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Lucio Fontana da Pierre Soulages

A Rodez la prima presentazione francese fuori Parigi del lavoro dell’artista argentino naturalizzato italiano, in luogo dedicato a uno sperimentatore

Lucio Fontana, Struttura al neon per la 11esima Triennale di Milano, 1951
(Fondazione Lucio Fontana)
9 settembre 2024
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Pierre Soulages possedeva un Concetto Spaziale di Lucio Fontana. È un’opera del 1968, di 45 x 55 cm: una banda grigia disegna un rettangolo approssimativo e tondeggiante; è contornata lungo i due bordi dal segno della matita e dentro alla superficie delimitata dal grigio cinque linee verticali sono definite da sequenze di buchi.

Evocando questo suggello simbolico della relazione tra i due artisti, in occasione dei dieci anni di attività il museo Soulages ospita Lucio Fontana. Il y a bien eu un futur. Un futuro c’è stato, una mostra dedicata a tutta la attività di Lucio Fontana, con un allestimento un po’ pasticciato e ricco. Si tratta della prima presentazione completa nel territorio francese fuori da Parigi ed è significativo che essa avvenga in un luogo dedicato a un artista sperimentatore su piani complementari.

Di Lucio Fontana vengono esaltate specificità ancora poco note al pubblico e il suo profondo impegno in una continua ricerca sperimentale che ha generato esiti di grande successo e di forte impatto. Tali esiti, insieme a quelli meno conosciuti e non meno importanti sul piano artistico, vengono ricondotti tutti a una poetica insieme ingenua e coraggiosa, nella quale la componente artigianale è comune al metodo di Pierre Soulages, ampiamente mostrato nelle attigue sale del museo, oltremodo affascinante e interessante.

‘Uomo del passato e del futuro’

Benoît Decron, direttore del museo, ci presenta Fontana come «un uomo del passato e del futuro, impregnato di classicismo e di barocchismo, espressionista, nel rispetto degli insegnamenti futuristi e cubisti». È un crogiolo di compresenze e di contraddizioni tutte al servizio di una ricerca poetica precisa che vuole emancipare l’opera d’arte dalle tradizioni senza tradirle ma inglobandole in una proiezione futuribile e ottimista, all’interno della quale l’essere umano (inteso soprattutto come uomo) beneficerà del progresso scientifico e tecnologico per approdare a una condizione di benessere divino, estatico e denso anche di inquietudine, se non di angoscia. Ecco che i segni e i disegni che si distribuiscono su una tela per creare un Concetto spaziale vengono descritti dall’artista come la condizione degli astronauti, strattonati tra la sospensione dei sensi e un senso di indeterminatezza, in una frizione tra il benessere espressivo e l’inquietudine di una condizione in continuo divenire. Sul concetto di divenire, peraltro, ha insistito una figura determinante per la fortuna commerciale e l’esegesi di Fontana: Michel Tapié, al quale Silvia Bignami dedica un saggio in catalogo.

Nelle opere, spiega invece Paolo Campiglio, assistiamo alla reificazione delle tensioni che muovono l’artista: per esempio «la dialettica tra il colore della superficie che allude a un puro gesto pittorico e la metafora spaziotemporale infinita rappresentata dall’atto reiterato di bucare, secondo uno scambio continuo tra materia-luce e antimateria-spazio che, nel pensiero di Fontana, intende rilevare il contrasto esistenziale tra la nostra condizione finita e sensibile e una dimensione infinita, spirituale o sconosciuta». Ciò che è sconosciuto diventa spirituale e l’artista invita il fruitore a condividere l’attesa: Attesa o Attese è il titolo dei Concetti spaziali che contengono i tagli, secondo che la superficie della tela sia abitata da uno o più solchi.


André Morain
Soulages e Fontana a Parigi, galerie Iris Clert, 10 novembre 1961

Componenti

La mostra di Rodez quindi ci propone modalità espressive molto diverse: disegno o bozzetto o progetto; tela lacerata, bucata, graffiata, dipinta e disegnata e costellata di frammenti di pietre e altro; scultura astratta, scultura barocca, installazione, ceramica… Ci sono opere di grande forza, altre conturbanti per il lirismo; vi è matericità e patina; eleganza e volgarità dozzinale (in Quattro studi per “buchi” del 1952 la puntellatura eseguita con la biro definisce espressioni infantilmente sconce) e, insieme a espressioni arcinote della produzione di Fontana, esempi meno conosciuti e di grande suggestione come le Tavolette incise del 1931 e del 1932, due Scultura astratta del 1934 e la Mujer desnudándose (o El viento en Catamarca) del 1947, gesso colorato dal quale il gesto della evoluzione verso l’alto delle braccia nell’atto di sfoderare il corpo dal vestito confluisce in una evanescenza verso il nulla, lo spazio ulteriore e superiore, l’incognita erotica che potrebbe fare seguito alla spoliazione.

Anche in questa modalità pseudo figurativa, espressionista e baroccheggiante, vediamo le componenti principali del lavoro di Lucio Fontana che poi verranno sintetizzate, più che astratte, per esempio, nelle Attese o nelle Finediddio (due esemplari delle quali, affiancati, uno verde acido, l’altro rosa, suggellano il percorso della mostra). Vi è in effetti una questione che la mostra al museo Soulages ci propone: Lucio Fontana è un artista concettuale? Lo è certo nella misura in cui egli indaga e rilancia il concetto di spazio, come luogo del nulla (buco) e insieme dell’infinito tutto, del vuoto e della luce che è materia abitante il vuoto. Poiché egli lavora però concentrato su gesto e segno, usa il disegno in modo primordiale e sperimenta e stiracchia la materia, la tecnica, la propria abilità manuale e il metodo artigianale, è anche un artista liricamente narrativo e ingenuamente fattore. Paolo Campiglio ci dice: «Il riferimento al barocco coloniale, filtrato da una vena espressiva popolare, fornisce solo il punto di partenza di una manipolazione inquieta della materia, secondo una enfatizzazione intenzionale della abilità manuale, sintomo di una condizione esistenziale incerta». La componente concettuale del suo lavoro è quindi in senso pieno il frutto della struttura umana ed esistenziale, prima che intellettuale, che supporta il suo agire.

La lettura dei saggi in catalogo ci guida in altri ambiti e in ulteriori problematiche: il senso degli Ambienti spaziali come sbocco del suo lavoro, descritto da Giorgio Zanchetti; la relazione con altri artisti (Pablo Picasso in particolare per l’attività di ceramista e poi gli artisti delle generazioni successive, temi trattati da Luca Bochicchio e da Valérie Da Costa) e poi la relazione dell’artista con il contesto francese (affrontato da Jacopo Galimberti) e di quello argentino (affrontato da Daniela Sbaraglia).

Gli allestitori della mostra non hanno sentito il bisogno di suggerire contiguità pretestuose tra i due artisti, la forza dei quali si affianca negli spazi del museo con una convincente vitalità.


Thierry Estadieu
All’interno

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