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L’umanità fragile di Donatella Di Pietrantonio

Si apre oggi, 20 marzo, la sesta edizione di FestivaLLibro a Muralto. Domani alle 18, la scrittrice italiana Premio Strega 2024 al Palazzo dei Congressi

Seguirà la proiezione del film ‘L’arminuta’, di Giuseppe Bonito, tratto dall’omonimo romanzo (in collaborazione con il Locarno Film Festival)
(J. Nosek)
20 marzo 2025
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Premio Tropea, Campiello, Brancati, Strega. La carriera letteraria di Donatella Di Pietrantonio è costellata di riconoscimenti sin dal suo esordio tardivo, nel 2011 a 49 anni, con ‘Mia madre è un fiume’, romanzo che parla di memoria e identità attraverso la difficile relazione tra una madre affetta da Alzheimer e la figlia. Seguono ‘Bella mia’, sulla ricostruzione della vita dopo il terremoto dell’Aquila, ‘L’arminuta’, che vince il Campiello facendola conoscere al grande pubblico, ‘Borgo Sud’ e infine ‘L’età fragile’, testo delicato e potente sulla violenza di genere, Premio Strega giovani e Premio Strega 2024. Con una professione da odontoiatra alle spalle, Di Pietrantonio è una di quelle autrici che per anni ha fatto della scrittura una questione privata, una passione da coltivare in segreto. Una perseveranza in punta di piedi, portata avanti con timidezza ma notata da critica e lettori fin dal primo libro pubblicato con Elliot, casa editrice indipendente ma con un occhio speciale per i nuovi talenti. Domani alle 18 a Muralto, la scrittrice sarà ospite di FestivalLibro per parlare di radici, appartenenza e processi creativi sul filo della memoria, tema della sesta edizione del festival letterario.

Nei suoi romanzi dominanti sono le figure femminili. Madri, adottive o biologiche, giovani donne, figlie costrette a fronteggiare relazioni complesse, a sopravvivere a traumi profondi. Cosa cerca in questi personaggi?

Un riscatto. Soprattutto per le donne appartenenti alla generazione che mi ha preceduta, vissute in ambienti rurali e in condizioni di forte subordinazione alla figura maschile. Donne che non avevano voce perché silenziate dagli uomini di famiglia. Attraverso le mie pagine cerco di restituire loro la parola.

Si potrebbe parlare di femminismo?

Certo. Provengo da un patriarcato rurale duro, roccioso, violento. Sono stata una figlia femmina piuttosto ribelle e contestatrice. Ho sempre lottato contro le imposizioni familiari. Quando negli anni 70 ho scoperto il femminismo ho capito quanto fosse giusta e condivisa quella mia ribellione. Non ero sola, mi riconoscevo finalmente in una nuova comunità.

Qual è oggi il ruolo di una scrittrice?

Pur dichiarandomi femminista non sono mai stata militante. Difficile esserlo vivendo in un paesino in Abruzzo. Ho sempre aderito alle lotte, però. Personalmente uso la mia visibilità per poter fare da cassa di risonanza alle istanze femministe. Durante il mio discorso alla premiazione dello Strega ho dichiarato pubblicamente che avrei usato la mia voce in difesa di tutti quei diritti che abbiamo dato per scontati e che oggi sono di nuovo sotto attacco.

I suoi romanzi hanno come sfondo più o meno esplicito la sua terra natale, l’Abruzzo. Si sente più a suo agio a muoversi in un territorio conosciuto?

In realtà mi piace anche spaziare, ma trovo l’ambientazione di estrema provincia, rurale, spesso imprescindibile. Mi interessa studiare la dinamica delle piccole comunità quando si trovano ad affrontare un trauma collettivo. Penso al duplice femminicidio di cui parlo in ‘L’età fragile’. Come reagiscono gli abitanti di un paese di fronte a un evento tanto sconvolgente? Si chiudono nel silenzio. Questi piccoli posti in fondo sono come delle cellule che riproducono in miniatura l’intera società. Osservandole possiamo scoprire quasi in purezza come funzioniamo e trasporre tutto questo su larga scala.

‘L’età fragile’ si svolge durante il Covid. Che funzione ha questa scelta?

La pandemia è un’ambientazione, non il tema principale. Mi è servita però per creare una situazione di limitazione estrema. L’isolamento e le chiusure fanno da specchio alla chiusura e all’isolamento della giovane Amanda. Le misure restrittive applicate a tutti si riverberano in questa condizione di segregazione che la protagonista si autoimpone. Torniamo così a quello che dicevo prima: mi interessa mostrare la relazione tra ciò che ci riguarda singolarmente in rapporto alle dinamiche collettive.

Matteo Nucci su Robinson, riferendosi a lei, affermava: ‘C’è una scrittrice unica in Italia. Per scrivere si alza molto presto al mattino e fra le cinque e le sette procede per ‘lampi’». È questa la sua routine di scrittrice?

L’articolo a cui fa riferimento è di diversi anni fa, quando ancora lavoravo a tempo pieno come odontoiatra e per soddisfare la mia urgenza di scrivere ero costretta a fare quegli orari. Adesso mi sono finalmente autorizzata a lasciare la professione e non ho più bisogno di svegliarmi alle 5. Ma il momento migliore della giornata da dedicare alla scrittura resta comunque il mattino presto. Mi alzo alle 6 o alle 7, è in queste ore che le idee arrivano maggiormente. Non mi impongo alcun rigore, però. Mi limito a seguire il flusso interiore. Non sto mai a lungo davanti al computer perché l’energia a un certo punto si esaurisce. Quando è finita mi alzo e vado a fare altro.

Da dove si parte per scrivere un libro?

Credo che ognuno abbia un suo modo. Il mio punto di partenza è uno stimolo esterno o interno urgente e che non posso ignorare. Poi procedo per tentativi, errori. Costruisco man mano la storia e i personaggi con grande sofferenza, proprio perché non seguo un piano d’opera. È senz’altro più difficile, ma non saprei come fare diversamente. Mi sentirei costretta se provassi a stare dentro a una traccia più articolata. ‘L’età fragile’, ad esempio, è nata dall’immagine di una montagna vicino casa dove molto tempo fa è avvenuto un duplice femminicidio. La vedo quotidianamente dalle finestre, in lontananza. Per tanti anni però non avevo più pensato a quell’episodio, come se fossi stata parte di una sorta di rimosso collettivo. E invece ecco come in un’invernale giornata di sole poso lo sguardo su quella vetta, così brillante e lucida per la fitta neve che la ricopre. E all’improvviso affiora il ricordo. Mi sono chiesta perché non avessi più pensato a quella storia. Perché avessimo cancellato quelle ragazze smettendo di nominarle.

Il suo esordio come scrittrice è avvenuto relativamente tardi. Perché ha atteso tanto?

In realtà scrivo fin da bambina ma, molto semplicemente, non credevo abbastanza nella mia scrittura. L’ho sempre considerata una specie di hobby, qualcosa da fare per conto mio, di nascosto, come uno sfogo dell’anima. Poi mi sono resa conto che il vizio di scrivere non mi abbandonava, neanche con una carriera soddisfacente. Ho deciso di provarci.

La lettura è il centro creativo di uno scrittore. Lo dice Stephen King in ‘On writing’, libro sul mestiere dello scrivere. Quali sono i suoi autori di riferimento?

Ce ne sono tanti. Visto che siamo in Svizzera, non posso non citare l’ungherese Ágota Kristóf che si trasferì per motivi politici a Neuchâtel con la famiglia, rendendosi ben presto conto che se voleva essere pubblicata avrebbe dovuto scrivere in francese. E così ha fatto. Procedeva per sottrazione perché non era facile per lei scrivere nella lingua di adozione. Quando la lessi la prima volta, non sapendo la sua storia, ne rimasi molto colpita. Mi ha insegnato che si può parlare di tutto, anche delle ombre dell’umano.