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‘Quel gioco dove ammazzano la gente’

È ‘Squid Game 2’ di Netflix per il suo protagonista. Amazon rilancia con ‘Beast Games’, niente omicidi perché c’è gente vera, ma il sadismo scorre a fiumi

L’attore Lee Jung-jae è Seong Gi-hun, il giocatore 456. Nel riquadro, Jimmy Donaldson (MrBeast), creatore di ‘Beast Games’
(Netflix/Amazon Prime)
11 gennaio 2025
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Per festeggiare il passaggio al nuovo anno Netflix ha reso disponibile la tanto attesa seconda stagione di ‘Squid Game’, una serie in grado di catturare lo spirito dei tempi e al tempo stesso influenzare l’immaginario popolare. Con adulti e persino bambini che il prossimo Carnevale, potete starne certi, si maschereranno da guardie rosa, con il volto nascosto dietro le tre figure geometriche simbolo del gioco: il triangolo, il cerchio e il quadrato; oppure da ‘giocatori’, con le tute bianco-verdi su cui è stampato il numero identificativo di ciascuno. La prima stagione ha scatenato molti tentativi di emulazione: in alcuni ristoranti si poteva provare a staccare la figura dell’ombrello nella cialda zuccherina, con un ago, proprio come in uno dei giochi più tremendi della serie. I negozi online sono stati invasi da riproduzioni della bambola assassina di “un-due-tre-stella” e altri gadget ispirati alla serie. Persino in una palestra del mio quartiere, in un corso di arti marziali per bambini, per scaldarsi i bambini facevano il “gioco del calamaro”, che poi sarebbe una specie di campana, ma loro lo chiamavano in quel modo perché è come viene chiamato in ‘Squid Game’ (la tradizione di nonne e nonni rimpiazzata in un men che non si dica da una serie sanguinolenta). E forse l’emulazione più megalomane e significativa è quella dei ‘Beast Games’, il gioco a premi prodotto da Amazon e condotto dal più famoso youtuber al mondo, MrBeast, in cui nessuno viene ucciso ma la crudeltà è più o meno la stessa di Squid Game (ci arriveremo).

I soldi

All’inizio della seconda stagione il protagonista dà una rapida definizione di ‘Squid Game’: “È quel gioco dove ammazzano la gente”. Certo la serie punta molto sullo shock delle uccisioni e insiste nel provare a elevarsi a riflessione filosofica – la banalità del male eccetera eccetera –, ma soffermarsi sulla violenza fisica significa mancare il vero punto di ‘Squid Game’, che è l’altro tipo di violenza, quella simbolica. Anzi, persino i partecipanti al gioco, nella serie, si abituano presto al livello di efferatezza da campo di concentramento in cui si trovano. ‘Squid Game’ vuole essere una sorta di satira drammatica del capitalismo e per questo il vero punto sono i soldi. Quello che i vari personaggi sono disposti per i soldi. Seong Gi-hun, il protagonista col numero 456, che ha vinto la prima edizione, prova in tutti i modi a sabotare il gioco. Non solo non riesce a godersi i soldi vinti, perché di fatto macchiati del sangue degli altri partecipanti, ma dedica tutto il suo impegno alla ricerca della fantomatica isola dove il gioco è organizzato e mette in piedi un piccolo esercito di mercenari. Non vi dico cosa succede, ma anticipo solo che questa stagione è lunga sette episodi e si interrompe prima di un vero e proprio finale, rimandando alla terza stagione che, secondo le ultime notizie, dovrebbe uscire in estate o in autunno.

Cane mangia cane

La vera perversione di ‘Squid Game’ non è la freddezza con cui i partecipanti al gioco vengono liquidati, ma semmai il modo in cui prova a confondere i suoi spettatori. E non solo per i colori pop e le scenografie da cartone animato, che a dire il vero rappresentano bene il modo in cui il potere può mascherare la propria spietatezza. Dietro le buone intenzioni del protagonista e l’empatia che il racconto crea con alcuni partecipanti al gioco, si nasconde una visione del mondo cinica e banale, quella del cane mangia cane. Dentro ogni uomo c’è un assassino potenziale e basta poco per risvegliarlo, in questo caso, per molti dei giocatori, bastano trecento milioni di euro (che è più o meno quello che vincerebbe l’unico sopravvissuto finale). Quello di cui però ‘Squid Game’ vuole convincerci è che anche chi non è avido fino al punto di uccidere può trovarsi in quella situazione. Molti personaggi hanno storie più o meno strappalacrime alle spalle, figli malati a cui non possono pagare le cure, imprese fallite, debiti di gioco e criminali alle calcagna: insomma qualcosa li ha messi con le spalle al muro. Non hanno scelta. Ok, d’accordo, ma prima? Non avevano altre scelte a loro disposizione? Come ci sono finiti veramente in quel posto?

‘Squid Game’ non può certo trasformarsi in una ricerca psicologica e sociale di ognuno dei suoi personaggi, ma messa in questo modo è tutto troppo meccanico. Anche se la serie vorrebbe mettere in mostra il sadismo del Capitale, volendo o no finisce per togliere ogni responsabilità agli individui e alla società che partecipano al gioco: non è che non possono scegliere altrimenti, è che non esiste proprio alternativa. L’alternativa alla violenza non è la solidarietà (che anzi è controproducente, autolesionista), ma semplicemente altra violenza.

Il sogno del neoliberismo

Per questo può essere interessante guardare anche lo show concorrente di Amazon, ‘Beast Games’. Cosa succede se teniamo i soldi e togliamo gli omicidi (grazie, Amazon, com’è umano lei, direbbe Fantozzi), le persone saranno meno crudeli o egoiste? ‘Beast Games’ è una vera competizione tra mille persone a cui MrBeast ha promesso 5 milioni di dollari (il più grande montepremi della storia della tv, come non smette di ricordarci). Dato che ci sono persone vere, come detto, non possono ucciderle, ma MrBeast ha trovato una soluzione altrettanto efficace: i concorrenti eliminati nei primi giochi spariscono in un buco che si spalanca sotto i loro piedi. Da un punto di vista simbolico è ancora più potente, non ci sono corpi da togliere di mezzo, né sangue da pulire, ma in questo modo si realizza ancora meglio il sogno del neoliberismo: far sparire i poveri, i perdenti. MrBeast stesso trattiene a stento la propria eccitazione quando vede sprofondare in una botola i primi concorrenti eliminati.

Come in ‘Squid Game’, anche in questo caso i concorrenti vengono sottoposti a una serie di prove “morali”, dei ricatti del tipo: accettereste 50mila dollari, rinunciando ai cinque milioni ed eliminando anche i propri compagni di squadra con cui hai chiacchierato fino a un attimo prima? E se cinquantamila sono pochi, che ne dici di un milione? Riuscirai a non premere su quel bottone che ti farà odiare dagli altri partecipanti di squadra e dal pubblico che ti renderà ricco? Quando durante una di queste prove, in effetti, nessuno dei partecipanti cade nella tentazione, MrBeast è deluso: “Adesso gli spettatori penseranno che è tutto finto”.

Anche questi concorrenti hanno motivazioni personali più o meno nobili: “Voglio togliere la mia famiglia dalla povertà”; “voglio aiutare la mia comunità”. Anche loro non sembrano avere alternativa. Implicitamente denunciano il fallimento irrimediabile del sistema americano – e quindi occidentale –, ma dimenticano che anche loro, ridotti a un numero come i partecipanti di ‘Squid Game’, hanno scelto di essere lì. Anche ‘Beast Games’ è una serie sadica, che non spara ai propri concorrenti ma li umilia in un altro modo, facendoli appassionare a dei giochini stupidi che non richiedono quasi nessuna abilità. La violenza di ‘Beast Games’ non è orrifica, ma il suo squallore fa altrettanta paura. Non c’è niente di più triste di un adulto che si dispera e piange perché la sua torre fatta di figure geometriche colorate collassa. Anzi sì: un adulto che esulta e grida: “Ce l’ho fatta!”; oppure: “È stato dio!”, perché la sua torre è rimasta in piedi.