laR+ Sulla Croisette

Cannes! oh Cannes! (titoli di coda)

Texture, Mercato, party, il film dell’anno, la coproduttiva Confederazione e l’esito prevedibile: a luci spente, un bilancio della 77esima edizione

Nella foto il regista Sean Baker
(Keystone)

Se c’è una certezza è quella che il Festival di Cannes, a differenza di molti altri Festival cinematografici, non va mai negli archivi perché i film che si son visti sulla Croisette qui hanno il loro punto di partenza verso le sale cinematografiche del mondo intero, verso le piattaforme a pagamento o gratuite più aggiornate, e per molti ancora verso altri Festival, pronti a nutrirli di una linfa inconfondibile. Perché la texture, il tessuto dei film che sbarcano a Cannes è unico, distinguibile. Non sono solo i film che hanno vinto nelle varie sezioni, sono tutti quelli che hanno partecipato. Scorrendo premi e film si scoprono mondi pronti ad aprirsi; ogni Paese ha in questo Festival ha un momento di gloria e se lo costruisce per essere visibile.

La Svizzera, per esempio

Tre grandi party hanno segnato la presenza svizzera a Cannes e tre sono i premi che la Svizzera si è portata a casa: uno nella sezione Un Certain Regard (vinta dal cinese ‘Black Dog’ di Guan Hu) dove il premio per la miglior attrice è andato a Anasuya Sengupta per ‘The Shameless’ di Konstantin Bojanov, un film coprodotto dalla Svizzera, già segnalato da molti come uno dei più importanti di Cannes, e che ha colpito noi, più che per la storia, per il fascino che emana da due donne, una prostituta (il ruolo dell’attrice premiata) e una giovane, Devadasi, capaci di fare innamorare mentre la polizia mostra tutta la sua violenza machista, protetta dal potere politico. È un po’ Svizzera anche la Queer Palm 2024: Best Short Film è la coproduzione svizzero-spagnola ‘Las Novias Del Sur’ di Elena López Riera, regista e studiosa che insegna cinema e letteratura comparata all’Università di Ginevra (uno dei suoi ultimi lavori, ‘Los que desean’, candidato agli European Film Awards, ha vinto il Pardino d’Oro al Festival di Locarno nel 2018). Quella di López Riera è una di quelle storie che a Cannes si raccontano a centinaia e centinaia, perché essere qui è conferisce una indelebile laurea. Nella svariatezza di idee e premi: Lætitia Dosch, attrice francese con cittadinanza svizzera, ha vinto la Palm Dog 2024, premio dedicato a un cane protagonista, grazie al suo Kodi the Dog per il ruolo nel suo lungometraggio ‘Le procès du chien’, visto a Un Certain Regard, naturalmente coprodotto tra Svizzera e Francia.

E non parliamo del Mercato, il vero motore del Festival, non solo per le centinaia di feste che celebra, non solo per le spese folli che vengono pagate a notte nei grandi alberghi (fino a oltre ventimila euro per dormire poi tre ore!). Il mercato è più chiaro di una Borsa finanziaria, si vendono e comprano film, si fanno progetti per i prossimi anni. ‘Horizon: An American Saga’, per esempio, un film di e con Kevin Costner di cui abbiamo visto il primo di quattro capitoli, aveva veramente bisogno di Cannes per completare il progetto: l’unico modo è venderlo nel mondo, e solo a Cannes si può fare, nel Mercato cinematografico più grande del mondo, dove i sogni nascono e nessuno prega perché muoiano.


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Hiroshi Okuyama

Tre film

Al di là dei tanti grandi e importanti film che abbiamo visto e di cui abbiamo sentito parlare (più di quattro o cinque al giorno non se ne possono vedere), tre ci hanno colpito per la semplicità profonda del loro dire: ‘Boku No Ohisama’ (My Sunshine) di Hiroshi Okuyama, ‘En Fanfare’ di Emmanuel Courcol e ‘Le Roman de Jim’ dei fratelli Arnaud & Jean-Marie Larrieu. Il primo si è visto a Un Certain Regard e gli altri due nella sezione Cannes Première. Il giapponese Hiroshi Okuyama racconta una storia ambientata nel mondo giovanile dei pattinatori su ghiaccio, è l’incontro tra un ragazzino che detesta giocare a hockey perché lo trova violento, una ragazzina che sogna di diventare una grande pattinatrice e un maestro che è già stato un campione dello sport e che ora cerca di trasmettere la sua esperienza. ‘Boku No Ohisama’ è un film pieno di luce che improvvisamente si colora di scuro perché la ragazzina scopre che il maestro convive, innamorato, con un altro uomo.


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I fratelli Arnaud & Jean-Marie Larrieu

Film che carica di amarezza per il peso dell’odio che mostra e condanna, ‘Le Roman de Jim’ è un'opera sulla paternità. Una ragazza incinta incontra un uomo dolce, che accetta di far crescere il figlio di lei e di fargli da padre. Gli anni passano, il bambino va a scuola vive una vita felice con un padre che l’ama. Ma un giorno riappare il padre naturale, la donna prende il figlio e lo segue in Canada, raccontando al bambino che l’uomo che gli faceva da padre aveva un’altra donna e un altro bambino. Nutrito dalla terribile menzogna, Jim riappare arrabbiato a vent’anni all’uomo che gli ha fatto da padre e lo sfida, per farlo morire. Ben raccontato, il film è stato subissato dagli applausi.


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Emmanuel Courcol

Abbiamo tenuto alla fine il film che è stato Cannes quest’anno: ‘En Fanfare’ di Emmanuel Courcol: basti dire che alla parola fine, sul palco è salita (suonando) la banda musicale protagonista del film, con la sala gremita a applaudire e a dare il rimo al piacevole concerto improvvisato. E il film grondava di musica, di cultura, di amore fraterno di vita e dell’indispensabile morte. La vicenda di un quarantenne grande compositore e direttore d’orchestra s’incrocia con un ignoto passato: lui viene da una famiglia altolocata, ma quando gli scoprono una mortale leucemia, il musicista scopre che quella non è la sua famiglia, che è stato adottato e ha un fratello che lavora in fabbrica e vive nei quartieri bassi della città. Sarà lui a donargli il midollo per provare a salvarlo. Il cinema, il concerto, gli applausi: questo è Cannes.

Un palmarès annunciato


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Greta Gerwig

A cosa servono le Giurie? Comporre una Giuria è il lavoro più tremendo per il direttore artistico di un Festival, e ben lo sa Thierry Frémaux, delegato generale di Cannes, che dal 2001 dirige il più famoso Festival Cinematografico al mondo. Si tratta di scegliere delle persone che vadano a giudicare il tuo lavoro di selezionatore, in pratica a giudicare l'intero tuo lavoro, partendo da un altro punto di vista: il loro. Ecco allora che dopo 11 giorni di lavoro su 22 film, è arrivato il verdetto della Giuria del 77esimo Festival di Cannes, presieduta dalla regista, sceneggiatrice e attrice americana Greta Gerwig (quella di ‘Barbie’), circondata dalla sceneggiatrice e fotografa turca Ebru Ceylan (sceneggiatrice, moglie e collaboratrice di Nuri Bilge Ceylan, veterano di Cannes), dall'attrice americana Lily Gladstone (da tutti ricordata come protagonista di ‘Killers of the Flower Moon’ di Martin Scorsese), dall'attrice francese Eva Green (la Vesper Lynd del film di James Bond ‘Casino Royale’), la regista e sceneggiatrice libanese Nadine Labaki (il suo ‘Capharnaüm’ è andato a premio qui nel 2018), il regista, produttore e sceneggiatore spagnolo Juan Antonio Bayona (era il regista di ‘Jurassic World: Fallen Kingdom’), l'attore italiano Pierfrancesco Favino (protagonista di ‘Comandante’, che ha aperto Venezia lo scorso anno), il regista giapponese Kore-eda Hirokazu (Palma d’oro qui a Cannes nel 2018) e l'attore e produttore francese Omar Sy (protagonista di ‘Tirailleurs’ a Cannes 2022).


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Payal Kapadia

Paesi canaglia

Quello appena elencato è un gruppo di qualità, e indiscutibile è la scelta del premio per la Miglior regia al portoghese Miguel Gomes, per il suo fantasioso e favoleggiante ‘Grand Tour’, come pure il Gran Premio, ovvero il secondo premio del Festival per importanza, andato a ‘All We Imagine As Light’ di Payal Kapadia: di lei e del film avevamo scritto che “questo ritorno merita probabilmente un grande premio” e infatti la pellicola ben rimedita sulla situazione femminile nel subcontinente indiano. A questo punto qualcosa non è funzionato in Giuria, e a segnalarlo è l’invenzione di un premio aggiunto da assegnare al dissidente iraniano Mohammad Rasoulof per il suo ‘Les Graines Du Figuier Sauvage’, un film duro e importante, girato in condizioni estreme, ma che manca di qualcosa necessario al suo dire: la passione e l’entusiasmo, perché l'opera è un j’accuse senza voce. E la Giuria ha voluto dargli quella voce, mostrando così il peso politico che si è voluta assumere: se Rasoulof condanna la brutalità del regime iraniano, e quel punto resta fuori uno dei favoriti, il film cinese ‘Fēngliú yīdài’ di Jia Zhangke, visto che anche la Cina, per l’americana presidente di Giuria, è un paese canaglia; fuori anche ‘Limonov: The Ballad’, del russo Kirill Serebrennikov, anche se avrebbe meritato almeno il premio per la miglior interpretazione maschile a Ben Whishaw, uno che sa recitare, non come l'inespressivo di Jesse Plemons, coinvolto nel disastroso ‘Kinds of Kindness’ di Yorgos Lanthimos, cui è andato il premio.


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Karla Sofía Gascón

Annacquata la potenza di Karla Sofía Gascón

Svenduto il premio per la miglior sceneggiatura, andato al ridicolo ‘The Substance’ di Coralie Fargeat, negato alla più riuscita delle sceneggiature, quella del rumeno ‘Trei kilometri până la capătul lumii’ di Emanuel Pârvu. Ma ‘The Substance’ è un film americano come la presidente di Giuria. Restava da sistemare l’altro grande favorito della vigilia, ‘Emilia Pérez’ di Jacques Audiard, e la Presidente di Giuria evidentemente aveva altre idee. Dunque ‘Emilia Perez’ non doveva avere la Palma d’oro e allora le sono stati assegnati due premi un premio della Giuria, il più piccolo: restava il premio per la miglior interpretazione femminile, ma la grande protagonista del film di Audiard è Karla Sofía Gascón, attrice transgender, e poteva una Giuria così attenta ai fattori politici permettersi la gioia di premiarla? No! Hanno diviso il premio tra le quattro interpreti femminili del film, senza curarsi della loro importanza. Tre di esse annacquano la potenza di Gascón. Dati i due premi a ‘Emilia Pérez’, la Palma d’oro poteva viaggiare tranquilla verso un’altra pellicola americana: scartato il poco digeribile Coppola, non restava che la celebrazione politicamente corretta del MeToo con ‘Anora’, la variazione moderna della favola di ‘Pretty Woman’ firmata, con una montagna di inutili inseguimenti notturni, da Sean Baker. Una Palma d’Oro meritata? Per la Giuria di Greta Gerwig, certamente, ora che la bandiera a stelle e strisce sventola sulla Croisette.

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