logoBol

Zurigo, le ‘sue’ colonie, i ‘suoi’ schiavi

Dallo sfruttamento delle piantagioni di tabacco in Indonesia alla tratta degli schiavi, una mostra a Zurigo per ripensare al ruolo della Svizzera all’epoca del colonialismo

Foto di gruppo dei piantatori di tabacco, 1872 (Collection Nationaal Museum van Wereldculturen)

Dallo sfruttamento delle piantagioni di tabacco in Indonesia alla tratta degli schiavi, una mostra a Zurigo per ripensare al ruolo della Svizzera all’epoca del colonialismo

10 ottobre 2020
|

C’è una villa a Zurigo avvolta in un’atmosfera esotica e giocosa. Chi passeggia nel suo giardino oltre ai classici viali fioriti trova una conchiglia gigante proveniente dall’Oceano Indiano e una rigogliosa pianta di tabacco. Decorata in stile gotico, rinascimentale e rococò, la villa è un capolavoro dello storicismo e all’ultimo piano vanta una pagoda in stile cinese con tanto di cupola in vetro colorato sulla quale danzano draghi portafortuna. Questo gioiello, annoverato tra le più importanti dimore zurighesi di fine Ottocento, si chiama Patumbah, venne costruito tra il 1883 e il 1885 e non appartenne a un principe orientale, bensì a Carl Fürchtegott Grob, uno zurighese figlio di panettieri che, grazie al tabacco di Sumatra, rientrò in patria ricco come un nababbo. Sede di Patrimonio svizzero dal 2013, la villa attualmente ospita fino alla fine di maggio 2021 la mostra «Patumbah è a Sumatra», dedicata alla storia di Grob e del colonialismo olandese e svizzero in Indonesia. Aggirandosi per le stanze della casa e scendendo in cantina, il luogo di allestimento dell’esposizione, i visitatori scoprono che la Svizzera, nonostante non abbia mai posseduto colonie proprie, è stata fortemente implicata nella storia del colonialismo europeo. Come spiega una tavola realizzata in collaborazione con lo storico Andreas Zangger, il nostro è uno dei paesi più globalizzati al mondo e la tradizionale immagine di isola solitaria nel cuore dell’Europa ha ben poco a che vedere con la realtà. Da quando gli stati europei cominciarono a inseguire i loro progetti imperialistici nel 15° secolo, vi fu sempre un coinvolgimento da parte degli svizzeri che, organizzati in società o in qualità di imprenditori privati, non solo contribuirono a dare forma al colonialismo, ma approfittarono delle sue strutture e gerarchie per far circolare materie prime, conoscenze, servizi, capitale e forze lavorative.

L’esposizione – che fra le varie curiosità oltre alle tante fotografie comprende anche un filmato d’archivio girato dai colonialisti olandesi e le pagine del diario di Lina Tritschler, moglie di un amministratore impiegato presso la Grob & Näher – è suddivisa in quattro spazi tematici distinti che fanno luce sulla storia di Grob e della sua attività commerciale, sull’impero coloniale olandese, sull’impatto che esso ha avuto e ancora ha sull’isola di Sumatra e sulla presenza svizzera in questa regione del mondo. Quattro aspetti diversi, ma saldamente intrecciati fra loro e di grande interesse. Villa Patumbah, termine che in malese antico significa “casa aperta” o “luogo per tutto”, fu chiamata così in onore dell’omonima piantagione che Grob insieme al socio Näher fondò nel 1871 affittando la terra nella regione di Patumbak dal sultano di Serdang. La piantagione nacque dunque nel momento giusto: a due anni dall’apertura del Canale di Suez, dopo cioè che l’impero olandese in Indonesia era diventato molto più facilmente raggiungibile dall’Europa. Benché formalmente le concessioni terriere fossero aperte solo ai cittadini olandesi, a est dell’isola le leggi non venivano applicate severamente e altri europei – fra cui diversi svizzeri – si stabilirono coltivando tabacco e in seguito anche caffè, caucciù, olio di palma e tè. Come gli altri possidenti, anche Grob e Näher sostennero il potere coloniale olandese adottando un sistema di lavoro a contratto basato sullo sfruttamento e sulla servitù debitoria. Nel giro di una decina di anni i due soci arrivarono a possedere ben sei piantagioni che occupavano 4’000 lavoratori e che figuravano tra le più importanti a Sumatra. In esse i compiti erano rigidamente suddivisi: ai cosiddetti coolie provenienti da Cina e Giava venivano affidate coltivazione e lavorazione, a indiani e afgani la sicurezza, ai tamil la costruzione delle strade, mentre ai malesi e ai batak, la popolazione indigena, toccava l’abbattimento delle foreste. Per i coolie le condizioni di lavoro erano disumane e rasentavano la schiavitù; le sommosse e i tentativi di ribellione erano pertanto frequenti e con la stessa frequenza finivano in bagni di sangue. Secondo la giornalista Dyna Rochmyaningsih, presente alla mostra tramite una testimonianza audio, questa divisione sociale – sfruttata dai colonialisti per impedire ai vari gruppi di allearsi tra loro – è ancora parte integrante della vita a Sumatra. Esattamente come lo è il processo di distruzione delle foreste, che oggigiorno l’Europa rinfaccia all’Indonesia, dimenticando che il disboscamento fu iniziato dagli stessi europei a fine Ottocento. Rochmyaningsih sottolinea comunque che molti abitanti dell’isola non vedono nulla di negativo nella soppressione delle foreste dal momento che le piantagioni costituiscono la loro fonte di retto più importante. 

Di questa problematica ha parlato anche Irena Wettstein, codirettrice della Fondazione PanEco, durante una serata informativa svoltasi a fine settembre nell’ambito dell’esposizione di villa Patumbah: se un tempo Sumatra era il regno del tabacco, negli ultimi trent’anni è stata la palma da olio a registrare una crescita esponenziale, mettendo in pericolo la popolazione di oranghi autoctoni che stanno così perdendo il loro habitat naturale. PanEco accoglie gli oranghi feriti, dispersi o rimasti orfani dando loro una casa e provvedendo in seguito al futuro reinserimento nella foresta. Lo scopo della fondazione è quello di mantenere intatta la natura e assicurare così la continuazione della specie. Per farlo è attiva sia a Sumatra, dove controlla che le grandi corporazioni non si approprino illegalmente dei terreni, che in Svizzera, dove svolge un lavoro di sensibilizzazione riguardo all’olio di palma, incoraggiando l’uso di grassi tradizionali quali il burro. Le piantagioni che vennero istituite alle fine del XIX secolo nel nord-est di Sumatra e che permisero a Grob, al suo socio e a tanti altri colonialisti di arricchirsi continuano ad avere un grande impatto sulla vita nell’isola: insieme ad altri territori indonesiani, Sumatra detiene oggigiorno la leadership nell’esportazione di olio di palma. 

Come è emerso da un rapporto commissionato dalla città di Zurigo e stilato da Marcel Brengard, Frank Schubert e Lukas Zürcher, storici presso la cattedra universitaria di Storia moderna della professoressa Gesine Krüger, Grob non fu un caso unico: a partire dal 1600 molti zurighesi si traferirono nelle colonie d’oltreoceano come commercianti, studiosi, mercenari e uomini di chiesa. Tra il 1638 e il 1794 furono 900 gli zurighesi coinvolti nella sottomissione, nella colonizzazione e nell’amministrazione di territori in Africa e Asia. Come altre città svizzere, Zurigo partecipò inoltre al finanziamento della tratta transatlantica degli schiavi. Nel 18° secolo la città acquistò azioni della South Sea Company, una società inglese che durante il coinvolgimento finanziario di Zurigo deportò 8’636 africani in America e spedì 27’858 schiavi da isole britanniche come la Giamaica e le Barbados verso il territorio coloniale spagnolo. Zurigo investì nell'economia degli schiavi anche attraverso la banca semiprivata Leu e acquistando titoli di stato danesi che servirono a finanziare la schiavitù nelle Antille danesi. Non bisogna poi dimenticare che nel 19° secolo l'industria zurighese del cotone si rifornì di materie prime provenienti principalmente dalle piantagioni di schiavi nel sud degli Stati Uniti. Non solo: fu questa stessa industria a produrre le famose stoffe “indiane” che venivano usate come merce di scambio per l’acquisto di schiavi in Africa. Il settore tessile diede in seguito vita a imprese industriali e commerciali che si svilupparono fino a diventare aziende leader e a contribuire in modo significativo al benessere della Svizzera, come avvenne per esempio nel caso della famosa Escher Wyss & Cie.

Fra le famiglie zurighesi più illustri coinvolte nella tratta degli schiavi figura proprio quella degli Escher. Se Alfred Escher – politico, capitano d’industria e fondatore di istituzioni importanti quali il Crédit Suisse e la Ferrovia del Gottardo – non commerciò direttamente con la schiavitù, lo fecero altri membri della famiglia: il nonno banchiere Hans Caspar Escher, che investì in più di una nave schiavista, il padre Heinrich Escher-Zollikofer, che trafficò in beni coloniali negli Stati Uniti e acquistò una piantagione di caffè a Cuba con 80 schiavi, e lo zio Friedrich Ludwig Escher, che gestì la suddetta piantagione per 25 anni. Dopo la morte dello zio Alfred aiutò comunque il padre a vendere la piantagione e in seguito a difenderlo, difendendo al contempo anche sé stesso, dall’accusa di schiavismo.

Grob fece ritorno da Sumatra in pompa magna nel 1879, si sposò due anni dopo ed ebbe due figlie. Nel quartiere di Riesbach, dove fece costruire villa Patumbah, non era però il solo in quel periodo a godere di una fortuna accumulata nelle colonie: accanto a lui vivevano, in due ville diverse, i fratelli Carl Alphons Meyer e Fritz Meyer-Fierz, anch’essi attivi come coltivatori di tabacco a Sumatra, che sull’isola persero un fratello ucciso durante una ribellione, e Rudolf Hagmann, coltivatore di caffè in Guatemala. Il legame tra Zurigo e Sumatra è testimoniato anche dalla presenza, nel quartiere di Unterstrass, della Sumatrastrasse, una via dedicata alla villa che il colonialista e coltivatore di tabacco Karl Krüsi, di origine appenzellese, fece costruire proprio come Grob dopo il suo ritorno da Sumatra e che venne demolita negli anni Settanta. 

Il passato coloniale di Zurigo vive ancora nel negozio della famiglia Schwarzenbach situato nella Niederdorf, che sull’insegna porta la dicitura “coloniali” e al suo interno è rimasto immutato dal 1912, anno della sua apertura. Se gli zurighesi e gli svizzeri all’epoca potevano permettersi prodotti di lusso come il cioccolato, il caffè, il tè, il tabacco e altro ancora, era grazie alla presenza delle colonie, che sfruttavano la manodopera locale all’interno di un sistema che purtroppo è ancora attivo in molte parti del mondo, basti pensare al moderno settore dell’abbigliamento. 

La felicità acquisita da Carl Fürchtegott Grob con la sua avventura colonialista fu di breve durata: Grob morì già nel 1893 in seguito a una malattia tropicale; nel 1911 la moglie e le figlie, che non si sposarono mai, donarono la villa alla diaconia del Neumünster di Zurigo che la trasformò in una casa per anziani. La figlia maggiore Margrit morì a 43 anni e la figlia minore Anna Carolina a 47 anni ospite della stessa villa ormai trasformata in ospizio. La ricchezza accumulata sul lavoro e sulle sofferenze altrui portò dunque sfortuna all’intera famiglia.