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Quando tutto sembra spegnersi mentre attendiamo la luce

In passato, silenzio e rassegnazione; oggi dell’età anziana si scrive anche appassionatamente per esperienza diretta. A colloquio con Graziano Martignoni

‘Conosco la mia età, posso dichiararla, ma non ci credo’ (Marc Augé)
(Depositphotos)
5 giugno 2023
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“Delle signore non si dice l’età” capita di sentire ancora oggi, e con le migliori intenzioni di gentilezza e discrezione. Volendo analizzare tale affermazione si impone una domanda: “Perché mai tacere l’età delle donne?”. Sul piano del non detto, la preoccupazione non nasconde forse l’idea radicata che le donne in età anziana (non gli uomini naturalmente) siano oggetto di una diminuita considerazione? Mentre in ‘De Senectute’, Francesca Rigotti prende in esame i crudeli pregiudizi e gli stereotipi che sino a oggi hanno pesato proprio sulle donne che diventano anziane, negli Usa l’ottantasettenne Joe Biden può ricandidarsi senza incertezze.

Ovunque nel mondo è in aumento l’età media; la percentuale di ultrasessantenni e ultra ottantenni in Svizzera è a favore delle donne. La popolazione invecchia, le nascite diminuiscono, il processo è irreversibile. In un mondo dove tutti i valori tradizionali mutano davanti ai nostri occhi, anche la percezione dell’età cambia radicalmente, si moltiplicano gli scritti di chi ne parla appassionatamente per esperienza diretta, mentre in passato si aveva solo silenzio e rassegnazione. Ne scrive ad esempio Lidia Ravera in ‘Age Pride’, invitando a muoversi in sintonia con il tempo, allontanandosi da finte verità mai verificate, senza imitare modelli scaduti. Ne fornisce un’entusiastica immagine Vittorino Andreoli in ‘Lettera a un vecchio’ compiangendo i “giovanilisti”, coloro che vogliono cancellarla, negare i segni del tempo; “è l’inizio” invece, sostiene, “di una condizione nuova nell’esistenza di un uomo e di una donna, uno straordinario capitolo la cui durata non è dato conoscere ma che dipende molto dal desiderio di viverla”.

“Conosco la mia età, posso dichiararla, ma non ci credo” afferma sorprendentemente il grande antropologo Marc Augé in ‘Il tempo senza età’: “La vecchiaia non esiste è un’etichetta lontana da quel che avvertiamo dentro di noi,” dichiara, “sono gli altri a definirci tali, i corpi si logorano, ma la soggettività resta, in qualche modo, fuori dal tempo, tutti muoiono giovani”. Antonella Viola in ‘Scienza dell’invecchiamento e della longevità’ indaga nelle ragioni biologiche ed evolutive di un’esperienza universale che ognuno vive soggettivamente, con tempi diversi. Ma è il grande psicoanalista James Hillman, creatore della psicologia archetipica, che già nel 1999 con ‘La forza del carattere’ attribuiva alla vecchiaia la funzione di disvelamento del potere totale del carattere, considerandolo il custode della nostra identità e della nostra storia, che proprio in questa età celebra e rafforza la possibilità di rimanere sé stessi come mai prima.

Una cosa è certa, le nostre cellule sono programmate per invecchiare, ma proprio per questo ogni età della vita è unica e irripetibile. Ne parliamo con lo psichiatra Graziano Martignoni.

Nonostante molte pubblicazioni oggi combattano la visione della vecchiaia come esclusione e chiusura i modelli dominanti della società dell’immagine restano fondati su un invito esclusivo: restare giovani...

Parafrasando il titolo del bel film dei fratelli Coen, ci si potrebbe chiedere che posto abbiano ancora i vecchi nella nostra società? Una società, che nel mondo del lavoro ti considera già superato a quarant’anni, che ti obbliga a forzato giovanilismo consumistico della ‘silver economy’, che parla di gerontocrazia quando sono gli anziani a governare, insomma che fa cinicamente della giovinezza nella scena pubblica ma anche in quella privata, il “farmaco” della felicità. Sappiamo bene quanta illusione è contenuta in questo mito dei nostri tempi. Una società tutta centrata sul rischio, la velocità, l’innovazione e che privilegia il “fare” in ogni sua espressione, potrebbe essere veramente inospitale per la vecchiaia, consegnata spesso alla solitudine o per chi ha le disponibilità di denaro e la salute ai “parchi cultural-ludici” organizzati proprio per loro. Accanto a tutto ciò vi è però un modo di stare al mondo che chiamo vecchiezza.

Cosa intende?

La vecchiezza è ben altra cosa della vecchiaia. Una condizione che può infatti essere, quando non è consegnata alla povertà e alla solitudine, un tempo splendido, in cui meditare sulle cose del mondo guardandole un po’ da lontano per capirle più profondamente, al di là della banale cronaca, con la distanza spesso sapiente e saggia, di chi ha già vissuto. Se la vecchiaia è spesso condannata all’afasia sociale, a mero dato sociologico e statistico, la vecchiezza è narrazione che cerca le parole e il senso stesso dell’esistere, sino ai confini della vita. Una condizione che nutre la speranza, che ci fa ancora viaggiatori del mondo e non meri turisti del già noto e consumatori di “oggetti giovanili”.

Eppure molte persone continuano a interiorizzare concezioni svalutanti di questa loro età...

E allora chiediamoci, “é mai possibile una vecchiezza senza vecchiaia?” È mai possibile dare anima nell’incontro tra le generazioni a quella condizione esistenziale, che chiamo vecchiezza, testimone e custode del mistero del tempo, come ci ha lungamente insegnato la saggezza antica? Ma di che cosa parliamo quando parliamo di vecchiezza, che non è immediatamente riducibile all’anzianità o alla vecchiaia o peggio ancora alla buona quiescenza del pensionamento lavorativo? È il “terzo tempo” della partita della vita, finiti i momenti della lotta e della sfida. Può divenire tempo di condivisione, di amicizia e di ricordi di antiche partite. La vecchiezza è così il “il terzo tempo della esistenza”, che inizia proprio nel momento in cui si realizza di averne una sola. La vecchiezza è prima di tutto e per tutte le generazioni un dono. Il dono delle Tre R, reciprocità, responsività e riconoscimento offerto alle nuove generazioni, ma anche a tutta la comunità. Un dono che abita quella particolare disposizione dell’anima, in cui è celato, come lo chiama Hillman, il daimon di ogni uomo e di ogni storia di uomo. Un dono come ospite segreto del tempo. La vecchiezza è infatti il tempo giusto per il riconoscimento di questo misterioso ospite del tempo, che ha guidato, a volte sotto traccia altre con clamore, tutta una vita e che continua ad abitare la memoria del passato, la passione del futuro, così come l’ospitalità del presente. Ritrovare l’orizzonte di questo dono, che non è confine, ma con-fine e soglia della nostra singolare esistenza, è il compito principe di una società dell’accoglienza, di una comunità gentile.

Eppure, noti disturbi sono maggiormente possibili in questa età, ci sono le paure di perdere l’ autonomia, di incorrere nella depressione, nella solitudine, nel decadimento della memoria...

Esporsi al tempo che se ne va impone una domanda fondamentale. Che faccio qui? Quale il senso della vita che mi resta? Il peso di questa domanda esistenziale che attraversa dolorosamente la terza e quarta età della vita, quando tutto sembra spegnersi, evoca sovente la solitudine, l’abbandono, il vuoto. Ma tutto ciò può anche essere diverso. Nella “casa dei nonni”, come amiamo chiamarla, di cui mi occupo (faccio riferimento alle Case della Fondazione San Rocco di Morbio inferiore e di Coldrerio) abbiamo messo in opera una sorta di cantiere culturale, “ostetrico di vita”, in cui la cura che si dona e si riceve è cultura che è nello stesso tempo cura. In questo orizzonte nascono per gli ospiti e per i collaboratori della Casa inter-generazionale (come ad esempio nella nuova Casa di Coldrerio) esperienze di vita comunitaria generatrici di vita, attraverso l’arte, la musica, la letteratura, la danza, l’incontro con gli scrittori e altro ancora. Una vita comunitaria in cui non si dirà più andiamo a trovare i nonni, bensì andiamo nella casa dei nonni.

Il cambiamento che riguarda questa età è stato paragonato all’adolescenza, vi è del vero?

Tempo di passaggio certamente, ma con una differenza fondamentale. Da quella stagione della vita che ci avvicina al momento in cui la luce si spegne e in cui si aspetta una nuova luce, non si torna. Si può solo andare verso. Verso un Altrove, un Oltre di cui non si conosce nulla, ma su cui possiamo tanto sognare. La vecchiezza è anche e ancora il tempo del sogno. Un tempo in cui è possibile costruire e dare anima nell’incontro tra le generazioni, testimoni e custodi del mistero del tempo, come hanno insegnato le generazioni antiche. Un orizzonte più che mai perduto dentro una società che ha smarrito il senso del tempo. Ritrovare il senso profondo del tempo e della vecchiezza è allora il vero e proprio pharmakon della vita. La vecchiezza è così condizione dell’anima più che della cronologia, non ha infatti età, ma come scrive Jabès, un vero e proprio “crocevia di cammini”.

L’amore nelle sue diverse forme è fondamentale nella vita di ognuno. Quali cambiamenti comporta questa età, si ama di più? Si è più amati o meno amati da chi ci circonda?

Molte le figure dell’amore in quell’età della vita, dall’amicizia costruita e ritrovata, alla gratuità del dono, alla sensualità che non ha età, all’affettuoso scambio di sguardi, di parole, di ascolti. L’amore nella terza e quarta età della vita, quella dei “grandi adulti”, come li chiama Lidia Ravera, vive a volte nel “triangolo della gentilezza” e della sensualità, a cui appartengono la tenerezza, la mitezza e la dolcezza. Queste le figure dell’amore che quella stagione della vita può donarci.

Come vede la comunicazione con le altre generazioni?

La comunicazione tra le generazioni dev’essere costruita, protetta, nutrita, facendo della vita un compito primo, perché la vita è sempre vita sino a quando c’è vita. Da qui i progetti di comunità e intergenerazionalità. Essere comunità, divenire comunità, viversi come comunità, queste le parole-guida del nostro lavoro... Questa la sfida che abita il nuovo Quartiere inter-generazionale di Coldrerio. Un nuovo quartiere che non si esaurisce nello stare semplicemente insieme tra generazioni, ma esige un “Oltre” che contiene un’idea di società, di un paesaggio collettivo in grado di accogliere un cambiamento di prospettiva e di paradigma culturale al di là dell’incontro tra le generazioni. Una società che contenga idealità, progetti, forse persino utopia. Una società generatrice di un nuovo modo di pensare, sentire e vivere la vita collettiva.


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Graziano Martignoni

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