
Fra gli artisti riconosciuti con il Premio svizzero del Teatro, quest'anno c'è anche Margherita Palli, scenografa ticinese che si è ritagliata uno spazio di primo piano sulla scena teatrale italiana, lavorando con registo come Luca Ronconi o Franco Branciaroli. Vi proponiamo quindi un estratto dell'intervista fatta a Margherita Palli da Nicoletta Barazzoni, uscita su 'la Regione Ticino' del 5 dicembre 2014.
Luca Ronconi, nel 1969, ha cambiato il modo di far teatro dopo aver progettato l’‘Orlando furioso’. Anche lei ha cambiato il modo di fare scenografia?
«Non credo di avere cambiato il modo di fare scenografia. La scenografia costruita nasce nel Novecento e dunque lavoro sui suoi concetti. Credo che più che il modo di fare scenografia sia importante per me avere un rapporto con il regista, colui che pensa allo spettacolo e che sta al sommo della piramide che include in particolar modo la drammaturgia, un rapporto con la mente che poi governa tutti, dallo scenografo all’ultima comparsa, ai tecnici. In tutta la mia vita ho fatto questo sforzo anche magari rinunciando a delle occasioni per lavorare con registi che avessero delle affinità con le mie».
Quando si ha un’idea si studiano i vari spazi in cui si costruisce la luce. Ci parli della gabbia prospettica.
«La gabbia prospettica genera, se vogliamo, una sorta di fotografia, un’immagine circoscritta che si stampa nella mente. Questa fotografia è quella visione che si ha quando si apre il sipario, l’immagine stampata idealmente sul boccascena, la quarta parete che sta lì e divide o non divide il pubblico dalla scena. Dalla fine dell’800 la fotografia si è trasformata in una prospettiva costruita, prima era solo dipinta. Con l’uso della restituzione prospettica si creavano le prospettive dipinte o le scenografie costruite, oggi si lavora in modo piu semplice con i programmi 3D. Credo che una scenografia centrata sia quando questo luogo, che hai creato, permette anche agli attori di sviluppare altri elementi in modo tale da potersi esprimere, da evidenziare i concetti drammaturgici del testo e la lettura del regista».
Dalla bidimensionalità di Bob Wilson come si interviene oggi sulla tridimensionalità?
«Più che altro si è velocizzato il modo di progettare e il controllo dell’insieme è molto più immediato e veloce. Dalla bidimensionalità a oggi è cambiata la luce. Lavoro tanto con i led e con dei supporti tecnici che prima non sussistevano. È un valore aggiunto che cambia l’impostazione pensando anche soltanto ai colori che oggi hanno una luminosità che prima non esisteva. La luce è dunque cambiata. Il teatro di regia nasce nel Novecento proprio quando si fa buio in sala».