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Brian Eno, la voce del guru

‘ForEverAndEverNoMore’ è l’evoluzione del genere che aveva creato. Brani quasi tutti sotto i 5 minuti e, per la prima volta in vent’anni, cantati

Brian Eno

Un guru, al contrario di un leader, non si autocandida a capo di nessuno e non dispensa ordini atti a soluzioni rapide e drastiche; viene promosso piuttosto da un tacito e lento consenso popolare limitandosi a suggerire percorsi interiori capaci d’innescare cambiamenti fondamentali e non momentanei. Guida spirituale per alcuni, maestro intellettuale per altri. In un mondo che abbonda di certezze e assoluti, oggi come mai, si avverte la penuria di alcune delle caratteristiche che li contraddistinguono. Due su tutti: modestia ed ermeticità intesa come reticenza ad apparire e spacciare, ad nauseam, concetti predigeriti. Per guadagnarsi i gradi non basta però mettersi in un angolo con aria misteriosa. Il percorso è lungo, incerto e, come detto, involontario.

Ambient

Brian Eno si presenta al mondo in qualità di tastierista dei Roxy Music, schivando da subito, con una certa timidezza mista a pudore, la definizione di musicista. D’altronde il suo approccio alla musica e all’arte è da subito sperimentale e proiettato a un percorso a lungo termine durante il quale, parallelamente alla produzione artistica, Eno continuerà a interrogarsi sul ruolo, la definizione e l’ossessione dell’uomo per l’arte. Lascia quindi dopo appena due album la lanciatissima band di Brian Ferry, sofisticata commistione di art rock, sperimentazione e il glam dell’epoca, per un’incerta carriera solista. Gli bastano cinque anni per creare un nuovo genere musicale, l’Ambient music, che prevede lunghissimi brani strumentali, ininterrotti e minimalisti. Brani che non distraggano con un testo e privi di una struttura che richieda attenzione ma che serva a creare un mood lungo e costante, capace di accompagnare magari la mano di un pittore, di un grafico o di uno scrittore.

Arriviamo alla fine degli anni 70 e il suo talento non passa inosservato a uno dei più grandi innovatori della storia della musica. David Bowie si avvale dei suoi servigi per la mitologica triade Berlinese, assicurandosi così un sound che continui a suonare contemporaneo vita natural durante, e riconoscendo Eno come artista di riferimento.

Quando la decade finisce e gli anni 80 propongono nuove leve, Brian Eno prende per mano gli U2 in qualità di produttore e in pochi anni la giovane band irlandese passa dall’acerbo e lineare ‘The Unforgettable Fire’, all’epico ‘Joshua Tree’, al rivoluzionario ‘Achtung Baby’, alla collaborazione tra lirica e rock coinvolgendo Luciano Pavarotti nel progetto Passengers.

Eno continuerà a spargere polvere magica tracciando linee di congiunzione tra i Talking Heads e i Coldplay, proponendosi come artista a tutto tondo e vedendo le sue installazioni video esposte nelle gallerie di Manhattan, così come proiettate sulle mura di castelli medievali; crea tecnologia e, commissionato dalla Microsoft, compone il sound di Windows 95. Spiegando poi di averlo fatto su un Mac. Non potendolo definire musicista, produttore, innovatore tecnologico o artista multimediale, guru diventa l’unico modo per descrivere l’influenza che ha su un vastissimo panorama culturale.

Quasi Asmr

Ci si immagina un guru come qualcuno che dispensa consapevolezza, se non conoscenza, acquisita nel passato. Eno invece rimane contemporaneo e torna con ‘ForEverAndEverNoMore’, evolvendo il genere che aveva creato con una selezione di brani quasi tutti sotto i cinque minuti e, per la prima volta in vent’anni, cantati.

In un’epoca nella quale nulla sembra riuscire a smuovere un sentimento di protesta tale da convincere gli artisti a mettere giù lo specchio, è un placido inglese di una generazione abituata a scendere facilmente in piazza per urlare il proprio dissenso, a farsi sentire con voce pacata, sussurrata quasi in stile Asmr. A conferma della sua continua attenzione in quel che accade anche tra i più giovani. Quando un guru sussurra, lo si ascolta.

"Come tutti – tranne la maggior parte dei governi del mondo – ho pensato al nostro futuro precario e ristretto, e questa musica è nata da quei sentimenti. Il mondo sta cambiando a un ritmo rapidissimo e gran parte di esso sta scomparendo per sempre... da qui il titolo dell’album".

La propaganda per Eno è sgradevole e relativamente inefficace. L’arte piuttosto serve a testare dove siamo in base a come ci sentiamo riguardo alle cose. I sentimenti sono l’inizio del pensiero. Un artista può istigarlo offrendo realtà possibili alternative, e Brian Eno lo fa con dei brani che potrebbero essere la colonna sonora dei titoli di coda di un film apocalittico, come pure i titoli di testa di un film che annuncia una rinascita. Su tutti, ‘There Were Bells’, brano che aveva già presentato al concerto all’acropoli di Atene, e ‘Who Gives a Thought’.

Bowie ha una volta detto che se si sta accanto a un’opera d’arte in qualche modo il suo misticismo arriva a toccarci dentro e a farci sentire meglio. Con un mix di austerità e naïveté, mettendoci la voce, Eno, a settantaquattro anni, si spoglia anche dell’ennesima definizione e da guru diventa opera d’arte lui stesso, basta porgergli un orecchio.

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