Culture

Aspettando la prova del nulla, i buchi neri

Buco nero
(Ute Kraus, Wikimedia)
25 aprile 2016
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Aggrappato alla vita e a una lucida curiosità intellettuale che continua a prevalere sugli impedimenti fisici della malattia, Stephen Hawking potrebbe essere a un passo dall’ultima, grande rivincita. E, chissà, da uno dei pochi riconoscimenti che gli siano sfuggiti: il premio Nobel. Il merito sarebbe della sua giovanile e visionaria teoria secondo cui i buchi neri si dissolvono nel “nulla” – con la storia e la memoria ridotte di fatto a un’illusione – e di una dimostrazione in laboratorio che si dice in grado di convalidarne le intuizioni.

A scriverlo è stato il Times, stando al quale alla teoria “più longeva e più audace” dell’ormai 74enne astrofisico di Cambridge, accolta con scetticismo dalla comunità scientifica 42 anni fa e finora rimasta indimostrabile, sarebbe arrivato il tassello che mancava. Un altro scienziato, Jeff Steinhauer, del Technion di Haifa, in Israele, afferma infatti di aver creato un “buco nero in vitro”, una sorta di piccolo modello da laboratorio attraverso il quale assicura di poter “provare” ciò che Hawking aveva calcolato in teoria: la sottrazione di energia e materia ad opera di particelle “mordi-e-fuggi”.

Al momento l’annuncio è stato fatto su un sito scientifico, ArXiv, e si attende la pubblicazione dei dati completi su una rivista accreditata. La teoria sui buchi neri, secondo la traduzione che ne fa il giornale londinese, postula che vi siano “particelle infinitesimali” che gradualmente “rubano piccole frazioni di energia” al buco nero a partire dai suoi margini per poi sparire dalla “scena del crimine”; la loro azione fa sì che questo “evapori lentamente nel tempo, vomitando in una esalazione di calore tutta la polvere, la luce e le stelle passate che aveva ingoiato”. Verso il nulla, appunto, qualunque cosa esso significhi.

Steinhauer riferisce di aver creato in laboratorio l’equivalente di un minuscolo buco nero: ha raffreddato dell’elio a temperature vicine allo zero assoluto, e lo ha agitato velocemente, per ottenere una barriera invalicabile dai suoni, proprio come l’orizzonte degli eventi di un buco nero. Avrebbe così trovato fuori da questo buco nero tracce dei pacchetti di energia che costituiscono le onde sonore, chiamati fononi: proprio come prevede la teoria di Hawking.

Un esperimento che desta anche delle perplessità. Un test del genere dovrebbe comunque «ricreare in laboratorio tutte le leggi della termodinamica dei buchi neri», ha rilevato il fisico Salvatore Capozziello, presidente della Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione. Perplesso anche Carlo Cosmelli, della Sapienza di Roma, per i quale l'esperimento «è simile a quelli che vengono fatti da una decina di anni su materiali che possono avere vibrazioni meccaniche».

L’idea fu concepita nel 1974 da un Hawking poco più che trentenne. Malgrado la patologia al motoneurone, oggi la sua mente si è rivolta pure a scavare nel mistero della possibile esistenza di forme di vita extraterrestri nell’universo, in un progetto promosso a suon di milioni per ascoltare “le voci delle galassie” e immaginare persino un futuro viaggio umano interstellare.

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