavolo sotto al tappeto, ma lo stiamo ignorando», conclude Manzan. «E non aggiungo altro perché svelerei il finale. Concludiamo così, con un cliffhanger».