Arte

C'è vita oltre la cornice: le foto di sei giovani migranti

Incontro con i partecipanti del progetto di fotografia partecipativa 'PhotoVoice Ontheroad', alle prese con la mostra 'Dolce Amaro' a Bellinzona

Il gruppo di partecipanti
26 giugno 2019
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Sono stata ospite di Mukhtar Hussani, Ali Maemi, Sayed Soroush, Mohammad Nazary, Kisanet Habte e Geethanjaly Kumarasecaram. Sono stata ospite in Afghanistan, Eritrea, Pakistan, Sri Lanka... alla Biblioteca interculturale della Svizzera italiana (Bisi), una domenica pomeriggio.

Volume alle voci

«Mi chiamo Sayed e vengo dall’Afghanistan. Da quasi quattro anni abito a Biasca. Sono contento di aver partecipato e imparato tante cose sulla fotografia. Un’esperienza che mi è piaciuta molto».

«Mi chiamo Ali e sono nato nel 1992, sono arrivato dall’Afghanistan da tre anni e sei mesi, durante i quali ho iniziato a imparare l’italiano. Da quasi un anno, ho iniziato a frequentare la Supsi. Durante le settimane del corso, ho imparato molto; prima non sapevo niente di come scattare una bella fotografia».

«Sono Kisanet, sono eritrea e ho 21 anni. Abito a Bellinzona. Grazie a questo corso ho imparato tanto ed è stata anche un’occasione per esercitare l’italiano».

«Mi chiamo Mohammad, sono afghano e ho trent’anni. In Svizzera sono arrivato circa tre anni fa. Oltre alla fotografia, questo corso mi ha permesso di parlare la lingua di qui e conoscere nuove persone».

«Mi chiamo Mukhtar, vengo dal Pakistan e parlo persiano, curdo e inglese. Abito a Giornico da circa un anno. È la prima volta che frequento un corso di fotografia, ma ho fatto teatro, diverse volte».

Parole scarne e introverse. La timidezza è stata l’impressione di partenza, ma piano piano i cinque giovani migranti (arrivati alla spicciolata) si sono sciolti e hanno partecipato all’incontro settimanale con la naturalezza e l’entusiasmo di sempre, coinvolgendo l’intrusa nelle conversazioni.

Se un sabato di maggio una fotografa…

Facciamo qualche passo indietro. L’occasione di trascorrere qualche ora insieme a questi ragazzi mi è stata data dal progetto della fotografa ticinese Nathalie Vigini ‘PhotoVoice Ontheroad. Photography for Change’, che si è svolto lo scorso mese di maggio a Bellinzona, grazie alla preziosa collaborazione di Sos Ticino. Corso che viene coronato dall’allestimento collettivo ‘Dolce Amaro’, ospitato negli spazi della Casa del Popolo di Bellinzona, dal 29 giugno al 28 luglio (inaugurazione sabato 29, alle 18.30).

Si tratta di un progetto di fotografia partecipativa (cfr. correlato) che ha coinvolto quattro ragazzi e due ragazze che, per tutto il mese – equipaggiati di compatta digitale –, hanno documentato la propria vita, scattando fotografie in svariate situazioni, spesso dalla forza molto simbolica ed evocativa.

Durante la mia incursione, ho avuto la possibilità di capire dunque come si sono svolte le riunioni, fissate ogni sabato di maggio, alla Bisi.
In queste giornate, Nathalie ha impartito alcune nozioni di base, teoriche e pratiche, sulla fotografia e sugli apparecchi, imprescindibili alla documentazione della loro quotidianità. Le immagini catturate dai migranti sono diventate in seguito materia di confronto, discussione e riflessione, abbordando diversi temi esistenziali. La fotografia è stata perciò – o meglio – soprattutto il pretesto per l’incontro e la socializzazione, lo scambio e la condivisione, sia delle esperienze vissute, sia della propria storia; qui e altrove.

Scatti che, man mano, la fotografa ha selezionato e stampato, tracciando così l’idea di dare anima, sangue e muscoli a una mostra. Un allestimento collettivo per cui è stato necessario trovare un filo rosso che legasse le immagini fra loro, che narrasse delle storie.
Spazio dunque alla riflessione, grazie alla quale sono affiorate alcune parole chiave molto emblematiche – come forza, identità, speranza, solitudine, nostalgia, umanità, libertà –, cui dare corpo e caricare di senso figurandole con le fotografie selezionate dall’intero corpus a disposizione, costruendo una narrazione valicando i confini dello scatto personale, creando un lavoro comune.

Dalle immagini osservate sono percepibili la visione e l’immaginario che questi ragazzi hanno portato con loro, ma anche quello che stanno costruendo lontano da casa, confrontandosi con la realtà e il contesto ticinesi. Soprattutto si tratta di un progetto a carattere sociale, in cui ci si incontra e si discute sì di fotografia, ma soprattutto del quotidiano, di progetti futuri, paure e sogni. ‘At last, but not least’: gli incontri di PhotoVoice sono stati una preziosa opportunità per i partecipanti di impratichirsi con l’italiano – lingua “franca” –, indispensabile all’integrazione nel tessuto sociale locale.

Mettiamo il punto a questo brevissimo reportage con le parole di Ali: «Una foto non è solo una foto. Un’immagine può essere una storia, un ricordo, una leggenda… Un’immagine può esprimere e raccontare la vita di una persona».

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