Scienze

La sintesi della vita secondo Carlo Alberto Redi

Dalle frontiere della biotecnologia agli smartphone, intervista al biologo e professore all'Università di Pavia, ospite lunedì del Liceo di Bellinzona

12 ottobre 2019
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Per chi ha studiato un po’ di storia della scienza, il nome Redi è certamente familiare: Francesco Redi fu un importante medico e naturalista del Seicento. E così, prima di esplorare le rivoluzioni della biologia sintetica, come non chiedere a Carlo Alberto Redi se è parente dell’illustre scienziato? «Sì, tredici generazioni fa ero una cellula germinale dei testicoli del fratello – perché lui da buon abate non si è riprodotto… e in mezzo c’è anche una santa, Sant’Anna Redi» ci spiega il professore all’Università di Pavia. «I miei studenti cercano subito su Google le nefandezze che uno ha fatto, come la partecipazione a ‘Ciao Darwin’ con Paolo Bonolis, e dimenticano le parti importanti come questa!» aggiunge Redi, ospite lunedì alle 18 del Liceo di Bellinzona per la prima conferenza del ciclo di incontri “Corpo (e anima)”, organizzato con la Fondazione Sasso Corbaro per le Medical Humanities.

Professore, il suo intervento ha come titolo ‘Dalla descrizione alla sintesi del vivente’. Ma, se permette, è dalla nascita dell’agricoltura che l’uomo modifica le altre forme di vita.

Lei ha colto un aspetto importantissimo che cerco sempre di far presente rispetto alle paure, alle reazioni tipo “aiuto che cosa stanno facendo!” – pensiamo ad Habermas con la genetica liberale, al terrore delle persone quando si parla di Ogm. Noi da sempre modifichiamo il vivente, con tecniche mano a mano più sofisticate: oggi mangiamo il grano che è una pianta che in natura non esiste, ma che abbiamo iniziato a selezionare noi millenni fa. È un aspetto da tenere presente per avere il quadro concettuale delle cose che oggi siamo in grado di fare nella scienza della vita – non solo in ambito agroindustriale, ma anche ad esempio medico-sanitario, dove si è un po’ più inclini ad accettare le cose, quando si trova la medicina giusta. Mentre sugli Ogm scatta la paura, nonostante noi stessi siamo Ogm!

L’umanità Ogm?

Certo. Il nostro genoma contiene delle sequenze di Dna provenienti da altre specie. Abbiamo 516 geni batterici ed è escluso che si sia fatto sesso con dei batteri: è passato orizzontalmente, come si fa nella realizzazione degli Ogm.

Quindi la rivoluzione della biologia sintetica cui accenna nella presentazione della sua conferenza?

Noi fino a un dieci-quindici anni fa non eravamo in grado di sintetizzare il vivente, ma solo di modificarlo. Adesso sappiamo sintetizzare – non uso il termine “creare” come fanno spesso i suoi colleghi – nuovi viventi che prima non erano comparsi sul pianeta Terra, utilizzando dei pezzi di qualcosa che è già vivente: la metafora alla quale dobbiamo pensare è il Lego. Sintetizziamo il vivente per soddisfare delle richieste della società: richieste ambientali, mediche, di produzione di energia, di cibo.

Un solo tecnico-scientifico? O dobbiamo prendere in considerazione anche aspetti più generali, filosofici?

Non c’è dubbio. Qui devono entrare in gioco tre grandi operatori della vita sociale. Voi, come operatori dei media. Poi sicuramente la giurisprudenza: chi fa le norme e chi le fa applicare. E poi certamente i filosofi.
Diciamo che gli scienziati della vita pongono sul tavolo delle questioni che vanno discusse. E qui arrivate voi, i media, se no chi trasmette al cittadino comune queste informazioni? Avete una responsabilità immensa, perché potete aiutare in questo processo di conoscenza di quello che oggi possiamo fare, potete aiutare quel dibattito collettivo che porta a sviluppare delle norme che la grande maggioranza ritiene di dover mettere in campo. E certamente il filosofo, per dirci: “Ragazzi, qui avete fumato troppo la sera prima di mettervi a lavorare!” (ride, ndr).

Scienza e società in dialogo.

Diciamo che la filiera dovrebbe essere questa: c’è un grande avanzamento in ciò che si sa, ottenuto con questo processo democratico e laico che è la scienza, perché il metodo scientifico è laico e democratico: l’ultimo degli studenti nell’ultimo degli angoli della Terra può dire al Nobel: “Hai sbagliato!”. Ma queste conoscenze devono diventare patrimonio – noi diciamo della casalinga di Voghera, la ‘Schwäbische Hausfrau’, insomma il cittadino comune. Perché è la conoscenza di questi grandi avanzamenti che oggi fonda la cittadinanza.

Ogm, la produzione di cibo ed energia, la protezione dell’ambiente, mangiare meno carne rossa… queste cose le deve sapere chiunque, perché sono questi i grandi temi: quello di cui dobbiamo discutere oggi è Crispr-Cas9, l’editing del genoma – per cui ben vengano iniziative lodevoli come questa che state facendo a Bellinzona.

Ha iniziato la risposta con un ‘dovrebbe essere’. La situazione in realtà come è?

Diciamo che le eccezioni lodevoli sono rarissime e appartengono fondamentalmente al mondo anglosassone, dove non c’è decisore politico che apre bocca senza aver consultato un consigliere scientifico o le grandi accademie. In Italia il decisore politico la pensa in un certo modo e travasa il suo pensiero nella norma: tutti i documenti che facciamo come Accademia dei Lincei restano lì… Di esempi ne potrei fare moltissimi.

Lei ha parlato della scienza come sapere laico e democratico, della necessità di portare il sapere scientifico nella società, delle responsabilità dei media. Ma oggi abbiamo i social media e, purtroppo, le fake news.

Il problema è lì. Come presidente del Comitato etico della Fondazione Veronesi organizzo una tre giorni all’Università Bocconi di Milano dedicata a questo: “Il fascino dell’ignoranza”. Si tratta dell’undicesima edizione di Science for Peace. Io terrò un intervento che ha per titolo “L’era di Pollicino e del conte Mascetti” – perché non potevo mettere “supercazzola”, ma se ha visto quel bellissimo film che è ‘Amici miei’ ricorderà il personaggio di Ugo Tognazzi che gioca con le frasi senza alcuna connessione lessicale o grammaticale, le supercazzole appunto. Sottotitolo, “Können vs kennen”, cioè il sapere andare in bicicletta e il sapere le leggi della fisica che determinano l’equilibrio. Perché tutti hanno in mano uno smartphone ma pochi sanno che cosa c’è dietro e di fatto creano il vero con la potenza di un algoritmo. Ma non è il tema del mio intervento a Bellinzona, anche se mi piacerebbe che qualcuno tirasse fuori il tema. Perché il pericolo non viene dalla sintesi dei nuovi viventi o dall’editing del genoma di un embrione per evitare che abbia una malattia: viene dall’uso indiscriminato dello smartphone che abbiamo in tasca.

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