Sì dalla commissione parlamentare all’articolo di legge che dà al Consiglio di Stato la possibilità di chiudere una procedura di fusione arenatasi
Quando un progetto di fusione tra Comuni stenta a decollare, meglio darci un taglio ed evitare così di chiamare i cittadini delle realtà locali coinvolte per la votazione consultiva. Per interrompere l’iter serve però una base legale. Una norma ad hoc. Ebbene, la commissione parlamentare ‘Costituzione e leggi’ – firmando oggi, come rende noto la stessa, il rapporto di Gianluca Padlina del Centro – ha dato luce verde a questa norma. Un nuovo articolo che il Consiglio di Stato propone di introdurre nella Legge sulle aggregazioni e separazioni dei Comuni e che dà al governo la possibilità, sentiti fra gli altri i Municipi interessati, di chiudere una procedura aggregativa. In caso di approvazione anche del plenum del Gran Consiglio, cosa che appare scontata, la facoltà per l’Esecutivo cantonale di stoppare il progetto verrà quindi codificata.
“L’esigenza di poter disporre di questa possibilità – si afferma nel rapporto commissionale – è emersa in relazione a procedure rimaste bloccate per molti anni, per il perdurare di situazioni di stallo determinate dal venir meno dello slancio iniziale e/o comunque delle condizioni quadro inizialmente auspicate”. Ciò che impedisce di arrivare “in tempi ragionevoli a una votazione consultiva”. Scrive ancora Padlina: “Sulla scorta delle esperienze maturate negli anni e della consapevolezza che procedure che si dilatano su un arco temporale eccessivamente lungo portano inevitabilmente a rendere obsoleti – e sostanzialmente inservibili – gli studi aggregativi e gli scenari elaborati, il Consiglio di Stato ritiene utile poter disporre della possibilità, sentiti tutti i soggetti coinvolti, di poter chiudere formalmente delle procedure allorquando situazioni di questo tipo si verificano”. Come si precisa nel rapporto, anche le decisioni di interruzione della procedura aggregativa saranno impugnabili: Municipi, Legislativi e cittadini dei Comuni interessati avranno dunque la facoltà di ricorrere al Gran Consiglio entro trenta giorni.
Il messaggio, preavvisato favorevolmente dalla ‘Costituzione e leggi’, è stato licenziato dal Consiglio di Stato nel novembre 2023. Attualmente, ricorda il governo, “è data la possibilità di ridurre il comprensorio di aggregazione prima di giungere in votazione consultiva, ma non è codificata l’eventualità di chiudere la procedura per l’insieme dei Comuni coinvolti”. Fatto sta che sono emerse “alcune situazioni che a un certo momento del processo si sono bloccate durante lunghi anni per motivi differenti, quali ad esempio una diversa o mutata maturazione del convincimento delle autorità coinvolte o l’impossibilità di giungere a proposte condivise o ancora divergenze inconciliabili quanto alle misure di supporto cantonale”. La durata di allestimento dello studio di aggregazione varia “a seconda dei singoli casi (numero di Comuni coinvolti, complessità delle situazioni, determinazione degli attori ecc.) e pertanto non è possibile indicare un termine assoluto entro cui concluderlo applicabile genericamente a tutti i progetti”. Tuttavia allorché “le tempistiche si protraggono per anni e anni senza che i lavori” di questa o quella commissione di studio “facciano alcun passo avanti”, si va evidentemente “oltre il termine ragionevole per confrontarsi con la cittadinanza in votazione (consultiva, ndr)”. Insomma “le procedure che si dilatano su un lungo arco temporale, attraversando più legislature si scollegano dalle autorità e dal dibattito pubblico, perdendo qualsiasi slancio e coinvolgimento e rendono obsoleta – e quindi inservibile – la documentazione raccolta in precedenza”. La possibilità di chiudere un progetto aggregativo in corso, osserva sempre il Consiglio di Stato, “andrebbe a coprire i casi di studio che si dilatano nel tempo, ‘trascinandosi’ per un periodo estremamente lungo, anche su più legislature comunali”, e perdendo così “completamente d’attualità, di motivazione e di interesse sia per la cittadinanza che per le autorità comunali”. In simili circostanze, avverte il governo, “si crea inoltre un diffuso clima di incertezza e di perdita di stimoli”. Sulla stessa linea il rapporto della commissione parlamentare: “In simili costellazioni, appare sensato poter dare una conclusione formale alle procedure, piuttosto che doverle mantenere in essere, nonostante la loro manifesta obsolescenza”.
Tornando al messaggio, il Consiglio di Stato puntualizza che l’eventuale chiusura di una procedura “non pregiudica in nulla un riavvio successivo, nel caso in cui dovesse presentarsi l’opportunità: se la volontà degli attori è data, è assai meno laborioso attivare una nuova procedura dall’inizio, partendo da basi attualizzate, piuttosto che risistemare vecchio materiale e impostazioni superate”.
Parla di «lento ma inesorabile riassetto territoriale del cantone» Marzio Della Santa, alla testa della Sezione enti locali (Dipartimento istituzioni), per spiegare le dinamiche dei processi di aggregazione ticinesi. «Quando oggi parliamo di aggregazione – illustra alla ‘Regione’ –, siamo quasi sempre di fronte a situazioni di opportunità, dove cioè questo processo permetterebbe al Comune di essere più efficace nella sua missione di miglioramento del benessere residenziale». Negli anni, rievoca, «abbiamo avuto tutta una serie di progetti che sono partiti per poi arenarsi senza neanche arrivare davanti alla cittadinanza. E questo principalmente per via di dissidi intercomunali». Da qui, rileva Della Santa, «la necessità di dare la possibilità al Consiglio di Stato di porre fine a queste iniziative», come previsto nel messaggio che ha raccolto il favore della ‘Costituzione e leggi’. Un esempio concreto è il progetto di aggregazione tra Lavertezzo e Locarno, la cui iniziativa è stata approvata dal governo, ma dove di fatto uno dei due Comuni ha poi deciso di tornare sui propri passi: «In questa situazione – commenta il caposezione –, visto che attualmente non esiste uno strumento, il Consiglio di Stato non può agire». Un altro progetto che si è recentemente arenato è quello che potrebbe vedere aggregati alcuni Comuni del Piano di Magadino: Gordola, Lavertezzo, Cugnasco-Gerra e Tenero-Contra. Sempre nel Locarnese c’è poi lo scenario di aggregazione ‘urbano’ che coinvolge Losone, Locarno, Orselina, Brione sopra Minusio e Minusio. Per il comprensorio del Locarnese, osserva in tal senso Della Santa, «stiamo aspettando le prese di posizione, il cui termine scade venerdì».
La riorganizzazione dei Comuni sul territorio può sollevare tutta una serie di problemi legati al peso specifico degli enti locali nei confronti del Cantone: «Rispetto a Bellinzona, Lugano e Mendrisio – afferma Della Santa –, un Locarnese così frammentato potrebbe essere meno incisivo nel suo intervento e dialogo con il Cantone». E rimarca: «L’insegnamento fondamentale di venticinque anni di aggregazione è che, quando un Comune diventa troppo grande e non riesce più a garantire la sua vicinanza al cittadino in tutti i suoi quartieri, a essere rimessi in discussione sono il senso di appartenenza e la coesione sociale». In merito, dice il responsabile della Sel, «siamo intenzionati ad abbandonare il Piano cantonale delle aggregazioni richiestoci a suo tempo dal parlamento, perché siamo fermamente convinti che a determinare la bontà di un progetto aggregativo non sia una mappa predisegnata ma la verifica che il nuovo Comune sappia essere funzionale».