Il Canada apre le porte alla coppia, ma si interroga su chi dovrà accollarsi le spese per sicurezza e logistica
Il Canada apre le braccia a Harry e Meghan, pur iniziando a domandarsi chi dovrà pagare per la loro sicurezza e per la logistica di un trasloco destinato a suggellare lo sganciamento (parziale) dalla Royal Family.
Mentre buona parte della stampa britannica – tabloid in testa – ne saluta il distacco con un'acredine in cui appare difficile non rintracciare almeno qualche venatura di pregiudizio: in particolare, e al di là di ogni possibile e legittima critica o antipatia, contro l'aliena di turno, l'ex attrice afroamericana divenuta consorte nel 2018 del secondogenito di Carlo e Diana.
La svolta segnata ieri a Sandringham dal via libera della regina Elisabetta, dell'erede al trono Carlo e del fratello maggiore William alla "nuova vita" dei duchi di Sussex ha riportato la faccenda sui binari di una gestione concordata in casa Windsor.
Ma rimangono da sciogliere nodi su diversi dossier concreti prima di arrivare a quella soluzione definitiva che Sua Maestà ha ordinato entro pochi giorni, dopo aver detto sì per ora a "un periodo di transizione" verso l'obiettivo di un ruolo più autonomo per Harry e Meghan: membri non più senior e non più "a tempo pieno" del casato, avviati a rinunciare ai contributi pubblici britannici e a rendersi negli auspici "finanziariamente indipendenti" con l'aiuto del proprio trademark 'Royal Sussex'.
Fra i problemi in ballo, il premier canadese Justin Trudeau indica quello della tutela che il Paese nordamericano – legato tuttora alla corona britannica – dovrà d'ora in poi garantire alla coppia e al piccolo Archie. Non senza evocare la necessità di "colloqui" ad hoc per stabilire la suddivisione dei costi.
Tanto più che non è ancora chiaro se i Sussex rinunceranno solo alla loro quota di appannaggio reale (Sovreign Grant) finanziato direttamente dai contribuenti del Regno con cui finora hanno coperto un mero 5% di spese; o anche ai 2 milioni di sterline annui (il 95% dei loro introiti) versati dal principe Carlo dalla dotazione del fondo del Ducato di Cornovaglia, che è denaro pubblico solo in modo indiretto.
Il primo ministro britannico, Boris Johnson, si chiama intanto fuori dall'affaire. Almeno pubblicamente. Limitandosi a dire alla Bbc d'essere "un grandissimo fan della famiglia reale" e "assolutamente fiducioso" che la dinastia possa ridefinire i suoi equilibri interni "in tutta facilità, senza miei commenti".
Commenti che invece tracimano sui media sulla falsariga di un'interpretazione prevalente: quella secondo cui i duchi 'ribelli' avrebbero avuto in sostanza partita vinta imponendo il proprio volere – come titola il Daily Telegraph –- a "una regina riluttante". Sospettati a più riprese da Harry di "razzismo" e "sessismo", i tabloid - contro cui i Sussex sono da mesi in aperto conflitto legale - si rammaricano del resto che la sovrana "si sia arresa - parola di Philip Dampier, commentatore dell'ultranazionalista Daily Express - alle richieste stizzose ed egoiste di una coppia arrogante e ossessionata dalle pretese".
Mentre toni non diversi riecheggiano sul Sun di Rupert Murdoch, sul Mail e anche su giornali meno populisti, fra richiami insistiti al neologismo del momento - Megxit - coniato in assonanza all'attualissima Brexit con l'evidente obiettivo di additare Meghan in veste d'istigatrice (se non di anima nera) di tutta questa vicenda. Toni che nulla hanno a che fare col razzismo, "checché ne dicano i media della sinistra liberal", sbotta Tom Slater, firma del Sun. E che vengono letti viceversa proprio attraverso questo filtro da un corsivo di Nesrine Malik, pubblicato dal progressista Guardian, laddove l'indice è puntato senza mezzi termini contro "l'impatto tossico" di certi tabloid: nemici implacabili tanto di Meghan, straniera privilegiata, quanto "dell'immigrazione" dei dannati della Terra.