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Quando è l’epilessia a unire cane e padrone

La vita di una giovane ticinese e della sua cagnolina, attraverso le sofferenze della stessa malattia

La cagnolina Betty (foto L.M.)

Si dice che i cani somiglino ai propri padroni. Che ricercare noi stessi in loro sia terapeutico. Lo è sicuramente quando ci si rapporta con una grave malattia cronica. L.M., ventenne biaschese studentessa di cure infermieristiche, è epilettica. Da pochi mesi ha adottato Betty, una bulldog francese dal passato segnato da maltrattamenti e sfruttamento, che condivide il suo stesso disturbo. Un rapporto speciale, simbiotico, magico. Oltre i limiti della malattia. Intervistata da ‘laRegione’, ci ha fatto entrare nel loro mondo.

Quando ha scoperto di essere epilettica?

Ho avuto la diagnosi nel 2018, dopo essere stata ricoverata all’Ospedale Civico di Lugano in seguito a una crisi. Attualmente i medici pensano però che io sia sempre stata epilettica, perché ho avuto una nascita un po’ sofferta, con un arresto respiratorio grave e convulsioni febbrili. Sono inoltre nata prematura, a otto mesi, una fase delicata. A questo c’è da aggiungere che nella mia famiglia c’è una predisposizione genetica di base. Già da piccola avevo poi degli atteggiamenti strani, riconducibili alla patologia. Mia mamma mi ha raccontato per esempio che quando si andava al centro commerciale, se c’erano delle piastrelle lucide, che riflettevano la luce, io mi bloccavo, non camminavo. Durante l’adolescenza la malattia si è poi scatenata e sono sopraggiunte le crisi epilettiche.

Cosa significa nella vita di tutti i giorni essere epilettici?

Ci sono molti limiti. Chi ti circonda deve essere a conoscenza della tua malattia, soprattutto in ambito lavorativo. Poi c’è da dire che l’epilessia è ancora un tabù. Noto che spesso, quando una persona ne viene a conoscenza, reagisce con apprensione. Non posso bere alcol perché mischiare il mio tipo di pastiglie con delle bevande alcoliche può farmi stare molto male. Quando vado alle feste devo poi fare attenzione alle luci intermittenti. Se per qualche secondo me ne trovo una davanti, mi giro e abbasso lo sguardo. Io credo che si possa comunque essere felici: se hai questa malattia devi anche saperti adattare, rinchiuderti in casa e precluderti di vivere la vita non è la soluzione.

Lei sta terminando gli studi in cure infermieristiche. Come si concilia un lavoro di questa portata, impegnativo sul piano fisico e psicologico, con questa malattia?

Sono molti gli epilettici attivi nel settore sanitario. Dobbiamo però evitare di lavorare nei reparti di urgenza, come il pronto soccorso o le cure intense. Questo perché il forte stress che si può provare operando in questi ambiti può favorire delle crisi. Quando ho avuto la diagnosi, inizialmente mi è dispiaciuto perché desideravo lavorare per la Rega, e mi sentivo di dover ripianificare il mio futuro. Con il tempo ho però maturato una preferenza per altri reparti, quindi ora non mi pesa più.

Cosa l’ha spinta ad adottare Betty?

Avevo già intenzione di prendere un secondo cane, perché sentivo che mi mancava qualcosa di nuovo nella mia vita. Sapevo però che in famiglia non c’era questa volontà, quindi ho cominciato a fare qualche ricerca da sola, di nascosto, perché ero molto decisa. Curiosando nel sito dell’associazione Forza Rescue Dog, che si occupa del recupero di cani maltrattati e abbandonati in Svizzera e all’estero, ho visto lei. Quel che mi ha colpito maggiormente è che Betty è epilettica, come me. A quel punto ho preso contatto con l’associazione, ma mi è stato detto che trattandosi di un bulldog francese avevano già ricevuto molte richieste. Dunque, in breve, di lasciar perdere. Quando però ho detto, non che lo sono io stessa, ma che ho in famiglia un caso di epilessia e che mi sto formando come infermiera, hanno iniziato a prendere nota. In agosto mi hanno chiamata per dirmi che Betty sarebbe stata mia.

Qual è la storia di questo cane?

Betty è una bulldog francese e viene da Malaga. Il suo passato non si conosce molto bene. Si crede che appartenesse a una famiglia spagnola, che una volta scoperto che era epilettica ha deciso di abbandonarla in strada. Dopo tre mesi, un canile spagnolo l’ha recuperata. È stata trovata piena di dermatiti per via del sole molto forte. Quando poi ce l’hanno portata, il 12 settembre scorso, l’abbiamo fatta visitare da un veterinario qui in Ticino e abbiamo scoperto che non aveva due anni, ma già dieci, e che aveva fatto moltissime gravidanze. Con tutta probabilità veniva sfruttata da questa famiglia per fare una cucciolata dietro l’altra, anche perché attualmente il bulldog francese è una razza molto richiesta e che si compra a caro prezzo.

Questo sfruttamento ha avuto un impatto a lungo termine sulla salute del cane?

Le conseguenze fisiche sono state purtroppo diverse: in primis il nostro veterinario crede che l’epilessia di Betty sia il risultato del grave stress fisico subito attraverso queste gravidanze forzate. È inoltre molto probabile che prima di essere stata abbandonata abbia vissuto costantemente in gabbia e senza possibilità di muoversi liberamente, perché ora ha una displasia delle anche, ossia i suoi fianchi e le zampe posteriori si sono deformati, tanto che non è più in grado di stare seduta, può stare solo in piedi o sdraiata. Essendo stata forzata ad allattare di continuo ha infine sviluppato un tumore alle mammelle.

Come è stato l’arrivo di Betty in Svizzera?

Il giorno in cui l’abbiamo accolta, il 12 settembre scorso, era pelle e ossa, rachitica. Pesava solo otto chili, quando ne avrebbe dovuti pesare 15. Appena arrivata ha fatto moltissime crisi epilettiche. Un po’ sarà stato lo stress del lungo viaggio dalla Spagna, un po’ le pastiglie che prendeva forse non erano perfettamente adatte a lei.

Che tipo di cure necessita un cane epilettico?

Lei prende le sue pastiglie per l’epilessia. Sono le stesse che prendiamo noi epilettici umani, si tratta di barbiturici. Ora le abbiamo cambiate rispetto a quelle che prendeva in Spagna. Sono un po’ più forti e sembra che vada meglio. Come ogni terapia antiepilettica bisogna fare attenzione alle dosi e trovare l’equilibrio giusto. Con un cane, le pastiglie vanno nascoste in mezzo al cibo. Inizialmente Betty se ne accorgeva e le nascondeva in giro, sentiva il cattivo gusto del medicamento. E lì infatti ha avuto qualche crisi. Quando abbiamo capito cosa stesse succedendo abbiamo provato a comprare dei biscottini cremosi per cani, e miscelate lì in mezzo non le sente.

Cosa si fa quando il cane ha una crisi epilettica?

È un po’ come con gli umani. Bisogna metterla nella cuccia o su un telo morbido, per fare in modo che non sbatta troppo la testa. Dopodiché non resta che aspettare che si esaurisca la crisi, magari standogli accanto e dandogli qualche carezza.

Quanto le dà a livello umano avere Betty come animale domestico, piuttosto che un cane qualunque?

Tantissimo. Già quando ho visto le sue foto sul sito dell’associazione ho sentito subito una connessione. È strano da dire ma è stato un po’ come il primo amore, è scattata una chimica speciale. Poi quando ho letto la sua storia di vita ho capito che doveva assolutamente essere mia. Sono l’unica in casa da cui si lascia prendere in braccio, e quando lo faccio mi guarda negli occhi in un modo tutto particolare. C’è proprio una simbiosi tra di noi, probabilmente legata alla malattia che condividiamo. Adesso poi è circa un mese che non faccio crisi, e lei pure. Magari è pura casualità, però non so. Io ci credo.

La realtà cruenta dei canili spagnoli

Stephanie Castiglioni, presidente dell’Associazione Forza Rescue Dog di Lugano, ci ha raccontato meglio il contesto dal quale Betty viene. «Nelle perreras (i canili, ndr) spagnole, se un cane non viene adottato entro ventuno giorni, per legge deve essere abbattuto». In alcune di queste strutture vengono uccisi tra gli 80 e i 100 cani ogni settimana, spiega. «I cani dallo stato di salute precario, come Betty, vengono spesso soppressi entro pochi giorni dal loro arrivo, perché le probabilità che vengano adottati sono alquanto ridotte». Castiglioni commenta infine: «La cosa allucinante è che i padroni stessi sanno a cosa vanno incontro i loro cani quando li lasciano in strada o alla perrera». Una triste realtà dalla quale Betty è stata fortunatamente strappata, trasformatasi in una storia di amore e di speranza.

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