Il governo mostra con undici esempi chi beneficia maggiormente dell’iniziativa leghista. Branda: ‘Suggestiva per i cittadini, ma dall’impatto rilevante’
L’iniziativa della Lega per la deducibilità integrale dei premi di cassa malati avrebbe un impatto importante per le casse di Cantone e Comuni: un centinaio di milioni di franchi. Ma chi beneficerebbe di questa misura? Una domanda centrale – soprattutto in vista di un probabile voto dei cittadini sull’iniziativa popolare leghista – che la commissione parlamentare ‘Gestione e finanze’ aveva inoltrato al Consiglio di Stato. Nella lettera chiedeva di fornire esempi concreti. A dare una prima indicazione è stato la scorsa settimana il Consiglio federale che – rispondendo a una mozione, analoga all’iniziativa ticinese, del consigliere nazionale della Lega Lorenzo Quadri – ha messo le cose in chiaro: “Andrebbe soprattutto a vantaggio delle persone con reddito elevato e non affronterebbe alla radice il problema dell’aumento dei costi sanitari”. Con quattordici pagine e undici esempi, trasmessi ieri alla ‘Gestione’, il governo cantonale entra invece nel dettaglio dell’impatto che l’iniziativa leghista avrebbe sulle tasche di persone sole, coppie e famiglie. Esempi concreti che confermano sostanzialmente quanto dichiarato dal Consiglio federale: il risparmio maggiore sarebbe per chi ha un alto reddito e quindi un’alta dichiarazione fiscale. Il Consiglio di Stato fa poi una precisazione importante: gli esempi delle stratificazioni dell’impatto finanziario delle deduzioni proposte non tiene conto dei sussidi erogati alle fasce di reddito più basse. “Questo perché – spiega il governo nella sua risposta alla commissione ‘Gestione e finanze’ – a eccezione dei contribuenti al beneficio della prestazione complementare Avs, le deduzioni per oneri assicurativi sono accordate al netto di sussidi di cassa malati”. Gli esempi contenuti nella risposta mostrano anche, oltre all’impatto fiscale, il calcolo della Ripam per ogni caso preso in analisi. Si va dai 1’634 franchi riconosciuti a una persona sola con un figlio e reddito di 78’700 franchi, ai 6’600 versati a una coppia con due figli e un reddito di 97’400 franchi. Con un’ulteriore annotazione: “Gli esempi presentati sono stati elaborati sulla base dei parametri 2024 e non tengono conto delle modifiche introdotte con il Preventivo 2025 (il taglio di 10,5 milioni ai sussidi Ripam, ndr). Questo perché sono attualmente pendenti un referendum e un’iniziativa parlamentare volti ad annullare le modifiche approvate dal Gran Consiglio lo scorso dicembre. Si rileva inoltre – scrive il Consiglio di Stato – che i dati riportati si riferiscono esclusivamente ai criteri di diritti per i potenziali beneficiari di sola Ripam. Non sono quindi considerate le regole applicabili ai beneficiari di prestazioni Laps e di prestazioni complementari Avs/Ai, per i quali la Ripam segue regole diverse. In questi casi, infatti, il premio effettivo è già coperto e, trattandosi di redditi bassi, l’impatto fiscale dell’iniziativa risulta trascurabile”. Nel frattempo la ‘Gestione’ ha scritto nuovamente al governo chiedendo ulteriori precisazioni a proposito della modifica della Legge tributaria e di quali dati di riferimento occorra tenere conto.
All’iniziativa leghista si è accennato anche durante l’incontro, piatto forte della riunione commissionale svoltasi questa mattina, fra la ‘Gestione’ e i sindaci delle Città. Presenti, indica un comunicato della commissione, Mario Branda (Bellinzona), Nicola Pini (Locarno), Samuele Cavadini (Mendrisio) e Bruno Arrigoni (Chiasso). Assente il sindaco di Lugano Michele Foletti per impegni pregressi. «Quanto propone la Lega può risultare senz’altro suggestivo agli occhi dei cittadini, ma, va detto, avrebbe comunque, dati alla mano, un impatto assai pesante sui bilanci di Cantone e Comuni: parliamo di diversi milioni di franchi – dichiara alla ‘Regione’ Mario Branda –. Come già accaduto in passato per altri interventi di questa natura è possibile che, per finire, il cittadino sia gravato per altra via, ovvero per i probabili incrementi del moltiplicatore d’imposta comunale o per la rinuncia all’erogazione di determinati servizi da parte di quegli enti locali che non vogliono aumentare le imposte. Come poli urbani abbiamo quindi espresso la nostra preoccupazione per i possibili, e magari oggi non ancora sufficientemente considerati, effetti dell’iniziativa».
L’audizione dei sindaci deriva dalla lettera inviata lo scorso novembre dalle cinque Città al Consiglio di Stato, al Gran Consiglio e alla commissione parlamentare della ‘Gestione’. Nella missiva i centri urbani ticinesi chiedevano a Palazzo delle Orsoline - richiamando il Preventivo 2024 del Cantone e il Preventivo 2025, che in quel periodo era sotto la lente della ‘Gestione’ - di fermare la politica dello “scaricabarile” e quindi di rinunciare a ulteriori aggravi finanziari unilaterali a carico dei Comuni. Ritenevano nel contempo necessario avviare “una seria discussione sul futuro ruolo dei Comuni, in particolare su quello dei poli”. Riprende Branda: «Se da un lato si spinge giustamente sulle aggregazioni comunali, dall’altra parte però constatiamo, come sindaci, che il margine di autonomia degli enti locali viene costantemente eroso, sia dal punto di vista finanziario sia da quello decisionale. Si pone allora il quesito: quali Comuni vogliamo? Auspichiamo pertanto un dialogo più regolare con il Cantone, soprattutto quando nelle commissioni parlamentari vengono affrontati dossier con ricadute significative sulle finanze o sul funzionamento dei Comuni e quindi, in ultima analisi, sui cittadini».
Nell’incontro di ieri si è parlato pure di ‘Ticino 2020’, il progetto di riforma riguardante compiti e flussi finanziari tra Cantone e Comuni. Una riforma che oggi «pare trovarsi su un binario morto: considerato l’investimento di tempo e di risorse finanziarie fatte da tutti, bisognerebbe forse a questo punto provare a individuare e magari salvare qualche capitolo della riforma», rileva il sindaco socialista di Bellinzona. «A ogni modo – aggiunge − il Cantone deve essere consapevole del fatto che risulta estremamente difficile portare a casa questo ambizioso progetto senza investire. I Comuni la loro parte l’hanno già fatta. L’idea per cui una simile operazione debba essere finanziariamente neutra è un grosso ostacolo al conseguimento di qualsiasi risultato: se si vuole una riforma seria con una prospettiva anche di lungo termine, Consiglio di Stato e Gran Consiglio, cioè il Cantone, devono mostrarsi disposti a investire qualcosa».
Un altro cantiere istituzionale aperto è la riorganizzazione del settore tutele e curatele. In altre parole, la prospettata istituzione delle Preture di protezione, che una volta operative prenderanno il posto delle attuali Autorità regionali di protezione. «Secondo noi, e lo abbiamo fatto presente, deve valere il principio che chi decide – ha la competenza –paga. Ora, funzionamento e gestione delle previste nuove autorità giudiziarie sarà esclusiva competenza del Cantone, ragion per cui, in virtù del menzionato principio di responsabilità, deve essere lui a supportare finanziariamente la riforma, concepita peraltro da Consiglio di Stato e Gran Consiglio – evidenzia Branda –. I Comuni, tuttavia, potrebbero, per esempio, essere ragionevolmente chiamati a investire maggiormente – sollevando in uguale misura il Cantone – nella designazione di curatori, assistenti sociali ed educatori attivi sul proprio territorio». A proposito di ‘Ticino 2020’, per il deputato liberale radicale Matteo Quadranti, membro della Gestione, «l’importante è non azzerare il lavoro sin qui fatto: vediamo dunque da quali aspetti condivisi si possa ripartire». E sulle aggregazioni afferma: «Il processo va portato avanti con un adeguato sostegno finanziario, ma non solo, da parte del Cantone». Per il collega di commissione, il capogruppo socialista Ivo Durisch, «la riforma delle autorità di protezione, il progetto polizia ticinese, il tema degli anziani sono alcuni dei dossier che richiedono un dialogo costruttivo fra i due livelli istituzionali, cioè Cantone e Comuni».