Ticino

Il Ticino non è terra per giovani. Ecco la riconferma

La popolazione ha ricominciato a crescere, ma i benefici sono da relativizzare: i 20-39enni continuano a partire ed è tornato l’afflusso di pensionati

(Keystone)
5 ottobre 2023
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«Malgrado l’allarmismo manifestato da alcuni operatori economici di fronte al calo demografico registrato in Ticino dal 2017 al 2020, da un paio di anni la popolazione cantonale ha ripreso a crescere. Eppure, senza voler drammatizzare, direi che i dati 2022 sulla demografia cantonale inducono a relativizzare l’effetto positivo di tale recente incremento, che va contestualizzato e inserito nelle tendenze di fondo della realtà socio-economica ticinese». Le considerazioni sono di Elio Venturelli, per trent’anni direttore dell’Ufficio cantonale di statistica (Ustat). Ufficio che ha recentemente pubblicato i dati relativi all’anno scorso sulla popolazione e sul bilancio demografico. Con Venturelli, autore dell’analisi ‘Declino demografico o declino economico?, quarant’anni di demografia ticinese: 1980-2020’ pubblicata nel 2022 da Coscienza Svizzera (in ‘L’incertezza demografica, Il Canton Ticino fra denatalità e invecchiamento’, a cura di Ivano Dandrea ed Edoardo Slerca, Armando Dadò editore), cerchiamo di decifrare i principali aspetti del nuovo quadro che emerge dalle cifre.


Fonte: sito internet Ustat, elaborazione Elio Venturelli, infografica laRegione


Fonte: sito internet Ustat, elaborazione Elio Venturelli, infografica laRegione

In che misura la popolazione residente in Ticino ha ripreso a crescere? Cosa risulta dal confronto con la Svizzera?

Nel 2022 ha superato le 354mila unità (figura 1), con un incremento di 1’842 residenti, pari allo 0,5%. Un incremento inferiore a quello svizzero che è stato dello 0,9%. Va però tenuto conto che in Ticino, cantone di frontiera, l’esigenza di importare manodopera, determinante nella crescita della popolazione, è meno marcata che nella maggior parte dei cantoni. Se questa ripresa demografica rappresenti o meno un reale miglioramento del benessere materiale dei residenti sarà compito degli specialisti valutarlo, districandosi tra i numerosi indicatori globali quali il Pil, i tassi di inflazione e disoccupazione, il reddito pro capite, eccetera. Lasciamoci sorprendere.

Come in passato, l’incremento demografico continua a essere quasi esclusivamente dovuto alla popolazione straniera.

È così. Questa, nel 2022, ha rappresentato l’84,4% della crescita totale. Senza le naturalizzazioni, che nel 2022 sono ammontate a ben 1’831 unità, la popolazione svizzera sarebbe fortemente diminuita, considerato che il saldo naturale, cioè la differenza tra nascite e decessi, anche quest’anno è stato negativo e pari a -1’075 unità. Purtroppo anche il saldo naturale degli stranieri, che per molti anni è stato positivo compensando parzialmente quello negativo degli svizzeri, sembra in calo negli ultimi anni, registrando addirittura valori negativi nel 2020 e 2022 (fig. 2). Malgrado il travaso delle naturalizzazioni, la popolazione straniera è aumentata di 1’555 unità. Un aumento consistente, anche se molto inferiore a quello degli anni 2011-13 dove si sono superate le 3mila unità.

Essendo negativo anche il saldo naturale delle persone straniere, significa che ne arrivano di nuove da fuori. Qual è il loro profilo?

Da sempre la popolazione straniera residente in Ticino aumenta grazie all’immigrazione dall’estero e, in misura minore, dagli altri cantoni. Si tratta per lo più di giovani attivi, attratti nel nostro cantone dalle richieste delle aziende ticinesi. Capire la dinamica di questi flussi, in relazione ai bisogni dell’economia, meriterebbe un’analisi a sé. Manchiamo per il momento di un’informazione dettagliata sulle caratteristiche di chi arriva e di chi parte, sulle loro qualifiche, sulle rimunerazioni. L’attenzione sul mercato del lavoro ticinese è grande e sicuramente sarà oggetto di analisi da parte di ricercatori e politici con la ripresa delle attività, dopo la pausa estiva.

I flussi migratori dei residenti svizzeri in Ticino mostrano tendenze contrastanti a livello anagrafico. Cosa rilevano?

Da un lato, assistiamo a un importante esodo dei giovani verso cantoni universitari prediletti dai ticinesi, come Zurigo, Vaud, Friburgo, Berna, e che offrono nel contempo interessanti opportunità di lavoro. Dall’altro, il nostro cantone è sempre più attrattivo per numerosi confederati che apprezzano la qualità di vita del Sud delle Alpi e si trasferiscono in Ticino, in particolare raggiunta l’età di pensionamento. Vi è poi il caso dei Grigioni che, da una decina di anni, sta attirando un numero sempre più importante di ticinesi (fig. 4). Il saldo complessivo dei movimenti migratori intercantonali è stato per anni negativo per il nostro cantone, arrivando fino alle -600 unità nel quinquennio 2015-20. Recentemente però si è registrato un calo sensibile con un -321 nel 2021 e -44 nel 2022. Si potrebbe pensare a un ritorno di attrattività del nostro cantone, ma non è purtroppo il caso. I giovani continuano a lasciare il Ticino. Nel 2022 le partenze dei residenti di 20-39 anni hanno superato gli arrivi di ben 705 unità: 469 a favore degli altri cantoni svizzeri, 236 a favore di altre nazioni (fig. 3).

Continua la fuga di cervelli in atto nel cantone da oltre un decennio. Con che effetti e per quali ragioni?

Questo esodo è considerevole e priva il nostro cantone di un’importante fetta di popolazione, potenzialmente attiva, probabilmente molto qualificata, a scapito anche della natalità, già ai minimi storici. Dal profilo della formazione, il Ticino non si differenzia dal resto della Svizzera o da altre nazioni. Oggigiorno una regione, sia pure grande, non può offrire tutte le specializzazioni e i profili professionali richiesti da un’economia altamente tecnologizzata. È quindi indispensabile che i giovani si spostino per completare i loro curricoli. Purtroppo però i giovani ticinesi in gran parte non rientrano, con tutte le implicazioni che questo comporta: calo delle nascite, invecchiamento della popolazione, squilibri intergenerazionali. Le ragioni di questo esodo sono evidentemente dovute alle caratteristiche del mercato del lavoro cantonale, legato a doppio filo alla frontiera.

Guardando alla fascia di età 50-74 anni, si constata un importante ritorno di interesse da parte dei ‘confederati’ a trascorrere la pensione in Ticino. Siamo un cantone sempre più solo per anziani?

La tendenza si è intensificata in particolare negli ultimi anni, forse per effetto della pandemia, con un’eccedenza degli arrivi rispetto alle partenze di ben 313 unità nel 2022. Questo flusso accentua ulteriormente la tendenza all’invecchiamento della popolazione cantonale. A ridurre le conseguenze di questo flusso di pensionati da oltre Gottardo contribuisce il saldo migratorio di pensionati verso l’estero (sempre fig. 3). Anche se non disponiamo di statistiche ufficiali, benché le testimonianze non manchino, è ipotizzabile che molti ticinesi si trasferiscano all’estero dove il costo della vita è più basso. Si tratterebbe di un ulteriore segnale delle difficoltà che incontrano i ticinesi nella quotidianità.

In due decenni si registra un capovolgimento del saldo migratorio tra Ticino e Grigioni. Cosa dicono i dati?

Fino al 2010 era il Ticino a beneficiare di un apporto consistente di residenti che dai Grigioni si trasferivano nel nostro cantone, invece nell’ultimo decennio il flusso ha cambiato direzione. Dal 2010 ben 737 persone si sono trasferite dal Ticino ai Grigioni. Mentre i flussi migratori verso altri cantoni sono dovuti alla mancanza di opportunità occupazionali in Ticino, ci si può interrogare se questo sia il caso anche per il Canton Grigioni.

L’economista

‘Siamo in una situazione di stagnazione’

«Il discorso centrale che può discendere dagli approfondimenti di Elio Venturelli è che ci troviamo in una situazione di stagnazione demografica – afferma Angelo Rossi, già docente per l’economia regionale e i problemi economici della pianificazione del territorio al Politecnico di Zurigo e docente di management e pianificazione del settore pubblico all’Istituto di studi per la pubblica amministrazione Idheap all’Università di Losanna, nonché direttore della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana dal 1998 al 2003 –. Dopo essere diminuita per quattro anni, la popolazione ha ripreso a crescere, ma non come succedeva dopo una recessione negli anni Novanta o ancora prima negli anni Ottanta e Settanta. La particolarità attuale è che la lieve ripresa deriva come allora da una crescita della popolazione attiva attraverso l’immigrazione di lavoratori dall’estero, ma al contempo anche da un importante numero di pensionati provenienti dalla Svizzera interna». Con Rossi mettiamo il focus proprio sulle caratteristiche dei flussi dal punto di vista anagrafico.

‘Da capire se quella dei pensionati è una migrazione durevole o a tappe’

Sul consolidarsi nel tempo di una tendenza dei pensionati confederati a migrare in Ticino bisogna aspettare ancora un po’ prima di potersi pronunciare con sicurezza, dice Rossi, che tuttavia considera plausibile quanto ipotizzato da Venturelli, ovvero che il loro aumento sia dovuto almeno in parte alla pandemia: «Può darsi che si sia verificata una reazione della popolazione anziana alla situazione di emergenza sanitaria che l’abbia portata a ritenere inopportuno andare a vivere al di fuori della Svizzera, anche pensando all’assistenza medica e alle assicurazioni sociali che danno maggiori sicurezze nel nostro Paese. Però non è escluso che un domani, dopo una prima tappa che li ha portati in Ticino, ce ne sia una seconda che conduca all’estero i pensionati». Il nostro cantone, secondo Rossi, non smetterà comunque di rimanere attrattivo per gli anziani: «All’interno della Svizzera abbiamo una sorta di specializzazione di tipo demografico che fa sì che il Ticino rimarrà allettante per le sue caratteristiche climatiche e per il costo della vita più basso rispetto alla media nazionale».

‘Parte della popolazione sempre più dipendente dall’intervento dello Stato’

Nonostante la continua denatalità e l’invecchiamento della popolazione, guardando al futuro l’economista non si dice particolarmente impensierito per la tenuta del sistema svizzero, anche se – ammette – le sfide non mancano: «Ci sono delle misure politiche che è necessario prendere per venire incontro alle conseguenze dell’invecchiamento – evidenzia Rossi –. Bisogna considerare che ci sarà una frazione della popolazione sempre più dipendente anche dall’intervento dello Stato. Può inoltre destare una certa preoccupazione pure l’evoluzione delle entrate per le casse pubbliche perché la proporzione dei pensionati, che hanno redditi normalmente inferiori a quelli delle persone che lavorano, continuerà ad aumentare e a un certo momento si potrebbe arrivare a una situazione in cui le entrate dello Stato non saranno sufficienti a coprire i bisogni in continuo aumento». Senza dimenticare che, come recentemente riconfermato, anche i costi della salute e i premi di cassa malati continuano a salire: «Sì, questo è un problema in particolare in Ticino, ma anche per il resto del Paese, che avrà bisogno di trovare delle soluzioni a livello federale».

‘Mesolcina attrattiva per i terreni, Engadina grazie alle case di vacanza’

Quanto all’inversione di tendenza nei Grigioni per cui nell’ultimo decennio sono più le persone che vi si sono trasferite dal Ticino che il contrario, Rossi ipotizza due letture: «Da una parte c’è il fenomeno di trasferimento in Mesolcina, regione che concretamente fa parte dell’agglomerato di Bellinzona. Non di rado chi lavora nella capitale, attratto dai prezzi più vantaggiosi dei terreni, decide di andarvi a costruire una casetta dove si sposta ad abitare con la famiglia. Dall’altra parte ci sono in particolare i pensionati ticinesi più facoltosi che optano per andare a vivere in Engadina nella casa di vacanza comprata qualche decennio fa».

‘I posti di lavoro offerti non corrispondono alla formazione dei giovani’

Per qual che concerne l’esodo dei giovani verso altre regioni, «si tratta della situazione di tutti i cantoni non universitari e di tutte le regioni non universitarie in Europa – rileva Rossi –. Il che significa che l’università ticinese non arresta la fuga dei cervelli. Tuttavia la politica portata avanti dal governo è sicuramente ben ispirata – giudica l’economista –. È giusto puntare sulla formazione dei giovani a livello professionale e accademico. Quest’ultimo ad esempio crea anche dei posti di lavoro all’interno del settore dell’educazione, che ovviamente però non sono sufficienti a occupare tutte le persone che escono dalle nostre università». Senza scostarsi dalle consuete analisi, anche Rossi sottolinea che la situazione locale è in particolar modo imputabile alla conformazione del mercato: «Il Ticino è caratterizzato da salari bassi che non attirano chi possiede una formazione superiore. Il problema è che se i posti di lavoro non corrispondono alle specializzazioni delle persone è quindi evidente che queste debbano andare altrove per svolgere un’attività professionale confacente. Si crea così per il Ticino una perdita di capitale umano – in termini di creatività, capacità manageriali, contributi culturali – che indebolisce anche il potenziale economico del cantone. Quantomeno però, nella maggior parte dei casi, non si tratta di una perdita per la Svizzera».

‘La tendenza cambierebbe se i salari in Ticino aumentassero del 15%’

Per trattenere i “cervelli” in Ticino il Consiglio di Stato sta da anni giocando la carta dell’investire sull’innovazione e la ricerca, che però non sembra dare tutti i frutti sperati. Sono state anche avanzate ipotesi di compensazioni intercantonali per le realtà che formano studenti che in seguito partono – invero difficilmente applicabili – o sgravi fiscali per i profili più formati, ma secondo Rossi sono tutte misure che non riusciranno a modificare la tendenza generale: «Questa cambierebbe se da un lato i salari del Ticino aumentassero del 15%, e se dall’altro ci fosse un’offerta di posti di lavoro a livello di alte qualifiche che corrisponda alla domanda di lavoro dei giovani ticinesi. Ciò che non ci sarà sicuramente a breve termine e per cui lo Stato ha scarso margine di manovra: non può creare lui i tipi di posti di lavoro che mancano. Per cui un’emigrazione dei laureati ticinesi ci sarà sempre, come d’altronde c’è sempre stata». Rossi ricorda l’eccezione di un brevissimo periodo negli anni Ottanta, quando si sono sviluppate le banche: «Solo in quel momento qualche posto in più è stato creato e qualche ticinese in più è rientrato». Si tratta allora di una condizione fisiologica a cui bisogna rassegnarsi? «Direi piuttosto che bisogna prendere coscienza della realtà. Il sistema capitalista presenta una divisione del lavoro che è anche una divisione geografica in cui ci sono regioni con salari più bassi di altre. A meno di cambiare sistema politico e andare verso uno Stato che controlli il mercato, a breve è inimmaginabile che si modifichi questa condizione».

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