Tiziana Grignola, già presidente dei commercianti, ci racconta la Chiasso di venticinque anni fa e il futuro della carta
Ha consegnato le chiavi lo scorso 31 gennaio, «un gesto che ho inteso come simbolico ma anche di strappo». Da allora Tiziana Grignola, per 25 anni prima socia poi titolare della tipografia ‘Progetto Stampa’ a Chiasso, è in pensione: «Ho già letto tre libri – ci racconta la sua ‘nuova’ vita –. Impagabile è ora svegliarmi e prendermi il mio tempo… togliermi di dosso la responsabilità dell’azienda». Ceduta alla Tipo Print di Mendrisio, «con l’auspicio che l’azienda possa continuare a essere un punto di riferimento nella regione, in particolare a Chiasso, consapevoli che la stampa e il settore in generale hanno vissuto, in pochi anni, un cambiamento epocale».
Come è avvenuto il suo esordio?
Rocambolesco. Eravamo quattro soci, in precedenza dipendenti della storica, e poi scomparsa, tipografia Tettamanti di Chiasso. Essendo uno di noi grafico, io giornalista alla rivista ‘Oltre frontiera’ e impegnata nel marketing, e due stampatori-legatori decidemmo di lanciarci nell’avventura di aprire una nostra attività. Dopo essere riusciti a racimolare il capitale iniziale abbiamo comprato sulla fiducia e a rate i macchinari per la stampa, piuttosto vecchiotti, da un anziano signore in Italia. Finanziariamente sostenibile, ma il rovescio della medaglia era che quando servivano dei pezzi di ricambio dovevamo andare a cercarli ovunque… in ogni caso è stato un periodo bellissimo della nostra vita! Tanta fatica, non si contavano le ore di lavoro e l’impegno era costante, ma col tempo i nostri sforzi sono stati ripagati. Non mancavano soluzioni creative, ricordo che avendo bisogno di pesi sotto cui mettere per esempio i block-notes in attesa che la colla si asciugasse, e non potendoci permettere una pressa, mi capitava di recuperare placche di marmo in un deposito di scarti di un marmista in zona Sottopenz. Non riuscendo però a sollevare le grandi placche avevo afferrato due vecchie, ma più leggere, lapidi! Oppure accadeva di appendere sullo stendino portato da casa, con le mollette da bucato, le pellicole ad asciugare! Ripenso sempre a quel tempo con un sorriso e un briciolo di nostalgia.
La sua è stata una corsa contro il tempo, non è così?
La tecnologia è avanzata velocissima. Quindi in un attimo ci siamo ritrovati a mandare l’ordine dal computer direttamente sulla macchina. Positivo il fatto che in breve tempo abbiamo creato un prezioso giro di clientela. Credo che, essendo io di Chiasso e avendo tantissime conoscenze, il processo di fidelizzazione sia stato quasi naturale. Il modo di gestire la tipografia, aldilà ovviamente delle competenze professionali, ha contribuito a trasformarla quasi in un luogo d’incontro.
Come è stato il suo rapporto con la clientela?
Oltre a un’ampia cerchia di clientela privata abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per le associazioni no-profit e di sostegno per la cultura. La tipografia era un posto dove andare, cosa che oggi non esiste più. Per tanti anni è stato così. All’inizio eravamo davanti alla Trattoria della Zocca, dove accanto c’era un canapaio. Un giorno arrivando in ufficio mi sono ritrovata un dispiegamento di polizia che mi aveva fatto credere a un fatto di sangue. Invece buttavano giù dal primo piano le piante di canapa su questo grande camion posteggiato sotto e verso il quale guardavano increduli dei ragazzini. Avevamo le porte adiacenti e in quegli anni c’era un via vai tale che il loro campanello continuava a squillare. A me piaceva molto questo ambiente condiviso, era lo specchio della vita della nostra cittadina. Sono poi sempre stata socia di tantissime associazioni, dalla Viscom (l’associazione padronale dell’industria grafica svizzera, Ndr), dove sono stata la prima donna a entrare in comitato a Berna, e ho così intessuto rapporti di collaborazione e fiducia con tanti colleghi. Membro di comitato della Società commercianti, degli amici del max.museo, di Apec, del Parco delle Gole della Breggia, del Kiwanis Club e altro ancora. Contatti preziosi che si sono allargati quando, con un socio esterno, abbiamo acquisito ‘l’Almanacco di vita chiassese’, diventato poi ‘Annuario del Mendrisiotto’. Il nostro tentativo di resistere con l’informazione cartacea.
Chiasso non era certamente quella di oggi…
Era un bel periodo per Chiasso, cittadina di confine molto vivace. E come tipografia siamo sempre stati legati al territorio e parte della comunità. Il periodo delle votazioni, per dirne una, è sempre stato molto intenso e non solo per gli stampati. Quante discussioni e apprensioni e previsioni sui risultati hanno avuto come sfondo il tavolo della tipografia, mentre si beveva l’aperitivo! Stampavamo infatti per tutti i partiti, non solo di Chiasso, ma di tutto il Mendrisiotto. Dovevamo stare attenti affinché i candidati non si incontrassero, a quei tempi la politica era più vera, fatta di persone e di ideali diversi e poteva capitare che ci fossero… tensioni. Abbiamo avuto sempre anche il sostegno dell’amministrazione comunale che ha da subito considerato la tipografia un referente di fiducia. Ricordo ‘Re-state a Chiasso’, iniziativa nata con l’allora sindaco Moreno Colombo, dove insieme ai responsabili dei vari servizi e delle associazioni si facevano le telefonate e si trovavano gli sponsor, si decideva il programma degli eventi e il cartellone da stampare era pronto. Certo ci sta, è cambiata la società ed è cambiata anche Chiasso, non è più quella che era. A volte penso di essere una memoria storica di quello che si è fatto a Chiasso negli ultimi 25 anni. Non solo a livello comunale, ma per tanti altri enti e associazioni culturali e sportivi. La mia tipografia, insomma, era come una casa.
Torniamo alla tecnologia, quali sono stati i punti di forza ma anche le difficoltà?
In realtà siamo come i maniscalchi negli anni ’50, che, seppur ancora presenti rappresentano oggi un mestiere di nicchia. La nostra ditta era già ben aggiornata e bisogna pensare che allora non erano in molti ad avere questa ampia disponibilità tecnica. Pian piano però la digitalizzazione ha preso il sopravvento, il rinnovo del parco macchine era troppo oneroso e presto abbiamo capito che era un settore che avrebbe avuto bisogno di grandi investimenti per poter andare avanti. Guardare a una conduzione familiare che giustificasse un ulteriore sforzo attraverso un’ottica imprenditoriale precisa, avrebbe avuto forse un senso, ma nessuno di noi soci aveva figli interessati.
C’è un lavoro che le è rimasto nel cuore?
Ce ne sono diversi: penso al centenario dell’Fc Chiasso, il primo grande lavoro che abbiamo realizzato – ed eravamo spaventatissimi – curato da Ruggero Glaus e Luca Ortelli. Ho anche molto amato l’editoria: piccoli preziosi libri, curati in ogni particolare. Poter conoscere e lavorare con gli scrittori, spesso esordienti, mi ha sempre affascinato. Per citarne alcuni, il romanzo ‘Alice delle traveggole’, sempre di Glaus, andato esaurito in tre mesi, i libri di Orlando Casellini o di Gilberto Bossi, voci che raccontano la storia del nostro territorio. Mi sono anche innamorata di un romanzo che non ha mai venduto una copia… Ci sono stati poi libri istituzionali che hanno contato molto per me e per la tipografia. Il volume ‘I fatti di Chiasso’, realizzato per il Comune e in assoluto la più bella avventura che mi ha insegnato molto. Un altro bellissimo progetto è stato quello dedicato a don Willy, con l’allestimento della mostra a tema. Poi il libro della Società federale di ginnastica, la storia degli Urani di Chiasso o di Sport Insieme fino ai cataloghi d’arte. Abbiamo lavorato con studi grafici importanti, facendo del nostro meglio per curare ogni particolare. Sono state tutte esperienze appaganti che porterò per sempre nel cuore.
Perché dunque lasciare?
Una volta dissi a mia figlia che se questo momento fosse arrivato vent’anni fa sarei andata avanti a lavorare come fanno tanti “vecchi” nelle loro aziende. Oggi non sono pronta a un vero cambiamento, perché la società è cambiata in primis. Quello che potevi permetterti di fare vent’anni fa, come chiedere un supporto a una banca, oggi non esiste più, perché il mondo girava in un altro modo, i rapporti erano personali, basati sul rispetto e sulla fiducia reciproca. Se fossi rimasta sarei finita per essere ‘fuori tempo’. In secondo luogo, perché riconosco che le nuove generazioni vanno troppo veloce. Non avevo più voglia di investire il mio tempo e la mia energia per stare al passo. È stata dunque una scelta precisa e mi sono detta “o qualcuno ritira la tipografia o altrimenti la chiudo”. Fortunatamente ho trovato chi la porterà avanti. Ho lasciato un’eredità, adesso il tempo farà il suo…
Quale il futuro della carta a suo parere?
La carta non morirà mai e, anzi, mi aspetto un colpo di coda. Soprattutto in risposta a questa costrizione digitale in ogni ambito della vita quotidiana: non trovo giusto, infatti, che per fare un biglietto del treno devo utilizzare lo smartphone e non posso accedere a uno sportello. Capisco la necessità di una trasformazione ma non a questo ritmo forsennato... Ammetto al contempo che verosimilmente la carta non rivestirà più il ruolo fondamentale del passato. Penso a semplici necessità quotidiane, dai pagamenti con le polizze di versamento, alla corrispondenza che avveniva solo in forma cartacea, lettere e buste per intenderci. Oggi la formula della comunicazione con il codice QR e la posta elettronica consentono in un attimo di accedere a qualsiasi informazione. Sono però un’inguaribile romantica e credo che la carta continuerà a suscitare emozioni. Penso al piacere di avere tra le mani un libro, una rivista accuratamente confezionata, un semplice biglietto da visita o un invito stampati su una carta pregiata. Per più di vent’anni la Progetto Stampa ha stampato e regalato ai suoi clienti un’agenda, che andava a ruba, a dispetto dell’elettronica! Anche vero che a un giovane non consiglierei più di aprire una tipografia. Lo indirizzerei piuttosto al mondo della grafica, del digitale o della comunicazione visiva, che avranno un’evoluzione importante. Intelligenza artificiale permettendo…