Un bilancio con l’avvocata Jardini Croci Torti: ‘È ancora troppo sconosciuta, non solo dalla popolazione, ma pure dai miei colleghi, giudici e sindacati’
Trent’anni passati nell’ombra, pur essendocene un gran bisogno. Di fronte al persistere delle disparità salariali e di altre forme di discriminazione nel mondo del lavoro, si potrebbe sintetizzare così l’intero arco di esistenza – dalla sua emanazione il 24 marzo 1995 a oggi – della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar). «Le cause giudiziarie in Ticino basate su tale Legge si contano annualmente sulle dita di una mano. E in Svizzera la situazione è pressoché la medesima, fatta eccezione per alcuni cantoni», rileva l’avvocata Nora Jardini Croci Torti, mediatrice Fsa (Federazione svizzera degli avvocati) e condirettrice dell’Associazione Equi-Lab che offre consulenza e accompagnamento in progetti riguardanti l’equilibrio lavoro-famiglia e la valorizzazione delle differenze di genere. La Legge sulla parità dei sessi, spiega Jardini Croci Torti, concretizza il mandato costituzionale a favore dell’uguaglianza di diritto e di fatto tra uomo e donna nella vita professionale ancorato dal 1981 nella Costituzione federale. Essa disciplina tutti gli aspetti della vita professionale, dall’assunzione al perfezionamento, dal licenziamento al salario e alle molestie sul luogo di lavoro. In particolare, prevede il divieto di discriminazione diretta e indiretta sulla base del sesso, con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza.
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L’avvocata Nora Jardini Croci Torti
«È buona cosa che ci sia una Legge sulla parità dei sessi – premette Jardini Croci Torti –. La legge però è inefficace e ci sono diversi rapporti che lo attestano. Nel 2024 ci sono state in totale cinque procedure di conciliazione all’Ufficio LPar nel nostro cantone, un numero molto esiguo. Due anni prima in Ticino ne sono state avviate due, mentre a titolo di paragone a Ginevra, il cantone più virtuoso sotto questo aspetto, ne sono state aperte 30». Una differenza che si spiega con il fatto che «probabilmente là viene fatta un’opera di sensibilizzazione e informazione maggiore in merito alla Legge e ai diritti», commenta la nostra interlocutrice. E il problema sta proprio nel fatto che la LPar è troppo poco conosciuta non solo dalla popolazione, ma dagli stessi addetti ai lavori: siano essi sindacati, avvocati e avvocate, e tribunali. «Rispetto ai tribunali è emblematico quanto risulta da un rapporto della Conferenza svizzera degli uffici di conciliazione LPar, ovvero che spesso in caso di licenziamento questi non applicano tale Legge, ma il Codice delle obbligazioni», dice l’avvocata, che cita dal rapporto: “Il licenziamento discriminatorio o il licenziamento ritorsivo sono spesso esaminati unicamente dal punto di vista del Codice delle obbligazioni. La non applicazione della legge sulla parità dei sessi, a volte, preclude l’alleviamento dell’onere della prova e fa sì che vengano avanzate pretese esclusivamente pecuniarie (mentre potrebbe essere chiesto l’annullamento del licenziamento)”. È pertanto fondamentale secondo Jardini Croci Torti che la materia sia oggetto di formazione sia a livello universitario, sia per quanto riguarda la formazione continua di giudici e avvocati.
Imago, dati conferenza svizzera uffici conciliazione LPar
A monte c’è però la poca propensione delle donne che subiscono discriminazioni a fare causa, continua la condirettrice di Equi-Lab: «Anche questa da un lato è da ricondurre a una scarsa conoscenza della legge e al fatto che non si percepisce magari che certi atti del datore di lavoro possono essere una discriminazione. Spesso influisce la paura di perdere il posto come ritorsione per la segnalazione di pratiche discriminatorie, non sapendo che nel caso si sollevi un reclamo sulle basi della LPar questa prevede una protezione dal licenziamento per sei mesi dopo la fine della procedura. C’è poi un freno di ordine finanziario relativo al dover affrontare delle spese legali per far valere i propri diritti. In effetti non ci sono aiuti economici per chi fa causa, ma valgono comunque le norme cantonali dell’assistenza giudiziaria e del patrocinio, quindi una persona che non ha i mezzi può chiedere allo Stato di assumersi i costi legali. Inoltre la LPar prevede delle facilitazioni procedurali, ad esempio non vengono emesse tasse e spese di giustizia e quindi anche se si perde in causa queste non devono venir pagate».
Esistono discriminazioni più difficili di altre da dimostrare. In primo luogo quelle relative all’assunzione, spiega l’avvocata: «Benché piuttosto diffuse, il problema è che i colloqui non sono registrati e la candidata è da sola davanti ai rappresentanti dell’azienda. Spesso vengono fatte domande illecite senza che la persona nemmeno sappia che lo siano, del tipo: “È sposata? Ha figli? Chi si occupa di loro? Ha intenzione di averne?”. Ma è anche difficile dimostrare che una mancata assunzione sia imputabile a tali questioni». Molto difficili sono anche le cause legate alla disparità salariale: «Per queste, il motivo è che nelle aziende non c’è trasparenza sulle retribuzioni, alcune addirittura chiedono ai dipendenti di firmare un documento di confidenzialità sull’ammontare del salario o dei bonus percepiti. Il discorso sulla retribuzione è ancora un grande tabù nella nostra società e questo impedisce di rendersi conto dell’esistenza di discriminazioni salariali, che stando alle statistiche esistono». Esistono, eccome: nel 2022 le donne in Svizzera hanno guadagnato il 16,2% in meno rispetto ai colleghi maschi di cui la quota non giustificata da fattori oggettivi era del 48,2%.
Le circostanze per cui invece si riscontrano maggiori segnalazioni «e le cui cause si vincono con una buona frequenza – sottolinea Jardini Croci Torti – sono quelle legate ai licenziamenti al rientro dal congedo maternità. Si tratta di licenziamenti leciti dal punto di vista del Codice delle obbligazioni perché avvengono dopo le 16 settimane di protezione dell’articolo 336c, ma discriminatori secondo la LPar se avvengono senza altra motivazione che non quella di essere diventate madri o di aver avuto un congedo maternità. Se il datore di lavoro non riesce a dimostrare che c’è un’altra ragione valida, il licenziamento è discriminatorio». In aumento sono poi le segnalazioni di molestie sessuali. «Anche in questi casi si riesce a intervenire abbastanza efficacemente perché la molestia sessuale oltre a essere vietata dalla Legge sulla parità dei sessi può anche costituire un reato penale. Si tratta però di casi – precisa l’avvocata – che nel nostro Ufficio chiudiamo molto spesso con degli accordi transattivi, per questo le cause per molestie sono comunque poche. Molto positivo è che la conoscenza del fatto che si tratta di comportamenti inappropriati stia aumentando. A partire dal movimento #MeToo si è iniziato a parlarne maggiormente e di conseguenza emerge un più alto numero di episodi».
Le discriminazioni, come detto, possono essere sia dirette che indirette. Queste ultime si verificano quando ad esempio un’azienda permette o rimborsa una formazione continua unicamente ai dipendenti che lavorano al 100%. «Visto che il tempo parziale è svolto principalmente da donne, il fatto di usare questo criterio va a svantaggiare principalmente un sesso rispetto all’altro – articola Jardini Croci Torti –. Per rendersene conto ci vuole una buona conoscenza della legge, ma serve anche una certa consapevolezza culturale perché tante volte non ci si rende nemmeno conto che così facendo si va a svantaggiare una determinata categoria».
Esistono settori professionali in cui il rischio di discriminazione per le donne è particolarmente elevato, come quelli della ristorazione e alberghiero, indica Jardini Croci Torti, precisando che ci sono poi in modo trasversale ai diversi ambiti delle categorie di donne più soggette ad abusi: «Vari studi dimostrano che a essere più esposte a discriminazioni sono le donne giovani che muovono i primi passi nel mondo del lavoro e che hanno anche meno strumenti per opporsi, così come le donne che fanno parte di una famiglia monoparentale e che essendo sole con carichi educativi devono per forza lavorare, motivo per cui sono più ricattabili, come pure le donne di origine straniera. Tutte loro tendono purtroppo a essere delle vittime predestinate. Le molestie e le discriminazioni possono tuttavia venir subite sia da chi fa i primi passi in un’azienda sia da chi vi lavora da anni o è più in alto nella gerarchia, questo è bene sottolinearlo».
Ma com’è cambiato il panorama lavorativo in termini di parità di genere in Ticino da quando è entrata in vigore la LPar? «Trent’anni fa c’era il consultorio dell’associazione Dialogare che favoriva il rientro delle donne nel mondo lavorativo a seguito della pausa di alcuni anni legata alla maternità. Le donne infatti dopo il parto lasciavano quasi tutte la propria professione per poi eventualmente rientrare successivamente nel mercato del lavoro. Ora invece abbiamo sempre più donne che proseguono il proprio percorso professionale dopo la maternità, anche se non senza ostacoli – constata Jardini Croci Torti –. Nell’attività del nostro consultorio osserviamo infatti che l’avere figli resta un aspetto problematico sia sul piano della conciliabilità che su quello delle discriminazioni. Ce lo dicono tante volte anche le donne stesse: “Andava tutto bene finché non sono rimasta incinta”».
Jardini Croci Torti si dice fermamente convinta che «solo con un maggiore coinvolgimento dell’altro genitore, ovvero in primis con congedi parentali più lunghi per entrambi, eviteremo questa colpevolizzazione della maternità in ambito lavorativo che blocca la carriera delle donne o crea loro problemi professionali. Sono al contempo ottimista rispetto alle generazioni future nel vedere che sempre più entrambi i componenti nelle giovani coppie, e non solo le donne, riducono la percentuale della propria attività lavorativa. Penso che anche questo approccio possa portare a una diminuzione delle discriminazioni».
Fa parallelamente ben sperare, aggiunge l’avvocata, che nella pratica del Canton Ticino «si può osservare che le aziende negli ultimi anni sono molto più attente alle problematiche relative alle violazioni della personalità e alle molestie sessuali e molte di esse si stanno dotando di mezzi di prevenzione di questi atti come, ad esempio, dei regolamenti appositi e la nomina di persone di fiducia. Ciò aiuta anche a far conoscere i diritti ai dipendenti, come è d’aiuto tematizzare la questione sui media e in politica. Fondamentale rimane infine la necessità che questi argomenti siano affrontati già a livello di formazione, in ogni ambito. Bisogna promuovere in modo sistemico le pari opportunità, a partire dai bambini, al fine di smantellare la società patriarcale in cui viviamo a favore di una più equa e rispettosa». Serve insomma, conclude Jardini Croci Torti, «un grande lavoro culturale». Lavoro imprescindibile per scongiurare nuove discriminazioni e per far uscire dall’ombra quelle presenti e gli strumenti per combatterle.