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Polemiche su ‘Transatlantic’, la nuova serie Netflix

Accusata di distorcere la storia. ‘La nostra è una drammatizzazione, non un documentario’, risponde la regista

‘Dipinge le fughe dalla guerra con inatteso glamour’, ha scritto il Financial Times

Polemiche su ‘Transatlantic’, la nuova serie Netflix incentrata sul dramma dei fuoriusciti, molti dei quali ebrei, nella Marsiglia 1940 gestita dal governo filonazista di Vichy durante l'invasione tedesca in Francia. L'ultima fatica di Anna Winger (‘Unhortodox’) e Daniel Hendler (‘Margin Call’) “dipinge le fughe dalla guerra con inatteso glamour”, ha scritto il Financial Times. I sette episodi descrivono gli sforzi di ‘estrarre’ artisti, dissidenti ed ebrei in fuga – tra questi Marc Chagall, Hannah Arendt, Marcel Duchamp e Max Ernst – dalla città francese, procurando loro fogli di via e passaporti falsi. La campagna dell'allora neonato Emergency Rescue Committee garantì salvacondotti a oltre duemila persone permettendo loro di salvarsi la vita attraversando i Pirenei e infine raggiungendo gli Stati Uniti. Fu una storia di incredibili eroismi e umanità a fronte degli istinti di autoconservazione dei francesi e l'isolazionismo degli Stati Uniti a cui “la drammatizzazione non rende giustizia”, scrive il quotidiano britannico, secondo cui “il glamour e la frivolezza di certe scene avrebbero potuto quantomeno essere contestualizzate”.

Polemiche anche in Israele: “Trasforma quella che fu una tragedia in una parodia”, ha titolato Haaretz. Per il quotidiano israeliano, le sette puntate di ‘Transatlantic’ “sono un insulto alle intrepide anime”, tra queste il giovane giornalista americano Varian Fry, che rischiarono la vita per aiutare i profughi a sfuggire all'Olocausto.

‘Transatlantic’ è ispirato al romanzo del 2019 ‘The Flight Portfolio’ di Julie Orringer. Haaretz mette a raffronto la serie con il breve segmento sulle gesta di Fry nel documentario di Ken Burns sull'Olocausto: “Mi chiesi allora quando Hollywood si sarebbe decisa a drammatizzarne la storia”, ha scritto il critico del giornale, deluso per come sono invece andate le cose. Per parte sua, la Winger ha reagito alle polemiche: “La nostra è una drammatizzazione, non un documentario”, ha detto la regista, il cui obiettivo era di far conoscere a un vasto pubblico “l'eroismo di Fry” e del suo piccolo gruppo di expat americani, dei profughi europei e di alcuni francesi “anche a costo di sfumare, abbellire e omettere fatti storici”.

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