Ticino

'Un anno di protezione dal licenziamento per le neomamme'

Ribaltone in Gran Consiglio: passa il rapporto di minoranza di Dadò (Ppd) e Sirica (Ps). L'iniziativa cantonale del Ppd ora all'esame dell'Assemblea federale

Ti-Press
22 giugno 2020
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Ribaltone in piena regola in Gran Consiglio sull’estensione della protezione dal licenziamento per le neomamme. L’iniziativa cantonale che partirà all’indirizzo dell’Assemblea federale non solo sarà, integrale, quella scritta dal Ppd e ripresa dal rapporto di minoranza redatto da Fiorenzo Dadò (Ppd) e Fabrizio Sirica (Ps) approvato dall’Aula poco fa e che chiede l’aumento a 12 mesi dagli attuali 4 questa protezione. Ma conterrà anche la proposta di compromesso suggerita dalla relatrice del rapporto di Cristina Maderni (Plr) che in Commissione economia e lavoro aveva ottenuto la maggioranza: la possibilità di ridurre, con un congedo non pagato, il tempo di lavoro fino a un massimo del 30 per cento del tempo di lavoro.

Fonio (Ppd): 'Una delle più grandi vergogne della nostra società' 

Un anno invece che i sei mesi proposti da Maderni, insomma. Ribaltone che ha mostrato come abbiano fatto breccia gli argomenti portati dall’iniziativista Giorgio Fonio (Ppd), ad esempio: “Perdere il posto di lavoro per la sola colpa di aver messo al mondo un figlio è qualcosa che non deve e non può trovare spazio nella nostra società”, sostiene. Aggiungendo che “Il 10 per cento delle donne al momento dell’annuncio della propria gravidanza hanno come conseguenza il licenziamento, il 3 per cento si vede recapitare la lettera di licenziamento subito dopo il parto: una delle più grandi vergogne sociali della nostra società è una realtà concreta, non può e non deve continuare ad essere accettata supinamente”. Gli fa eco il presidente cantonale popolare democratico Fiorenzo Dadò, che difendendo il rapporto di minoranza rileva come “sia un’iniziativa doverosa per la parità tra uomo e donna ancora non raggiunta”. E spiega: “‘Nei prossimi anni ha intenzione di avere figli?’ È questa la domanda killer che arriva a molte donne nel colloquio di lavoro: un primo segnale di una discriminazione di genere. In questa epoca di importanti rivoluzioni sociali farcite di grandi promesse e programmi sottoscritti dai politici in merito alla parità, è tempo di intervenire coi fatti per togliere la lama affilata della ghigliottina che pende sulle teste di donne che vogliono avere un figlio”. Rincarando la dose puntando il dito contro “una parte del mondo imprenditoriale incapace di accettare la luce della maternità, che mortifica anche la maggioranza di imprenditori che favoriscono le giovani mamme e le famiglie”.

Sirica (Ps): 'Una situazione incresciosa cui dobbiamo una risposta'. Che arriva

Per il co-presidente socialista Fabrizio Sirica, correlatore del rapporto cui, a sorpresa, ha aderito il plenum del Gran Consiglio, “la situazione è estremamente preoccupante, servono soluzioni e un cambio di mentalità e legislativo. Non sono casi isolati i licenziamenti subito dopo il periodo di protezione, e con la crisi economica le categorie più fragili saranno più colpite, quindi sono da tutelare maggiormente. È una situazione incresciosa cui dobbiamo una risposta, non timido e purtroppo piccolo passo proposto”. Così è stato. Anche grazie a Nadia Ghisolfi (Ppd), secondo la quale “inserire questa protezione ampia è dire un chiaro ‘basta’ a questi tipi di atteggiamenti da parte di certe imprese che guardano unicamente ai profitti” e a Tatiana Lurati Grassi (Ps) che annota come “in Canton Ticino la tendenza a licenziare donne al rientro da un congedo maternità è in costante rialzo: estendere a 12 mesi la protezione crediamo scoraggi il licenziamento, e non comporta alcun costo per lo Stato e i datori di lavoro”. Sostegno al rapporto di minoranza anche dai Verdi, che con Marco Noi dicono che “occorre mandare un segnale forte sul fatto che la maternità e in generale la genitorialità siano qualcosa da proteggere e tutelare”, dalla Mps Simona Arigoni Zürcher, dalla comunista Lea Ferrari e da Tamara Merlo per Più donne. 

Niente da fare per il rapporto di maggioranza

Con 48 contrari, 29 favorevoli e 2 astenuti è uscita sconfitta la linea dettata da Cristina Maderni (Plr), quindi. La quale nel suo intervento ha difeso l’estensione a 6 mesi invece che 12 parlando di “rischio che un aumento più esteso possa scoraggiare l’assumere una donna al posto di un uomo a parità di competenze” e di “insostenibilità da parte delle aziende: in Svizzera il 90% delle imprese ha meno di 10 addetti, sarebbe difficile organizzare sostituzioni troppo lunghe”. Con lei si schiera Sabrina Aldi (Lega), secondo cui “le donne devono essere tutelate, le madri a maggior ragione. Ma non è creando norme su norme, divieti, mettendo paletti ai datori di lavoro che si aiutano le madri lavoratrici”. La vera tutela per la deputata leghista passa “dalla protezione del mercato del lavoro indigeno, dove donne e uomini non devono temere di perdere il posto di lavoro perché sostituiti dai frontalieri”. Stroncatura di entrambi i rapporti da parte dell’Udc. Edo Pellegrini pur “capendo le preoccupazioni degli iniziativisti, ci mancherebbe”, dice che “il periodo di protezione attuale (quattro mesi, congedo maternità di 14 settimane compreso, ndr.) permette a mamme e aziende di organizzarsi, se viene allungato aumentano probabilità che una donna non venga nemmeno assunta per non rischiare di provocare problemi”. Niente da fare. Forte di 44 sì, 33 no e 4 astensioni a Berna andrà il rapporto di minoranza. Rivisto e corretto con i suggerimenti del rapporto di maggioranza. Un ribaltone in piena regola, si diceva.

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