La recensione

Lucerne Festival, ‘in quell’aura sanza tempo tinta’

Luzerner Saal al completo per le ‘prime’ assolute (e assai lunghe) di Liza Lim e Tyshawn Sorey

Immagine d’archivio
(Keystone)
16 agosto 2022
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Il pubblico di un Luzerner Saal completo ha riservato applausi calorosi, di ammirazione e gratitudine, alle parole di benvenuto di Michael Haegliger, artefice della ripartenza senza limitazioni del Festival, e mostrato grande attesa per la prima esecuzione assoluta di due opere fresche d’inchiostro di compositori venuti da lontano: Liza Lim, nata in Australia da genitori cinesi nel 1966, adesso insegnante al Conservatorio di Sydney; Tyshawn Sorey, compositore e strumentista afroamericano, nato nel 1980 a Newark, sobborgo di New York. Si tratta di due composizioni lunghe, troppo lunghe, per quartetto d’archi, dedicate al Jack Quartet, la magnifica formazione di New York, che ho scelto di seguire nelle sue due esibizioni al Lucerne Festival di quest’anno.

Ho affrontato il concerto senza alcuna informazione sui compositori e sulle opere in programma. Non è stato stampato un programma di sala e il pubblico ha ricevuto solo un foglietto con i titoli dei due brani e brevi biografie, che ho riassunto sopra. I due compositori erano presenti in sala, disponibili per ogni informazione… in lingua inglese. Ma mi sembra che anche le presentazioni dei loro brani siano state alquanto lunghe, se è vero che peculiarità della musica è di esprimersi in musica e non a parole.

‘String Creatures’ di Liza Lim dura più di 40 minuti, come l’Eroica di Beethoven. È un quartetto, con il primo violino accordato su un’ottava più bassa, che mostra le peculiarità di una musica a programma. È suddiviso in tre parti, ognuna con un titolo, forse tre citazioni di musiche che non conosco, ma sono sembrate pertinenti a parecchi ascoltatori miei vicini. Questa musica di Lim, che fa un grande uso di flautati, la direi soprattutto intrigante per le sue scelte timbriche. Termina con tre note pizzicate, simili a tre puntini di reticenza, che sono state accolte dal pubblico del Luzerner Saal con un sorriso e poi con un applauso convinto.

‘For Grachan Moncur III’ di Tyshawn Sorey contrappone al quartetto d’archi una ricca percussione in un dialogo sommesso, di esasperante staticità, che dura più di un’ora come la Nona di Beethoven. Ripenso adesso al volto ispirato del compositore-strumentista che percuote tastiere, gong e tamburi e il volto sottomesso dei componenti il quartetto, che sfregano note sulle corde degli archi senza speranze di un tema. Un abbozzo di tema alla fine appare: un crittogramma di quattro note, insistente, angosciante come le voci fioche degli ignavi, che Dante colloca "in quell’aura sanza tempo tinta" del vestibolo dell’inferno. Ma intanto ai rintocchi delle percussioni si è sovrapposto il rumore dei tacchi degli ascoltatori, che per stanchezza hanno lasciato la sala in anticipo.

Sono fra coloro che sono rimasti in sala fino alla fine del concerto, per dovere di cronista, ma anche per il timore che il mio giudizio sia sbagliato. Nell’ambito di questo Lucerne Festival ho programmato un altro ascolto di musiche di Lim e di Sorey e spero di riuscire a riferirne con la massima oggettività che mi è possibile.

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