Alla Rada di Locarno l’artista Pam Mazzuchelli presenta ‘Guerre’, un progetto artistico nato da due anni di osservazione della sofferenza umana
‘Guerre’, a La Rada Spazio per l’arte contemporanea di Locarno fino al 17 maggio 2025, è un progetto nato dall’osservazione del tempo presente. Per due anni l’artista ticinese PAM Paolo Mazzuchelli ha elaborato dei quaderni di schizzi e di appunti per opere che sono poi state realizzate durante una residenza di tre mesi a La Rada, tra cui l’imponente opera realizzata a carboncino ‘Tirai una freccia in cielo per farlo sanguinare’ di 3 metri per 17.
All’inaugurazione, in programma sabato 29 marzo dalle 18, sarà presentata la fanzine redatta da Tommaso Soldini, Antonia Nessi e Roberto Antonini della quale pubblichiamo qui un estratto.
Info: larada.ch.
di Roberto Antonini
Colto da una spaventosa furia omicida per aver perso suo cugino e forse amante Patroclo, Achille massacra tutti i troiani che incontra.
La disperazione e il dolore alimentano la cieca vendetta, la sua ira funesta non ha più argini, ci racconta il libro XXI del grande poema omerico, l’Iliade, il primo classico della letteratura occidentale.
Achille tra loro diede inizio al compianto,
mettendo le mani sterminatrici sul petto del suo compagno,
e gemendo sempre, come un leone dalla bella criniera
al quale un cacciatore ha rapito i cuccioli
nella selva fitta, e lui si angoscia d’esser giunto tardi
L’eroe greco mette in atto una spaventosa carneficina:
Il lamento dei Troiani si levava
Sotto i colpi dell’arma l’acqua era tutta rossa di sangue.
E come davanti a un delfino dal vasto ventre gli altri pesci
scappano via, si mettono negli angoli di un porto spazioso,
in preda al terrore come sono (quello li divora, se li prende):
così i Troiani, lungo il corso del fiume impetuoso,
cercavano scampo sotto le rocce.
Un bagno di sangue che disgusta addirittura un improbabile protagonista, il fiume Scamandro: ormai gonfio di cadaveri si ribella, tracima e cerca di far annegare il guerriero acheo.
Lo scempio umano immortalato dalla poetica artistica di PAM Mazzuchelli ci ricorda il racconto omerico, uno scempio in chiave contemporanea, identico negli eccessi: corpi straziati, cuori che sembrano precipitare con i vasi sanguigni strappati, torsi, toraci, arti neri come la pece, rossi come la vergogna umana, che penzolano nel dolore di esseri ormai scomparsi, svaniti dalla terra. Siamo nell’immane desolazione di Gaza, nell’inferno ucraino a Bucha o Mariupol, ad Aleppo e Homs, nel Kivu (Repubblica democratica del Congo) o in Sudan. Corpi eterei sembrano abbandonare le macerie per salire in cielo: come nell’iconografia medievale del giudizio universale, alcuni forse destinati al riscatto, alla salvezza, al paradiso, altri nella parte opposta della tela, costituiscono un esercito di impiccati acchiappati e divorati da un diavolo dai colori del fuoco eterno con le fattezze mostruose e imponenti del celebre Belzebù che campeggia nella Basilica San Petronio di Bologna. Quando la distopia è realtà quotidiana: oggi ci svegliamo con il carico di immagini di atrocità, prevaricazioni, dolore che le guerre ci scaricano quotidianamente. Il mondo sembra impazzito, vogliamo scendere. Ormai evaporati gli ideali illuministici kantiani di una pace eterna. La scommessa sulla direzione che ha assunto la Storia l’ha ormai vinta Thomas Hobbes con il suo “homo homini lupus”, la guerra perpetua di tutti contro tutti. Certo a volte scompare, ma è solo per breve tempo e per poi rinascere ancor più devastante. Si avvera anche la profezia di Samuel Huntington: altro che “fine della Storia” e trionfo della democrazia liberale, aveva scritto in opposizione a Francis Fukuyama. La caduta del muro di Berlino ha spalancato le porte al conflitto tra culture incapaci di dialogare. Huntington lo ha battezzato “scontro di civiltà”.
Le anime salve di Mazzuchelli, ascendono in un afflato religioso sopra una città che le bombe hanno trasformato in una landa di macerie, appaiono corpi diafani e scheletrici che portano le stigmate della violenza ma anche della fame. Arma micidiale, quest’ultima, che fino a poco fa sembrava definitivamente consegnata, per lo meno in Occidente, ai libri di storia. Dagli assedi medievali a quello della Germania nazista a Leningrado, dalle carestie pilotate da Stalin in Ucraina all’accerchiamento di Sarajevo nell’ultima guerra europea del XX secolo, portare la popolazione allo stremo togliendole acqua e cibo non ha posto molti problemi etici. Sordo alle richieste della Corte Internazionale di Giustizia, insensibile alle accuse di crimini di guerra, il governo israeliano impone un embargo totale su cibo e medicinali. La falce della morte lenta non mira solo i terroristi fanatici di Dio. Non risparmia proprio nessuno: l’agonia di donne, anziani, bimbi ci è servita sugli schermi live, in diretta mondiale. Bambini che periscono per mancanza di cibo e acqua; per l’assenza di farmaci numerose amputazioni vengono effettuate senza anestesia. PAM Mazzuchelli denuncia le guerre, tutte. Ma appare chiaro il suo principale riferimento, quello del più lungo dei conflitti. Non è un caso che l’artista abbia tratto ispirazione da un celebre brano degli Area, una delle band musicali più impegnate e innovative: “Luglio, agosto, settembre (nero)” si apre con una preghiera in arabo: “lascia la rabbia, lascia il dolore, lascia le armi e vieni a vivere in pace”. E poi la denuncia: “Giocare col mondo facendolo a pezzi, bambini che il sole ha ridotto già vecchi”.
L’Europa viene da Venere, l’America da Marte, aveva scritto due decenni fa Robert Kagan, noto politologo statunitense nel suo saggio “Power and Weakness”. Si spiegherebbero così i proclami di annessione di Canada o Groenlandia, lanciati ripetutamente con protervia dal presidente statunitense Donald Trump. Ritorno alla legge della giungla alla quale oggi aderiscono spavaldamente le oligarchie economiche e finanziarie. L’obiettivo è chiaro: depredare: terre rare, materie prime, spazi “vitali”. Le mire imperiali sono dichiarate pubblicamente, spudoratamente. Ma è una storia che in fondo si ripete.
Nel suo ‘La vita di Agricola’, lo storico romano Tacito (fine I sec, inizio II sec d.C.) fa dire al capo dei Caledoni quello che lui, in quanto cittadino di Roma, non può personalmente dire. Così dunque il “j’accuse” di Calgaco nel suo appello alla resistenza contro gli invasori romani, in uno dei passaggi più forti e straordinari di tutta la letteratura classica: “Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pace appellant”. Rubare, trucidare, rapinare e con falso nome lo chiamano impero; infine dove creano il deserto, lo chiamano pace. Parole vergate duemila anni fa e che oggi risuonano come fossero la tetra eco di un nostro destino ineluttabile.