Spettacoli

Una storia d’amore di fine regime ai Secret Screening

La seconda proiezione segreta della direttrice artistica è una prima mondiale: ‘Walden’ di Bojena Horackova

8 agosto 2020
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Lei, Jana, è la classica brava ragazza, di quelle che finita la scuola declina con un sorriso un po’ imbarazzato l’offerta di una canna e torna subito a casa dal padre. Lui, Paulis, è il classico cattivo ragazzo, di quelli che la scuola l’ha lasciata per dedicarsi a piccoli traffici. Sullo sfondo, un impero sovietico prossimo alla fine – siamo a Vilnius, in Lituania, nel 1989 –, con un Occidente che si fa sentire sempre più vicino.

È chiaro fin dalle prime scene di ‘Walden’ di Bojena Horackova – il film in prima mondiale scelto dalla direttrice del festival per il secondo Secret Screenings – che i due sono destinati a innamorarsi, che lei è destinata a diventare per amore un po’ meno “brava ragazza”, che lui è destinato a restare il “cattivo ragazzo”, che la relazione è destinata a concludersi in malo modo. La regista sa però come andare oltre i cliché del genere: già sappiamo da un breve dialogo che a schermo nero apre il film come andrà a finire: lui in galera, lei in Francia. Anche il tema, visto in molti film, della caduta del regime comunista è affrontato in maniera non banale, sfumando speranze e disillusioni politiche in speranze e disillusioni personali. La regista ci invita infatti a scoprire, parallelamente alla giovane Jana (la brava Ina Marija Bartaité), anche la Jana adulta (Fabienne Babe) che, esule a Parigi, torna in Lituania. Ma non cerca né Paulis (Laurynas Jurgelis) né il suo amico Lukas (Mantas Janciauskas), bensì un lago, ribattezzato Walden, dove nell’89 la giovane coppia aveva cercato rifugio.

«È molto strano non essere lì, alla prima del mio film: quasi non mi sembra vero» ci spiega la regista ceca quando la raggiungiamo telefonicamente in Francia, dove vive. «Mi sarebbe piaciuto incontrare gli spettatori, parlare con loro, sapere cosa ne pensano». La pandemia ha ostacolato la realizzazione del film? «Le riprese no, erano già concluse: questo è un progetto al quale ho iniziato a lavorare da diverso tempo, con un budget molto ridotto per cui le riprese sono andate avanti "a singhiozzo": il confinamento è arrivato dopo, nella fase di montaggio».

C’è qualcosa di autobiografico, nel film? «Degli elementi autobiografici ci sono, ma solo degli elementi: non volevo raccontare la mia storia, ma quella di giovani confrontati con delle decisioni importanti, decisioni che vengono prese non per ragioni politiche anche se ovviamente la politica è presente. Anche per questo ho deciso di ambientare il film a Vilnius invece che a Praga, per mantenere questo rapporto tra Est e Ovest, ma senza entrare troppo nei dettagli politici, per concentrarmi sui personaggi».

Walden, il nome con cui i due giovani ribattezzano il lago dove Jana e Paulis fuggono, è un omaggio al libro di Henry David Thoreau? «Più che un omaggio, è un modo per spostare questo luogo altrove, un modo per dimenticare la situazione politica e dagli stereotipi sociali. E infatti alla fine Jana, quando da adulta ritrova questo lago, ne scopre il vero nome». In un rimando tra passato e presente che attraversa tutto il film. «Sì, il passato al futuro, ma alla fine è il futuro che guarda al passato». Non è un po’ triste questa disillusione, questo attendere un futuro che poi ci farà guardare, con nostalgia, al passato? «Sì, forse è triste, ma non so se tutte le persone che sono partite, che hanno lasciato l’Est per l’Ovest, hanno poi trovato quello che cercavano; non credo comunque che sia un film nostalgico: è piuttosto sullo scorrere del tempo, su come ci immaginiamo il futuro e su come ricordiamo il passato, ma senza nostalgia».

 

 

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