Arte

Fedeli alla linea

La Sonnenstube di Lugano dedica una collettiva al disegno, un modo alternativo, e comunitario, di far incontrare idee ed esperienze

Diego Marcon, Triptych. The phone call (Dick the Stick’s Saga), 2014
20 ottobre 2018
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Per i cultori del punk rock italiano l’associazione è immediata, quasi epidermica: “Fedeli alla linea” sono i CCCP, gruppo di “musica melodica emiliana”, attivi dal 1982 al 1990. Qui non si tratta però né di punk né, tanto meno, di fedeltà al dogma di partito; quanto piuttosto alla «linea vista come la forma più arcaica di comunicazione che porta il disegno a essere una delle forme più democratiche di arte visiva e, forse, la più spontanea presente nell’esperienza umana». E il disegno è al centro della mostra collettiva allestita alla e dalla Sonnenstube a Lugano, perché «si adatta facilmente alla contemporaneità, sia essa definita da una tendenza fugace, così come da un codice espressivo ben sviluppato e definito». I virgolettati sono del collettivo omonimo che, secondo definizione, ha risposto alle nostre curiosità in maniera corale e democratica.

En gros, la collettiva “Fedeli alla linea” è volta «a raccogliere diverse testimonianze contemporanee in cui si riflettono gli aspetti della vita che ci circonda: un miscuglio fra segni che ci ricordano mondi paralleli già vissuti e futuri incerti». Ma non ci accontentiamo delle grandi linee (si perdoni il bisticcio); così abbiamo posto qualche domanda in più su disegno, artisti invitati, lo spazio e il collettivo.

Come si presenta il panorama artistico del disegno?
«Il panorama contemporaneo è variato, mescolato, sempre più votato alla multidisciplinarietà. Molto interessante è scoprire la ricchezza e la diversità di linguaggi; soprattutto, il mutamento dei limiti che definiscono storicamente il disegno. Ad esempio, la capacità totale di astrazione è potenziale forma per il non rappresentabile».

È legato unicamente al supporto bidimensionale?
«Un segno può essere tracciato con qualunque cosa, su qualunque superficie (penne, inchiostri, chiodi, fili, pennelli, vettori e pixel): il disegno come pratica artistica ha preso strade amplissime e spesso lo hanno portato a incrociarsi con altri mezzi espressivi. L’immagine creata dalla linea non si può quindi ridurre al binomio foglio-matita. Oggi, grazie alla tecnologia, il segno può essere trasformato in materia, trasporlo in una dimensione virtuale oppure temporale (basti pensare al disegno come mezzo narrativo e quindi il fumetto, la satira, l’animazione)».

 

In Ticino, raccontano i “Sonnenstubers”, ci sono molti giovani artisti che si esprimono con la tecnica del disegno, basti pensare alla terza edizione appena conclusa di Wopart (a Lugano), fiera dedicata alle opere su carta: «Parte di queste possono essere definite disegni, questo a testimonianza del fatto che anche il valore economico del disegno è vivo, nonostante sia ritenuta una forma d’arte minore».
“Fedeli alla linea” rientra nel programma di Sonnenstube di sondaggio dei diversi media artistici, concependo una serie di esposizioni volte a diverse discipline artistiche: hanno iniziato lo scorso anno con la collettiva di pittura nazionale, “A place with no name”. “Fedeli alla linea” è quindi la seconda tappa e ospita artisti svizzeri e insubrici. La prossima primavera, presenteranno una mostra su scultura e installazione con una quindicina di artisti, nella futura sede: presso lo stabile dell’associazione Morel.
«I cinque artisti attraverso l’uso di tecniche e immagini, grazie ai loro supporti, diversi e inusuali, illustreranno uno scorcio dell’inesauribile mondo del disegno contemporaneo». Il visitatore si trova di fronte ai lavori del friburghese Guillaume Dénervaud, «artista immaginativo, che coglie i segni dal nulla e con essi crea nuovi mondi. Egli sviluppa la sua pratica attraverso il rapporto fra installazione e disegni di grande formato». La bernese Sarah Haug mette al centro del suo lavoro la sua vita quotidiana e le storie ironiche e fantasiose che ne scaturiscono; il disegno diventa così mezzo narrativo. C’è anche Diego Marcon (Busto Arsizio), che trae ispirazione dal mondo circostante; per Sonnenstube presenta un’immagine tratta dalla serie “Dick the Stick”. Insieme a loro, la bernese Marta Riniker Radich, le cui opere ritraggono gli oggetti quotidiani, aprendo a una dimensione intima. Infine, Giulio Scalisi (Salemi) i cui lavori sono un constante dialogo fra la dimensione contemporanea che ci avvolge e quella che ci rigetta, in cui spesso è presente il mondo digitale.
Lo spazio per l’arte contemporanea a Lugano è nato nel 2013 – progetto a cura degli artisti Marta Margnetti, Gabriel Stoeckli, Giacomo Galletti, Gianmaria Zanda (nonché musicista), Sandro Pianetti (nonché interaction designer); della curatrice Giada Olivotto e del graphic designer e musicista Damiano Merzari – «è un luogo fisico dove gli artisti, e non solo, possono confrontarsi e sperimentare». E propone la scoperta di cosa c’è fuori dal Ticino, restando qui, attraverso mostre, concerti, “talk”, performance. Attività che «sono spesso in relazione con il network degli altri offspaces e artisti della scena svizzera e italiana».
La forma del collettivo, come ci spiegano i curatori, è fondata su «un sistema decisionale orizzontale e indipendente. Indipendente significa operare senza essere direttamente affiliati a enti pubblici, dicasteri o privati, o esserne un’emanazione. Il secondo riguarda l’organizzazione orizzontale, ovvero il processo curatoriale, decisionale, organizzativo e amministrativo è praticato attivamente da tutti i membri». Si capisce che il lavoro di collettivo – e chi ne ha esperienza lo sa – è affatto semplice: vanno messe d’accordo voci e sensibilità diverse; pluralità che ne determina però ricchezza e freschezza. «Dare forma a un collettivo significa collaborare per la riuscita di un progetto basato sullo scambio e rivolto alla comunicazione coinvolgendo giovani con quell’energia del fare perché si vuol fare e non per forza, amici, passione, ma serietà, convinzione nel potere anche politico dell’arte giusta, sentita».

Torniamo ai CCCP che cantano ‘fedeli alla linea, anche quando non c’è’. Una domanda ignorante: il disegno può prescindere dalla linea?
Se il disegno è definire spazi e immagini attraverso linee e punti, le forme che vi si riconoscono esistono come interpretazione di esse quindi no, non si può. Se con disegno si determina la capacità umana di riconoscere una linea in un piano o in un progetto beh, no grazie. “È una questione di qualità, o una formalità”, citando ancora i CCCP.

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