L'iniziativa è partita da Rebbio e don Giusto della Valle e coinvolge anche l'Associazione Mendrisiotto regione aperta
Il fenomeno è antico quanto l'uomo (per chi avesse dei dubbi: lo dice anche la Treccani). Migrare, in effetti, è insito nei popoli. E oggi come ieri ci sono uomini, donne e bambini che dal sud del mondo si sono messi in cammino, nel tentativo di sfuggire a guerre, fame, terre divenute ormai inospitali. Una popolazione in movimento che incrocia anche le rotte europee e passa pure attraverso i nostri confini geografici. Sono i migranti in transito, gli stessi diretti verso il nord dell'Europa e che se la devono vedere con le frontiere e gli accordi tra gli Stati (come Dublino) Chi, come gli attivisti dell'Associazione Mendrisiotto regione aperta o don Giusto della Valle, a Rebbio, si spendono in prima persona per dare loro voce e una mano, non hanno dubbi: la libertà di movimento, di immigrazione è scritta nella pietra miliare della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. Un postulato che spesso e volentieri, però, viene messo in discussione.
Basta poco, del resto, per rinfocolare timori e polemiche, come si è visto di recente con l'annuncio dell'arrivo a Rovio di un quarantina di richiedenti l'asilo. È nata così l'urgenza transfrontaliera di unire le forze, da un confine all'altro, da una realtà solidale all’altra. Cuore della mobilitazione proprio Rebbio e la parrocchia di don Giusto, ovvero il luogo dove si è iniziato a tessere i contatti. Ma è stato solo il primo passo. Da un po’ si sta lavorando, infatti, a quella che è già stata ribattezzata come la ‘Carta di Rebbio’ e che si propone di sancire, nero su bianco, i diritti dei migranti in transito.
Alla mensa di don Giusto ci sono sempre un posto e un piatto in più. Ogni giorno, d'altro canto, c’è chi bussa alla porta della Parrocchia. E tra loro vi sono anche cittadini stranieri di passaggio. «Arrivano dai Balcani o approdano via mare: alcuni – ci conferma il parroco di Rebbio – vogliono restare in Italia, in genere però aspirano piuttosto a raggiungere altri Paesi europei. Tra chi tenta di andare oltre la frontiera ultimamente vi sono soprattutto siriani, afghani, marocchini. E la Rete di solidarietà per la libertà di movimento degli stranieri si preoccupa di assicurare una prima accoglienza, un appoggio logistico, di fornire informazioni utili, visite mediche se necessario». Uno degli intenti è altresì quello di permettere ai migranti di muoversi in sicurezza, scongiurando il rischio di finire in mano a trafficanti di esseri umani o imbroglioni. Ecco perché, ci fa presente don Giusto, è importante comunicare fra volontari e associazioni (tra cui appunto Mendrisiotto regione aperta), da Roma a Milano, da Como al Ticino, alla frontiera con la Francia.
«Soffermadosi sulla traiettoria Milano-Como-Ticino, non vediamo grossi numeri di richieste d’aiuto. L'impressione – ci dice don Giusto – è che chi vuole passare ce la fa con i propri mezzi. Chi vuole andare verso nord, la Germania (che sembra non stia respingendo più di tanto i migranti) ad esempio, trova la via per andarci. O tramite parenti, che vengono a cercarli qui lungo la frontiera, o mettendosi nelle mani dei passatori o tentando di oltrepassare il valico con il treno». Non a caso, sul lato svizzero, anche nelle statistiche dell'Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc) emerge come la gran parte delle persone utilizza la rotaia.
Sul versante ticinese Mendrisiotto regione aperta è pronta a fare la sua parte. A oggi, però, annota Willy Lubrini, uno dei punti di riferimento dell'Associazione, ci si è imbattuti in un solo caso. «Era un ragazzo di 15 anni partito dal Kurdistan e giunto sino a Rebbio, proprio grazie all'aiuto ricevuto dalla Rete, e lì si è ricongiunto con il padre, arrivato a prenderlo dal nord del'Europa», ci racconta Lubrini. La spinta a fare di più, comunque, è forte. «Dalla primavera scorsa a Milano è stato aperto un centro per l’accoglienza temporanea dei migranti: lì possono trascorrere un paio di notti, rifocillarsi, lavarsi, per poi ripartire. Ci piacerebbe, come Associazione – ci mette a parte Lubrini –, creare una sorta di rifugio, come si fa in montagna, per chi è in transito. Un punto riconoscibile e sicuro». Così da evitare, ci fa capire, che si ripeta quanto successo a Youssouf Diakite, un ragazzo di 20 anni del Mali rimasto folgorato nel 2017 sul tetto di un treno, dove si era nascosto per passare il confine, o a Mohammed Kouji, un cittadino marocchino travolto da un convoglio a Chiasso nel 2018. A ricordarci la loro tragica fine oggi ci sono le loro tombe, a Balerna, dove il 2 marzo scorso sono stati ricordati su iniziativa di Como senza frontiere.
Per chi opera al fronte della realtà migratoria, quindi, la Carta di Rebbio vale un manifesto sulla libertà di movimento e rappresenta una urgenza, tanto da autodenunciare la propria posizione contraria alla ‘Fortezza Europa’ e spingersi sino alla pratica della disobbedienza civile. Una aspirazione solidale, rilanciamo a don Giusto, che si scontra, in ogni caso, con governi e forze politiche, che tendono piuttosto a chiudere i confini. «Quella della chiusura delle frontiere è una vecchia idea del passato – ci risponde il parroco di Rebbio –. Restando in Italia, nel 2024 sono arrivate via mare 53mila persone, meno della metà dell’anno precedente: di fatto numeri bassi. Soprattutto se si pensa che a causa della denatalità si ha bisogno di 300mila persone ogni anno. E questo è uno dei motivi per cui io dico: accogliamo. L'intento è anche dare una mano all’Italia del futuro, aiutando questi bambini a crescere bene, a trovare un lavoro, una casa e farsi una famiglia, si dà loro la possibilità di essere forza propulsiva da ogni punto di vista: culturale, sociale, politico. È un servizio civico di responsabilità nei confronti del Paese».
Don Giusto guarda anche alla realtà delle cose, anzi, all'economia reale. «Le aziende oggi se non trovano i migranti, non trovano nessuno per certi lavori, nei cantieri, negli ospedali o nelle case di riposo. Infatti, ci tempestano di richieste e ci dicono di essere disposti a pagare pure la formazione pur di trovare manodopera. Certo, anche le associazioni di categoria dovrebbero darsi da fare. Come le amministrazioni locali, che non ristrutturano le case popolari per non mettere a disposizione volutamente spazi comunali destinati all'accoglienza. Perché non porta voti. E pensare che solo a Como si contano più di 300 appartamenti vuoti perché non a norma, nel nostro quartiere 80. In Parrocchia, invece, tutti i giorni c’è una famiglia che viene a chiedere casa. Tutti i giorni. Non la trovano perché non gliela danno: un'ingiustizia gravissima. E quando noi denunciamo queste cose, poi subiamo delle ritorsioni».
Tornando alla Rete di solidarietà, nella Carta di Rebbio si intende dichiarare di essere pronti anche alla disobbedienza civile: è questa la risposta? «Non è disobbedienza, laddove l’uomo, la persona, quindi i diritti non vengono messi al centro: li si mette al centro. E se va contro la legge, prevale il diritto», chiarisce don Giusto. In effetti, c'è già chi l'ha praticata ai confini dell'Europa la disobbedienza civile e due Corti gli hanno dato ragione. A Rebbio le storie di Cédric Herrou e dei coniugi di Trieste Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir le conoscono bene, entrambe finite sui giornali nel 2021.
Herrou, un agricoltore, difensore della causa dei migranti e accusato di aiuto all'entrata, alla circolazione e al soggiorno irregolari di stranieri nella regione delle Alpi Marittime, in Francia, dopo quattro anni di battaglie legali si è visto dare ragione dalla Corte di cassazione, alla quale si era rivolto. A sua volta la coppia triestina di pensionati - lei giudice onorario preso il Tribunale dei minori -, fondatrice della ong Linea d'Ombra che al confine con la Slovenia si prende cura dei migranti in transito, ha visto cadere le accuse (anche pesanti) mosse nei suoi confronti: il Tribunale di Bologna, lette le carte, ha infatti emesso l'archiviazione.