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Abolire il valore locativo? Per il Ticino una mazzata da 100 milioni l’anno

Il direttore del Dfe Christian Vitta risponde al Ps: se passasse questa modifica al voto, sarebbero 55 milioni in meno per il Cantone e 44 per i Comuni

Si voterà verosimilmente in autunno
(Ti-Press)
14 aprile 2025
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Una botta mica da ridere per finanze cantonali che già stanno tutto tranne che bene. L'abolizione del valore locativo, oggetto di una votazione federale che dovrebbe tenersi in autunno, per i conti del Canton Ticino avrebbe un impatto molto più che notevole. Rispondendo davanti al plenum del Gran Consiglio a un'interpellanza dei socialisti Ivo Durisch e Laura Riget, il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta snocciola i numeri: «Con riferimento al periodo fiscale 2020, comporterebbe minori entrate valutate in 55 milioni di franchi per l'imposta cantonale e in 44 milioni di franchi per le imposte comunali». Non propriamente bruscolini. Precisamente, usando la lente, «la perdita di gettito riconducibile alle sole residenze secondarie è valutata complessivamente in 17 milioni di franchi per il Cantone e in 13,6 milioni per i Comuni».

Le aliquote schizzerebbero in alto

Anche la risposta alla domanda su quanto dovrebbe essere aumentata l'aliquota fiscale per le persone fisiche per compensare queste perdite, fa tremare i polsi: «Premesso che un simile scenario è da considerarsi puramente teorico – dice Vitta –, agendo soltanto sull'imposta sul reddito delle persone fisiche dovrebbero essere aumentate di circa 7,5 punti percentuali, con l'ipotesi di un aumento lineare di tutte le aliquote».

E il Consiglio di Stato come la pensa? Mica bene, anzi. «Tenuto conto del significativo impatto sulle finanze pubbliche, come pure del fatto che il Canton Ticino, in qualità di cantone di montagna e a forte vocazione turistica, è particolarmente toccato, l'Esecutivo cantonale si è sempre espresso a favore del mantenimento dello ‘status quo’», afferma Vitta nel consueto politichese governativo. Tradotto: siamo contrari, contrarissimi. Anche perché, il sistema attuale di imposizione della proprietà abitativa è «una soluzione migliore e, rispetto alle varianti proposte, preferibile dal profilo costituzionale, economico e della sistematica fiscale». Di conseguenza, nell'ambito delle varie procedure di consultazione – riferisce Vitta – il Consiglio di Stato «ha manifestato a più riprese la propria contrarietà a un cambio completo di sistema, come pure all'introduzione di un'imposta reale sulle abitazioni secondarie, ritenendo quest'ultima soluzione percorribile esclusivamente come ultima ratio».

Come cambierebbero i valori di stima per recuperare

Il Consiglio di Stato non ha ancora affrontato l'eventuale possibilità di prelevare un'imposta dalle residenze secondarie, ma a titolo informativo «se si volesse integralmente recuperare la perdita di gettito riconducibile alle sole residenze secondarie, la nuova imposta immobiliare sulle residenze secondarie dovrebbe elevarsi a circa il 3 permille del valore di stima ai fini cantonali e circa il 3,5 permille del valore di stima ai fini comunali». Qualora invece, continua Vitta, «si volesse recuperare tramite la nuova imposta anche la perdita di gettito riconducibile alle residenze primarie, l'aliquota della nuova imposta immobiliare sulle residenze secondarie dovrebbe essere fissata al 10 permille ai fini cantonali, e all'11 permille ai fini comunali».

CASSE MALATI

Respinte le richieste di moratoria sui premi

Bocciate in blocco le richieste di Mps e Ps – tra risoluzioni e iniziative cantonali – per mandare a Berna una richiesta di fissare la moratoria sui premi di cassa malati. Sia per Giuseppe Sergi che per Laura Riget la situazione è insostenibile, e bisogna applicare urgenti correttivi. Non la pensa così il rapporto di maggioranza – accolto con ampissimo sostegno dal plenum – del liberale radicale Matteo Quadranti, che assicura come «nessuno in questo parlamento può negare che l'incremento dei costi dei premi di cassa malati non sia un tema preoccupante». Però è un aumento «che ha molti fattori». E, soprattutto, «l'applicazione di una moratoria crea qualche problema: se si plafona a un certo livello il costo dei premi, mentre il consumo continua e aumenta, chi dovrà pagare le prestazioni non pagate coi premi? Se si fa una moratoria, questa, prima o poi finisce: e ci potrebbe essere qualcuno che vorrebbe recuperare subito qualcosa di non pagato prima e non ci lascia per niente tranquilli». In più, «già altre proposte simili sono state bocciate alle Camere federali appunto perché non era chiaro chi avrebbe pagato la differenza: la Confederazione, i Cantoni, con un aumento di imposte?».

A questa domanda risponde indirettamente il relatore del rapporto di minoranza Danilo Forini (Ps): «Non so chi pagherà, ma so chi paga oggi: noi, coi premi di cassa malati, le famiglie del ceto medio, gli anziani. E ci sono 300 milioni di franchi pagati in più da chi ha il premio che supera il 10% del reddito disponibile». In vista del 2026 quindi, per Forini, «non abbiamo scelta: blocchiamo con una moratoria l'aumento dei premi e creiamo una task force che analizzi la situazione in Ticino, per cambiare radicalmente approccio». Il Gran Consiglio con 58 sì, 21 no e tre astenuti sostiene le tesi di Quadranti.

Immunità nei legislativi in viaggio per Berna

Via libera spedito, per contro, a un'altra iniziativa cantonale. Quella del deputato del Centro Paolo Caroni che chiede di concedere l'immunità anche ai membri dei legislativi comunali per espressioni usate nel Consiglio comunale o nelle Assemblee. Insomma, per quello che viene detto lì. Nel quasi unanime sostegno al rapporto di Lara Filippini, spicca un Omar Terraneo (Plr) in gran forma: «A vedere come viene usata l'immunità qui dentro, sarebbe quasi da togliere ai membri del Gran Consiglio più che allargarla ai consiglieri comunali».

SCUOLA

Carobbio: ‘La fiducia a Berger è data’

Rispondendo all'interpellanza con cui il presidente del Plr Alessandro Speziali aveva fortemente criticato l'operato dei vertici della Divisione della scuola (Decs) in merito a diversi casi di cronaca – la nomina in ‘job sharing’ alla Sezione dell'insegnamento medio superiore bocciata dal Tram e riproposta dal governo e il caos al Dfa per i 13 abilitandi in italiano che hanno scoperto che non avranno un posto di lavoro al termine della formazione su tutti –, la direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport Marina Carobbio è stata chiara. Alla domanda se c'è ancora fiducia da parte del governo in Emanuele Berger, il capo della Divisione della scuola e coordinatore del Decs, la risposta è secca: «Il rapporto di fiducia è dato». Punto e stop.

Però, tra le righe della risposta di Carobbio, emerge qua e là la consapevolezza che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Per questo conferma «la volontà, per gli ambiti di mia competenza, di procedere a un'analisi oggettiva di tali criticità, senza pregiudizi e semplificazioni, valutando approfonditamente alcuni processi interni al Dipartimento, anche comunicativi come nel caso dei 13 abilitandi al Dfa».