Scienza

La nuova scienza abbatte ogni barriera tra discipline

Il professor Federico Capasso di Harvard: 'Verso un nuovo rinascimento. Non importa se è fisica o nanotecnologia se si risolve un problema'

Il professor Federico Capasso (Foto: Eliza Grinnell , Harvard University)
5 aprile 2018
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«Le barriere tra le discipline stanno cadendo: stiamo andando verso un nuovo rinascimento scientifico e servono nuove università. Agli studenti dico sempre di essere curiosi, di farsi delle domande, ma soprattutto di innamorarsi di un problema da risolvere e applicarsi nel farlo». Federico Capasso è uno degli scienziati più citati nel campo della luce. Teorico, ma sopratutto pratico. Perché – ci dice al telefono da Boston – scienza e tecnica non sono due mondi a parte.

Nato nel 1949 a Roma, insignito del premio Balzan 2016 per la fotonica applicata, per decenni è stato ricercatore ai Bell Laboratories. Dal 2003 è professore ordinario di fisica all’università di Harvard, negli Stati Uniti. Sua la paternità del laser a cascata quantica – che sta già cambiando numerosi campi della ricerca (come ad esempio quella sui mutamenti climatici) – e le lenti piatte, che promettono di rivoluzionare l’elettronica di consumo: dagli smartphone alle fotocamere, e non solo. È lui uno degli ospiti principali di ‘#digitale21’, la tre-giorni organizzata dalle Accademie svizzere delle scienze dal 11 al 13 aprile al campus Supsi di Trevano. Tema: come la digitalizzazione sta cambiando la formazione e il lavoro nel 21esimo secolo (programma e iscrizioni su www.digitale21.ch).

«La natura non sa cos’è la chimica, la fisica e la nanotecnologia: sono distinzioni che ci siamo inventati per organizzare il sapere e per poterlo insegnare. Sono comparti artificiali, introdotti dalle università – rileva Capasso –. Non fraintendiamoci: sono serviti moltissimo, ma oggi le cose sono cambiate: gli studenti, gli scienziati e i ricercatori si devono concentrare su domande significative dal punto di vista tecnologico e scientifico, senza più chiedersi se si tratta di nanotecnologia, di fisica o di chimica. In un mondo che si muove a velocità folle, se ci si specializza troppo, se ci si focalizza unicamente su un campo, si rischia di perdere opportunità molto interessanti».

‘Dev’essere come innamorarsi’

Fare scienza nel ventunesimo secolo deve essere come innamorarsi, rileva il nostro interlocutore: «Bisogna appassionarsi a un problema da risolvere e bisogna alimentare questa passione giorno per giorno, anno per anno. Lo studio sistematico è essenziale. Per questo agli studenti consiglio passione e gradualità».

Passione, gradualità, ma anche specializzazione, sguardo più ampio e curiosità: «È necessario diventare degli ottimi professionisti in un campo specifico, ma anche mantenere uno sguardo su altre discipline. La lettura è un punto fondamentale in questo senso. E poi ci vuole curiosità. Mi capita di arrabbiarmi con i miei allievi quando constato che io, a 68 anni, continuo a pormi quesiti mentre loro, che hanno molta più energia di me, non lo fanno. È necessario essere sempre curiosi, anche se non è facile. Del resto nulla è facile, se uno vuole andare lontano».

Essere curiosi, dunque. Anche a costo di rimettere in discussione saperi già acquisiti. Capasso ne sa qualcosa: «Da quattro anni tengo pure il corso di fisica per gli studenti del primo anno e a volte mi accorgo che l’analisi di concetti che pensavo di aver ormai ampiamente acquisito fa sorgere in me nuove domande».

Dal laser alle lenti nanometriche

Con la sua filosofia di lavoro, Capasso è diventato uno degli scienziati più noti nel campo dell’ottica e della fotonica. Dapprima con il proprio laser a cascata quantica, il primo a poter essere ‘sintonizzato’ su una o più specifiche lunghezze d’onda. «All’inizio volevo usare questa ‘cascata’ come  un rilevatore, ma poi ho invertito la logica ed è nato il laser, che fino a qualche anno fa era conosciuto come il mio contributo maggiore al campo», annota. Le applicazioni della sua nuova tecnologia si sono rivelate ben presto innumerevoli. «Su questa tecnologia ho fondato la compagnia Eos Photonics, che ora è confluita nella Pendar Technologies. L’obiettivo commerciale è quello di produrre un sensore molto compatto, ‘sintonizzabile’, che riesca a rivelare in sequenza tutta una serie di composti cimici». Le applicazioni vanno dalla ricerca scientifica fino all’individuazione a distanza di composti cimici: un impiego interessante ad esempio nel campo della sicurezza e della lotta al terrorismo.

C’è poi lo studio, attualissimo, dei gas ad effetto serra. «Uno dei miei primi collaboratori fu il professor Jim Anderson, chimico dell’atmosfera, tra i promotori del protocollo di Montreal per il buco nell’ozono – ricorda Capasso –. Fu lui a utilizzare i nostri laser nello studio dell’effetto serra in regioni poco accessibili. A suo dire il nostro apparecchio è stato rivoluzionario perché gli ha permesso di mappare in modo dettagliato e preciso – nell’ordine di parti per miliardo – l’atmosfera. E questo è un prerequisito fondamentale per cerare modelli climatici accurati».

La scoperta che però promette di cambiare i nostri giorni quotidiani è quella delle lenti piatte, ovvero il fatto che – distribuendo su una superficie delle nanostrutture secondo un certo disegno – sia possibile ricreare l’effetto di una spessa lente di vetro con un sottilissimo strato di materiale. «Le lenti piatte nacquero proprio da una richiesta di Anderson, che voleva un laser molto collimato senza però dover utilizzare il vetro: pesava troppo ed era troppo grande. Così, con uno studente, testammo una sorta di lente a contatto da montare sul nostro apparecchio. Ci riuscimmo. Nel 2011 creammo la prima lente piatta che funzionava solo con nell’infrarosso. All’atto pratico era piuttosto inutile, ma fu il primo passo. Dopo essere stati contattati da Google, che ci fece notare come una lente come la nostra sarebbe stata producibile in modo analogo a quanto avviene con i chip, ci buttammo sullo spettro visibile. Il risultato fece la copertina di Science nel 2016. Da allora le richieste da parte delle più grandi compagnie software e hardware del mondo non si sono più fermate».

Questo perché la lente piatta rivoluziona di fatto non solo le leggi dell’ottica, ma soprattutto il modello di business di un intero campo: «Prenda il suo telefono – esorta il professore–. Davanti alla fotocamera sono state poste sei o sette lenti. Si tratta di oggetti costruiti secondo la tecnica inventata da Zeiss nel 1800. In futuro tutto questo non sarà più necessario: si produrranno le lenti con le stesse tecniche del sensore. Invece di sette cristalli vi saranno due o tre strati; tutto risulterà estremamente sottile. Cambieremo le regole del gioco, quelle che resistono dall’Ottocento». E c’è di più: «Grazie a questa tecnica è possibile ottenere immagini più nitide, dal momento che si può tenere conto anche della polarizzazione della luce. Le applicazioni sono innumerevoli. Per esempio nelle auto a guida autonoma, dove ogni dettaglio è essenziale per permettere al computer di decidere cosa fare. Oppure negli endoscopi medici».

Insomma, siamo nell’epoca della luce... «Lo dico sempre ai miei studenti: non c’è una disciplina dove non conti l’ottica: dagli smartphone all’individuazione delle onde gravitazionali. L’ottica è un passaporto d’entrata in ogni campo della scienza».