Non mancano però dati preoccupanti anche in Ticino, dove il sociosanitario è tra i settori che conta più persone vicine alla pensione
Di male in peggio. È questa la sintesi dell’emergenza infermieri a Como. Invece di aumentare per rispondere alla domanda che arriva non solo dagli ospedali, ma anche dalle case di riposo per anziani, gli effettivi continuano a diminuire: c’è chi lascia per andare a lavorare nelle strutture private, i più però rispondono al richiamo del sistema sanitario ticinese. Lo dimostra il fatto che, pur in presenza di un calo dei frontalieri occupati a fine 2024 in Canton Ticino, lo scorso anno è invece continuato a crescere il numero di lavoratori nel sanitario che quotidianamente attraversano la frontiera.
“E non potrebbe essere diversamente, considerato che medici e infermieri in Svizzera percepiscono stipendi mediamente tre volte superiori alle buste paga italiane”, osserva Giuseppe Augurusa, segretario nazionale Cgil frontalieri. “E questo – prosegue – vale anche per coloro che sono stati assunti dopo il luglio dello scorso anno. La nuova fiscalità, che prevede tasse più alte per i neoassunti, non è la causa del calo dei frontalieri. Sono dinamiche legate alla stagionalità di alcuni settori. Quelli che tirano, iniziando dalla sanità, vanno oltre la nuova fiscalità. Lo prova anche il fatto che i nostri uffici, quelli della fascia di confine, continuano a registrare una consistente affluenza di gente che, volendo lavorare in Ticino, si informa cosa deve fare”.
Ma torniamo all’emergenza infermieri. All’inizio di quest’anno gli iscritti all’Ordine degli infermieri della provincia di Como erano 3’706, mentre prima della pandemia erano 4’200. Cinquecento in meno in una manciata di anni. Altro dato preoccupante è il fatto che l’età media degli infermieri comaschi è di cinquant’anni. Età media, va da sé, destinata a crescere. Mancano i giovani e la professione infermieristica non piace più, in quanto considerata un lavoro troppo pesante e scarsamente remunerato. Lo conferma anche il fatto che le iscrizioni al corso di infermieristica all’Università dell’Insubria di Como non solo non decollano, ma anzi continuano a calare. Una borsa di studio su due tra il 2024 e il 2025 non è stata assegnata: aumentare i posti totali della laurea non ha ottenuto i risultati sperati.
A Como tra i problemi c’è anche quello (gravissimo) della mancanza di case in affitto (calmierato). Dopo la raffica di concorsi dello scorso anno, l’Asst lariana per le prossime settimane ha programmato un nuovo concorso per l’assunzione di 150 infermieri. Asst lariana che guarda anche al Sudamerica: qualche infermiere è in effetti arrivato, anche al Valduce, l’altro ospedale di Como. La Lombardia ha promesso l’invio di altri infermieri stranieri. Nel frattempo è stata pubblicata la classifica, stilata dal Ministero della sanità, sulla qualità delle cure in 139 ospedali italiani. Il Sant’Anna è nelle ultime posizioni.
Fra i parametri presi in considerazione anche il numero di medici e infermieri in servizio, dato decisamente sotto la media nazionale. Il perché è scontato: la vicinanza al Ticino. Dal rapporto del Ministero della sanità si apprende pure che la Lombardia è in discesa.
Intanto arrivano dati preoccupanti anche dal Ticino. Rispetto ad altri ambiti, quello del sociosanitario è infatti un settore caratterizzato da una presenza particolarmente forte di persone vicine all’età della pensione. È il dato che emerge dal quadro statistico stilato dall’Ustat, l’Ufficio di statistica del Canton Ticino, nel quale l’istituto si occupa di descrivere il fenomeno della carenza di personale nel sociosanitario. Un fenomeno, scrive l’Ustat nella sua analisi, “destinato ad accentuarsi in futuro in relazione, tra le altre cose, all’invecchiamento demografico”. Per l’Ustat i dati demografici non lasciano dubbi. “Se si fa astrazione dalla componente migratoria e da quella frontaliera, capaci di attutire la carenza di personale sanitario e di cura in Ticino, il marcato invecchiamento della popolazione e della forza lavoro porteranno nei prossimi decenni a un mancato ricambio di professioniste e professionisti, fenomeno particolarmente pronunciato nel settore composto per la maggioranza da personale femminile”. Non solo. “D’altra parte – osserva l’Ustat – la domanda di cure e servizi da parte di una popolazione che invecchia sempre di più è destinata ad aumentare”.