Arte

Carlo Ciussi, spersonalizzare la pittura per esprimere sé stessi

L’artista, il soggetto pensante che cerca e si cerca, alla Fondazione Ghisla di Locarno fino al 21 agosto con la mostra ‘La metamorfosi del colore’

Carlo Ciussi Senza titolo – 2005 Olio e tecnica mista su tela 140 x 250 cm
(©Fondazione Ghisla Locarno)
7 giugno 2022
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Un quadro è un quadro: lo puoi prendere, portare, appendere, spaccare. È una cosa, un oggetto. Quello che c’è dipinto su un quadro è invece sempre un’idea: anche quando raffigura un gruppo di bottiglie, come nel caso di Morandi, o un cerchio, un quadrato. Di più: è un’idea che evolve e si modifica nel tempo, magari su un arco di decenni. Ogni opera d’arte è la ricerca di qualcosa di sfuggente che l’artista presenta in maniera oscura, ma che non ha ancora forma e chiede di prendere forma. È una ricerca costante, potremmo dire una sfida continua a catturare questo fantasma oscuro che pulsa dentro di lui. C’è lui, l’artista, il soggetto pensante che cerca e si cerca; c’è il mondo, l’oggetto – la materia inerte o violenta – che gli sta di fronte e con il quale si confronta; c’è la storia, il contesto – culturale, sociale ed evidentemente anche artistico – in cui egli opera. Fare arte significa trovare il proprio spazio, la propria voce che faccia sintesi di questa triade.

Ne è una bella conferma l’interessante percorso che la Fondazione Ghisla a Locarno ci offre dell’arte di Carlo Ciussi nelle tre sale all’ultimo piano dello spazio espositivo (visitabile fino al 21 agosto prossimo). Nato a Udine nel 1930 (muore nel 2012), Carlo Ciussi inizia il suo percorso artistico nel solco di una figurazione che si muove tra cubismo ed espressionismo; passa poi attraverso l’informale finché, a metà degli anni Sessanta, approda all’astrazione. Le opere in esposizione partono esattamente da qui: in effetti da quel momento in poi scompaiono i titoli dei quadri che vengono sostituiti da un numero, ciò che implica la chiara presa di coscienza del nuovo corso impresso da Ciussi alla sua arte. Mettendo in linea, secondo un ordinamento cronologico, opere rappresentative dei diversi periodi creativi dell’artista, la mostra offre al visitatore una visione d’insieme sull’evoluzione della sua ricerca, permettendogli di seguirne dall’interno genesi e storia; una storia che dalla seconda metà del secolo scorso giunge all’inizio del nuovo millennio. La sintetizziamo qui in tre blocchi corrispondenti alle tre sale.

Una svolta radicale nel 1965

Dopo i contatti con Afro che lo invita alla XXXII Biennale di Venezia nel 1964, dove presenta opere per lo più informali, nel 1965 Ciussi imprime una svolta radicale alla sua pittura che, andando oltre l’informale, registra un progressivo interesse per l’organizzazione in senso geometrico dello spazio. Due soli anni più tardi, nel 1967, presenta una mostra personale di grande successo alla Galerie Paul Facchetti di Parigi. Le tele rettangolari, quadrate, circolari o romboidali di quegli anni mostrano un deciso passaggio non solo verso la geometria che mette dialetticamente in relazione il formato del quadro con quanto si accampa al suo interno, ma anche verso il colore che, lasciatosi alle spalle il periodo iniziale dei grigi, si pone come co-protagonista del rigore della sua nuova pittura. Forma, formato e colore.

Gli anni Settanta: dimensione progettuale della pittura

Il cerchio, dipinto e variato dentro il formato quadrato, che già fa la sua comparsa nella prima sala, diventa protagonista sulla parete di sinistra nella seconda: stessa composizione (il cerchio dentro il quadrato), identica relazione spaziale tra contenuto e contenente, medesimo disegno che si sposta dall’una all’altra tela mediante delle sagome di riporto. A cambiare sono la sua disposizione, vale dire il suo orientamento (centrale, obliquo, statico o tendente a sinistra o a destra) e la variazione della luce-peso del colore. Si fanno evidenti due linee di tendenza che caratterizzano gli anni Settanta: Ciussi si concentra sempre più sulla dimensione progettuale della pittura e sulle sue implicazioni soggettive a partire dal rapporto tra forma e colore. Questo significa che egli non attribuisce valore simbolico (Mondrian) alla sua ricerca fondata sulla geometria delle forme e alla purezza del colore, ma unicamente indaga il valore espressivo e spaziale derivante dalla combinazione di quelle forme che comunque pervengono a un loro equilibrio tra cerchio e quadrato, tra orizzontale e verticale, tra colori freddi o caldi. Lo scarto avviene con il grande dipinto del 1990 sulla parte di fondo, dal marcato sommovimento interno: ci dice di un’urgenza di vita che sovverte la disposizione ordinata della linea come del colore fin qui esperita e cerca il movimento, l’inquietudine dei toni, delle forme e dei colori, che si materializzano sulla parete opposta e fra poco scenderanno dalla parete per entrare nello spazio.

Anni Ottanta: l’espressione diventa corpo

Come conferma l’ultima sala dove non solo si fanno palesi gli interventi ambientali, già presenti dall’inizio degli anni Ottanta, in forma di sculture (XLII Biennale di Venezia, 1986), ma si muovono e prendono consistenza, diventano corpo, anche i quadrati all’interno delle singole opere, che sembrano fluttuare nell’aria. Si direbbe che la sua ricerca torni ora sui suoi primi passi per rivisitarli a distanza di trent’anni: "Dipingere – scriveva Ciussi – significa verificare continuamente il patrimonio che si è storicamente accumulato".

Un periplo coerente e leggibile a dimostrazione del suo ossimoro di fondo: per quanto l’artista cerchi una spersonalizzazione della pittura, alla fine non può che esprimere se stesso, quel fantasma oscuro che pulsa dentro e chiede di prendere forma.

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