Culture

Uno Zoppi da ricordare

L’autore e la montagna
16 febbraio 2016
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È uscito nelle scorse settimane ‘Ero un ragazzo di montagna’, ne parliamo con la sua curatrice

Criticato, superato, dimenticato, Giuseppe Zoppi ora ritorna in un volume che raccoglie le sue novelle e i suoi ricordi scritti per la stampa ticinese. Ci siamo chiesti perché.

Se davvero la letteratura, buona e meno buona, è espressione profonda del sentire del proprio tempo, Giuseppe Zoppi resta fra gli autori che hanno detto qualcosa del Ticino in cui ha vissuto, nella prima metà del Novecento. Della sua cultura, del suo tessuto sociale, del suo sentire, forse anche attraverso quella stessa retorica per cui l’autore di Broglio è stato criticato e superato, dagli eventi e da chi è venuto dopo di lui (un nome per tutti, Plinio Martini); e quindi, in certa misura, dimenticato. Se lo stesso ‘Libro dell’alpe’, il suo testo più celebre, evoca ormai un passato dall’orizzonte sbiadito, lo Zoppi poeta o “narratore libero” per la stampa è ai più ignoto. ‘Ero una ragazzo di montagna - Novelle ricordi’ (Salvioni, 2015), a cura di Tania Giudicetti Lovaldi (docente all’Università di San Gallo), raccoglie una selezione dei testi pubblicati da Zoppi nel corso di tre decenni sulla stampa ticinese. Ne abbiamo parlato con la sua curatrice, per provare a capire meglio l’operazione, e magari riscoprire qualcosa di significativo su questo scrittore (il libro verrà presentato venerdì 4 marzo alla Biblioteca cantonale di Locarno, con Renato Martinoni).

Per cominciare, gli amanti ticinesi della letteratura, dopo aver letto Giovanni Orelli e Plinio Martini, sono stati indotti a considerare come superato un autore come Zoppi. Dunque, non possiamo serenamente dimenticarlo?
No, non possiamo dimenticare un autore come il valmaggese, che tanto si è prodigato per far conoscere il Canton Ticino e la civiltà contadina della sua valle. Del resto è uno dei pochi autori svizzero italiani che, negli anni Venti e Trenta, ha scritto delle opere che hanno trovato una vasta eco nella sua patria, ma anche in Italia. Riporre, come è stato in parte fatto, la sua opera in un cassetto e chiuderlo a chiave vorrebbe dire cancellare i ricordi di varie generazioni che hanno conosciuto lo scrittore di Broglio proprio sui banchi di scuola attraverso un libro che gli era valso il premio Schiller.

Questo libro raccoglie una produzione particolare di Zoppi. Con quali criteri sono stati selezionati i testi? E che cosa rivelano di ‘nuovo’, o di meno noto, del loro autore?
Il volume contiene 26 testi, novelle e ricordi, estravaganti, mai pubblicati in volume, che Zoppi aveva consegnato, nell’arco di trent’anni, a tre testate ticinesi: il ‘Corriere del Ticino’, il ‘Giornale del Popolo’ e l’‘Illustrazione Ticinese’. Si susseguono in ordine cronologico e documentano come l’attività letteraria del valmaggese sia stata intensa e ricca di sfaccettature. Alcuni temi sono stati presentati e sviluppati anche nelle opere a stampa, altri ci danno un’immagine forse più ironica, oltre che privata e “cittadina”, dell’autore del ‘Libro dell’alpe’. Tutti hanno un sapore antico e nostalgico e sono un tassello che contribuisce ad arricchire la conoscenza della visione poetica zoppiana.

Nella sua prefazione Renato Martinoni evoca i luoghi comuni, forse i pregiudizi, con cui sono stati osservati Zoppi e la sua opera. Quali in particolare andrebbero rivisti?
Si è scritto in maniera un po’ troppo sbrigativa, soprattutto dopo la sua morte, che è stato un autore che non ha saputo dare una visione reale degli ambienti e dei luoghi della vita di un tempo. Forse non si è capito che è proprio quello che il valmaggese non ha mai voluto fare, in lui non c’è mai stato il desiderio di essere uno scrittore della realtà (intesa come descrizione storica, antropologica e sociale). È stato invece un uomo che non ha voluto distinguere, un po’ ingenuamente, la vita dalla poesia: per lui la vita era poesia e la poesia era vita. Zoppi lo dimostra bene anche nel volume ‘Ero un ragazzo di montagna’, in cui quasi ogni testo è caratterizzato dalla gioia di vivere e da un’attenzione particolare verso il mondo dell’infanzia e la bellezza della natura e dei paesaggi. Il professore con il “pince-nez da poeta piemontese dell’Ottocento” ha voluto spesso soffermarsi su quanto lo ha meravigliato e incantato (e farne partecipe il lettore). I suoi testi sono una fiaba, densa di letterarietà, che si collega sempre alla realtà, quella più primitiva e un po’ rude, che ha vissuto nella sua infanzia. Alla fine il poeta è sempre dotato “d’arte magica”. Bisogna però anche ricordare che la visione mitica, arcadica del mondo alpestre, viene sublimata in un primo momento, soprattutto con ‘Il libro dell’alpe’ del 1922 e ‘Quando avevo le ali’ del 1925, e successivamente drammatizzata con l’uscita del romanzo ‘Dove nascono i fiumi’, un libro scritto da adulto e quindi intriso di tristezza (e di fede e di speranza).

Recuperare oggi Zoppi, come lei fa, in quanto ‘voce chiara e genuina che ama le belle umili cose del popolo’, innamorato del ‘suo Ticino’ al punto da morire forse per la distanza da esso, non perpetua forse quella retorica all’origine degli sguardi critici e dei luoghi comuni su questo scrittore?
Secondo me no, anzi ci permette ancora una volta di capire meglio l’intento dell’opera letteraria zoppiana, che è riassunto, in parte, anche nelle seguenti parole (contenute, tra l’altro, nel ‘Libro dei gigli’): “Insegnare a vedere, in tutte le grandi e piccole cose, la bellezza: ecco il mio sogno”. Questa è, forse, la chiave di lettura per avvicinarci ai libri del cantore della montagna.

Da questi testi emerge, come scrisse Piero Chiara, l’immagine di uno Zoppi ‘confederato integrale’, mediatore fra le identità culturali svizzere. È forse questo l’aspetto più attuale del suo profilo intellettuale? In che modo può parlare alla Svizzera italiana di oggi, alle prese con una difficile difesa della propria specificità linguistica e culturale? 
Zoppi ha sempre creduto nel senso profondo del proprio mestiere di poeta e di docente. Ha anche voluto mettere a disposizione le proprie competenze per divulgare opere scritte nelle diverse lingue nazionali. E qui mi soffermerei sullo Zoppi traduttore, che, negli anni in cui era professore di Letteratura italiana al Politecnico di Zurigo, per mezzo di un ottimo lavoro letterario, ha fatto conoscere nella Svizzera italiana e in Italia opere di Charles Ferdinand Ramuz, Gottfried Keller, Conrad Ferdinand Meyer, Charles Gos, Cécile Lauber. In fondo conoscere è anche capire e valorizzare.

 

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