Dalla passione per i giochi al "Monstrous Moonshine", il carismatico matematico è morto di Covid-19 all’età di 82 anni

Un incrocio tra Archimede, Mick Jagger e Salvador Dalí: difficile trovare una descrizione più calzante, per John Conway, di quella che qualche anno fa gli fece Siobhan Roberts sul Guardian. Il più carismatico dei matematici – "ho un unico difetto: la modestia" amava dire – è scomparso nei giorni scorsi a causa del nuovo coronavirus. "Colpa delle norme sulla distanza sociale" ha commentato qualcuno, con una battuta che certo sarebbe piaciuta a Conway (e sulla quale torneremo).
Nato a Liverpool nel 1937, ha sempre amato la matematica, una passione che insieme alla timidezza gli ha fatto guadagnare il nomignolo di "The prof" (sempre meglio di "Mary", con cui era chiamato alle elementari). Poi, su un treno diretto a Cambridge – dove era stato ammesso per studiare, appunto, matematica – decise di provare a essere estroverso, tanto nessuno lì lo conosceva. Diventando così, per scelta, quel personaggio eccentrico e brillante, capace tenere una scopa in equilibrio sul mento facendo il giocoliere per esemplificare agli studenti la difficoltà di una dimostrazione matematica.
A Cambridge si è svolta la prima parte della carriera accademica di Conway che, negli anni Ottanta, ha deciso di attraversare l'oceano per trasferirsi alla Princeton University, dove negli ultimi anni è stato John von Neumann Professor Emeritus. Anche solo per i nomi, vale la pena citare alcuni suoi contributi: vi troviamo infatti lo studio del "Monstrous Moonshine" – una struttura algebrica molto complessa, e il poetico riferimento al chiaro di luna si spiega col fatto che in inglese “to talk moonshine” sta per “dire sciocchezze” – o i "numeri surreali", nuova classe da lui scoperta mentre cercava di imparare a giocare a Go, un antico e molto complicato gioco di scacchiera cinese. Conway, insieme al suo amico Donald Knuth, intuì che per analizzare il gioco lo si doveva scomporre in una serie di giochi più semplici, scoprendo così che alcuni giochi si potevano interpretare come numeri. Così avvenne la scoperta di una nuova famiglia di numeri il cui comportamento è analogo a quello dei giochi. Non a caso si parla di "scoperta" del nuovo insieme: molti matematici sono convinti della reale, per quanto immateriale, esistenza degli oggetti matematici, ma Conway univa a questa visione platonica un profondo amore per l'esplorazione di questo universo. "Per me la Matematica è eccitante, è sensuale. Mi piace, e personalmente ne ricavo più piacere di quanto molta gente non ne tragga dall'arte. Anzi, mi sento come un artista. Mi piacciono le cose belle e queste sono lì, a portata di mano, l'uomo non le deve creare, ma soltanto scoprire" aveva dichiarato in un'intervista.
Una passione che lo ha spinto a imparare, insieme alla moglie Larissa, le prime mille cifre del pi greco – recitando le cifre a gruppi di venti durante le passeggiate domenicali –, o a sviluppare un sistema per calcolare facilmente il giorno della settimana di una qualsiasi data (sistema battezzato "algoritmo Doomsday", ossia del giorno del giudizio), e a giocare. Conway ha trascorso gran parte della sua vita a giocare, a inventare nuovi giochi o a riscrivere le regole di quei giochi che non lo appassionavano (come i "noiosi" schacchi). E qui arriviamo – finalmente – a Life, il gioco da lui sviluppato alla fine degli anni Sessanta e reso celebre dalla rubrica Giochi matematici di Martin Gardner su Scientific American. In pratica, Si parte con una griglia quadrata, con alcune celle accese (vive) e altre spente (morte). E poi si guarda l'evoluzione: una cella viva muore se ha vicino meno di due o più di tre celle vive, mentre una cella spenta prende vita se ha vicino esattamente tre celle vive. Bastano queste semplici regole e le giuste configurazioni iniziali per far emergere strane figure e schemi complessi (tanto complessi che è persino possibile trasformare quel sistema in un computer).
Torniamo così alla scomparsa di Conway che – ricordiamo la regola secondo cui una cella si spegne si isolata – "a causa del distanziamento sociale, non aveva due vicini che potevano tenerlo in vita”.