laR+ Spettacoli

Con Walter Ricci il jazz parla napoletano

Intervista al musicista che, domani al Teatro Sociale di Bellinzona per il Jazz Cat Club, racconterà il suo viaggio musicale

Walter Ricci
7 febbraio 2025
|

A dieci anni cantava le canzoni classiche napoletane alle feste di matrimonio in giro per la Campania. Ma poi, stregato dal jazz, ha imparato a suonare il pianoforte e a 14 anni ha fondato il suo primo quartetto. Oggi Walter Ricci di anni ne ha 35 e di strada ne ha percorsa tanta, anche col sostegno e al fianco di mentori come Fabrizio Bosso e Stefano di Battista. Sabato 8 febbraio, alle 20.45, al Teatro Sociale di Bellinzona (biglietti alla cassa serale), lo si potrà ascoltare in quartetto in un programma che propone memorabili standard jazz cantati in napoletano. Con Walter Ricci sul palco, per una serata all’insegna della leggerezza (ma non della banalità) Andrea Santaniello al sax, Dario Rosciglione al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria.

Walter, nel tuo album "Naples Jazz" reinterpreti in napoletano standard jazz americani. Così "L.O.V.E." si trasforma in "Uè", "Unforgettable" diventa "Tengo o friddo ncuollo". Come hai selezionato i brani, quale criterio hai seguito nella loro scelta?

La selezione dei brani è avvenuta seguendo un criterio melodico: ho analizzato il ritmo e gli intervalli della melodia per capire quali pezzi potessero adattarsi meglio alla reinterpretazione in napoletano. Ovviamente, l'intuizione ha giocato un ruolo fondamentale. È stato un lavoro creativo molto interessante. Io sceglievo i brani e Alessio Bonomo, il mio autore, si occupava di riadattarli. Direi che ha funzionato alla grande, considerando il risultato ottenuto.

La fusione tra la tradizione jazz di New Orleans e la tarantella napoletana è un elemento distintivo di ‘Naples Jazz’. Come sei riuscito a integrare questi due mondi musicali apparentemente così distanti?

Credo che la bellezza della musica stia nella sua capacità di unire mondi diversi. Attraverso il racconto, i testi e la fusione dei suoni, è possibile creare connessioni inaspettate. La musica, proprio come la cucina, permette di mescolare ingredienti diversi. Bisogna però avere gusto.

Qual è stata la sfida più grande nel reinterpretare questi classici in dialetto napoletano?

Sicuramente trovare il giusto equilibrio nei testi. Si trattava di esaltare la musicalità del napoletano e preservarne la teatralità senza però scivolare in una retorica eccessiva, che avrebbe reso tutto troppo pesante. Per me la musica non è un esercizio tecnico, ma qualcosa di spontaneo e quindi mi sono spesso affidato all’istinto, alla prima ispirazione.

Quanto hanno influenzato le tue radici napoletane il tuo stile musicale? Che ruolo ha oggi Napoli nella tua vita e nel tuo percorso artistico? Cosa rappresenta per te questo progetto?

Napoli è la culla della mia musicalità. L'ho portata con me ovunque, fin da quando, a 20 anni, mi sono trasferito a Parigi: nei miei concerti inserivo sempre due o tre canzoni napoletane e devo dire che il pubblico apprezzava sempre. Con questo album ho voluto raccontare Napoli a modo mio, in modo spontaneo, fondendo le mie origini musicali con la musica che amo di più: il jazz. Napoli è una città straordinaria, ricca di storie, umanità, cultura e bellezza. Nascere qui è una fortuna, e in tutto ciò che faccio cerco sempre di metterci un po’ di questa magia.

Hai collaborato con tanti artisti di spicco. C’è un incontro o un’esperienza che consideri fondamentale per la tua crescita artistica? Forse l’incontro con Fabrizio Bosso, che si è esibito al Jazz Cat Club proprio due settimane fa?

Ho avuto la fortuna di conoscere molti grandi artisti e Fabrizio Bosso è uno di quelli. Lui mi ha presentato tutta la scena del jazz italiano e mi ha dato la fiducia. Senza dimenticare Stefano di Battista, ma anche tanti altri all’estero, che hanno contribuito alla mia crescita.

La scena jazz in Italia è in continua evoluzione. Quali sono le sfide principali per un musicista jazz oggi? C’è ancora spazio?

Penso che ci sia sempre spazio per il jazz. Se un musicista ha il coraggio di sperimentare, di ricercare nuovi suoni e riproporli in una veste originale, qualcosa di interessante e di buono emergerà sempre. L’arte non sfugge alla regola dello spazio e del tempo, ma il jazz è come la musica classica, un genere che va oltre le mode. A me piace pensare di essere uno che porta il jazz alle giovani generazioni.

Recentemente le cronache mondane hanno parlato di te per l’inizio di una relazione con la cantante Arisa. Possiamo aspettarci in futuro una collaborazione musicale fra voi due?

Mi aspettavo la domanda… Io e Rosalba abbiamo una grande voglia di condividere esperienze e informazioni musicali e di cantare insieme. Finora non c'è stata un'occasione concreta per farlo in pubblico, ma se un giorno accadrà, sarà una gioia. Vedremo cosa ci riserverà il futuro.

Guardando appunto al futuro, quali sono i tuoi sogni o progetti in cantiere? Hai in mente nuove collaborazioni o magari un disco che esplori ulteriormente le tue radici musicali?

Nell’immediato c’è in ballo un follow up di “Naples Jazz”. Ad aprile usciremo con dei primi singoli e poi con l’album intero a fine 2025. È un anno e mezzo che ci lavoro con Alessio Bonomo. Sarà una cosa molto divertente, sorprendente, spumeggiante, anche un po’ in stile dance e con un tocco esotico sudamericano, ma che mantiene l’eleganza del jazz. È un bel progetto: ho la sensazione che abbiamo miscelato ancora meglio la musica con il dialetto napoletano.