Pensiero

La cultura di Ermotti e Pronzini

Che cosa è la cultura? Rispondono il sindacalista e il Ceo di Ubs: ‘La cultura è tutto ciò che sta attorno a noi’ / ‘Le nostre tradizioni, lo specchio del passato e del presente'

27 luglio 2019
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Di certo Sergio Ermotti e Matteo Pronzini hanno qualcosa in comune. Entrambi si spostano molto per lavoro, anche se su distanze e con mezzi diversi. Entrambi sono partiti dal basso, da un apprendistato: in banca il primo, in macelleria il secondo. Entrambi la loro “università” l’hanno fatta anzitutto lavorando: Ermotti da Cornèr Banca a Ubs, passando per Citigroup e Merril Lynch; Pronzini all’interno del sindacato Unia, di cui è membro della direzione nazionale.
In una calda mattina di giugno il Ceo di Ubs ci accoglie nel suo ufficio luganese, incastonandoci fra un appuntamento e l’altro, mentre i corridoi sono percorsi da manager dal passo solerte quanto discreto. In un pomeriggio estivo, solleticato solo dal canto di qualche grillo, Pronzini ci invita in una villetta a due passi dal fiume: «Così mio figlio continua a giocare, e le offro un caffè».

Che significato assegna al termine ‘cultura’?
Ermotti –  La mia prima reazione non è quella di dire che la cultura è l’arte del sapere. Se ne possono dare diverse interpretazioni. Per me la cultura sono le nostre tradizioni, è lo specchio del passato e del presente dei comportamenti delle persone, di come vivono e di come si pongono. Sempre più lo vediamo anche nel mondo economico: è il riflesso delle regole scritte e non scritte di come ci si pone verso altri portatori d’interesse.

Pronzini – Io mi occupo quotidianamente di questioni più concrete. La mia fortuna è però di vivere in un ambiente multiculturale: uno, sul lavoro, dove le differenze culturali fra svizzeri le vivi; poi in famiglia, con una moglie di origini portoghesi ma cresciuta in Germania. Per altro provengo da una formazione politica internazionalista, per la quale è sempre stato importante capire che cosa accade in altri paesi. Quindi la cultura per me è tutto ciò che sta attorno a noi, un’espressione dei rapporti economici e di forza in una società.

Che cosa non è cultura?
Ermotti –  Difficile... Certi modi di comportarsi possono essere visti come un segno di mancanza di cultura, ma di fatto questo è un giudizio soggettivo di alcune persone verso atteggiamenti che, quando divengono di massa, bisogna accettare come riflesso di un cambiamento dei tempi che necessita una valutazione. Per fare un esempio concreto: anche la violenza può essere considerata cultura. Un conto è dire che è condannabile, un altro che non è cultura: no, è la cultura della violenza. Bisogna chiedersi sempre perché si è arrivati a un certo punto piuttosto che a un altro.

Pronzini – A me impressiona il fatto che sempre più vediamo in ogni ambito, economico e politico, una forma di standardizzazione del gusto e del pensiero: gli stessi centri commerciali, gli stessi ristoranti, gli stessi bar o gli stessi cinema. Si insegna alle nuove generazioni a ripetere quello che altri ti dicono, non c’è più la riflessione critica: chiedere perché, magari dire no. L’uniformità non è cultura, la cultura sta in quelle particolarità che sono anche espressione di un territorio.

Lei che cosa cerca nella cultura?
Ermotti –  Anche se in questo periodo della mia vita non ho ancora il tempo e la disciplina per coltivarla abbastanza, ho sempre desiderato capire la storia. Una volta, avevo 20 anni, ho aperto un biscotto della fortuna cinese che diceva “studia il passato perché ti insegnerà il futuro”. Una frase che sento ancora mia perché, pur non ripetendosi nello stesso modo, la storia ci dà molte indicazioni su come le situazioni possono evolvere.

Pronzini – Se penso anche alle mie responsabilità di padre, approfitto di ogni occasione per conoscere il territorio, con la sua storia e la sua cultura: le vie, i monumenti, le chiese o i musei, le abitudini della gente. E cerco di farlo in modo sostenibile. Pensando ai miei interessi personali, di un luogo nuovo mi interessa conoscere la storia, chi ci vive, quali sono le origini di queste persone, quali le attività che lì vengono svolte.

In che modo tutto questo entra nella sua quotidianità?
Ermotti –  A livello culturale oggi noi immagazziniamo tante informazioni in maniera più o meno consapevole. Io mi ritaglio lo spazio per leggere alcuni articoli o per guardare documentari soprattutto storici, ma sono sollecitato in maniera inconsapevole dall’informazione e dall’interazione con le persone. Penso sia un processo reattivo e proattivo costante. Inoltre, la mia posizione professionale mi permette di entrare a contatto regolarmente con varie forme di cultura grazie alle nostre partnership a livello globale.

Pronzini – Mi ritengo fortunato, per la mia attività professionale e politica devo girare molto. Perciò ho la possibilità di entrare ogni giorno in contatto con vari ambiti e con i loro aspetti anche culturali. In più, trovo sia importante ritagliarsi dei momenti per l’approfondimento di ciò che succede attorno a noi, attraverso le letture e l’aggiornamento. Oggi il giornale si legge anche sul telefonino, ma è una lettura più superficiale.

Ci sono momenti o luoghi privilegiati?
Ermotti –  Sul mio iPad registro programmi televisivi che approfondiscono la storia oppure dei film, e appena ho un attimo di tempo, magari in volo, li guardo. Cerco di crearmi un catalogo di informazioni che mi aiutino ad esplorare il mio desiderio di capire, imparare e conoscere di più. Ammetto che quando posso preferisco dedicarmi ad altre attività, magari andare a sciare, piuttosto che restare a casa a leggere un libro. Il mio desiderio di sapere di più è in contrasto con il fatto che devo incamerare tante informazioni in maniera proattiva durante il giorno. Purtroppo, associo il leggere al lavoro, non al relax. Riesco a cambiare questo atteggiamento solo in vacanza.

Pronzini – Dei momenti importanti per me sono quelli che dedico alle letture con mio figlio. Per un paio d’anni ci siamo letti tutti i libri di Geronimo Stilton: perciò la conoscenza del passato e delle varie civiltà. Ma anche la storia del luogo dove viviamo e di quelli da cui proviene sua madre. Sono momenti importanti, il fatto di avere dei figli ti costringe a un nuovo percorso di sviluppo e di crescita; col vantaggio che è la seconda volta.

Un consiglio per un amico?
Ermotti –  È veramente difficile... Bisognerebbe capire qual è la passione di questo amico. Quel che posso dire è che oggi la tecnologia ci offre la possibilità di avere accesso veloce a moltissime informazioni. Quindi gli consiglierei di capire come usarla e sfruttarla per esplorare i suoi ambiti d’interesse, esaudire i suoi desideri e arricchirsi.

Pronzini – A me spaventa molto questa omologazione delle persone. Ognuno di noi dovrebbe cercare di sviluppare degli anticorpi, per essere il più critico possibile.

E il Ticino, come può evolvere anche attraverso la cultura?
Ermotti –  Bisogna partire dal capire la nostra storia e apprezzare quello che abbiamo, salvaguardando le tradizioni che le generazioni passate ci hanno trasmesso. Imparando dagli errori commessi, non sottovalutando l’oggi creiamo dei buoni presupposti per il futuro. Quando sento parlare di scoperte storiche o archeologiche, mi chiedo: anche noi saremo in grado di trasmettere noi stessi alle generazioni future? Questa domanda è solo uno degli stimoli ad investire nella cultura. È una responsabilità di tutti i componenti della società, sia pubblici che privati.

Pronzini – Oggi non tutti possono permettersi una vita culturale. Molti non possono far avere ai propri figli una formazione musicale che ti permette di evolvere come persona, a meno di contribuire magari a una precarizzazione della società, pagando in nero o sottocosto dei docenti di musica. Sono cose a cui la popolazione dovrebbe aver diritto, indipendentemente dalla sua situazione economica. su questo terreno vi è ancora molto da fare: in Ticino, tutto sommato, prevale una concezione elitaria della cultura.

Molti giovani oggi scendono in piazza per un cambiamento di paradigma economico, politico, culturale. Lei da dove inizierebbe?
Ermotti –  Ritengo che non sia un tema legato solo ai giovani! E se anche lo fosse, avrebbero ragione di sollevare la loro voce in modo critico e costruttivo nei confronti della nostra generazione. I giovani devono invitarci a riflettere sull’eredità che lasceremo, perché rischiamo un conflitto generazionale dovuto agli errori commessi nel presente. È importante però che a queste discussioni partecipino tutti: l’economia, la politica e le persone. Tutti dobbiamo essere consapevoli che con i nostri comportamenti possiamo cambiare tanto. Guardi… (mi mostra tre braccialetti colorati che porta al polso) questi rispecchiano un’iniziativa che Ubs sta sostenendo in collaborazione con Bottletop, un marchio di accessori sostenibili ideatore di 17 braccialetti, riferiti ai 17 obiettivi globali dell’Onu. Io ne ho scelti tre che mi stanno a cuore: no poverty, quality education e questo è life below water, la vita sott’acqua. Un altro esempio di quanto anche i piccoli gesti possono fare la differenza: in banca ho avviato un processo per l’abolizione delle bottiglie di plastica.

Pronzini – Queste mobilitazioni sono benvenute e necessarie, hanno impressionato anche me per la loro ampiezza. Penso che questo sistema economico basato sul profitto personale e su una crescita disordinata crei sofferenza nelle persone e distrugga il mondo in cui viviamo. Io inizierei mettendo in discussione il sistema capitalista, o meglio tutti i sistemi basati sull’interesse di pochi ai danni dei tanti: anche le esperienze dei paesi stalinisti in ambito ambientale non erano certo migliori… Bisogna battersi per una società fondata sulla solidarietà e la giustizia.

Un proposito da realizzare?
Ermotti –  Potrei già partire dalla mia storia… Una cosa che vorrei e che non ho mai fatto è: scrivere ogni sera tre frasi su ciò che è successo nella giornata. Su questo punto devo ammettere una mancanza cronica di disciplina.

Pronzini – Io sono un po’ nostalgico. Una delle tante cose che mi piacerebbe fare, è un tour tra la Germania e l’Austria per riscoprire la culla del movimento operaio organizzato. Ad inizio Novecento era una società nella società, estremamente sviluppata e democratica.

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