laR+ Mendrisiotto

A Muggio si frigge... la tradizione gastronomica

Nemesio Cereghetti ci racconta l’importanza di una ricetta anche per l’aggregazione di una regione discosta come una valle

I preparativi
7 febbraio 2025
|

Sono quasi vent’anni che Nemesio Cereghetti tramanda a Muggio una tradizione che affonda le sue radici a oltre un secolo fa: la ricetta dei raviöö da Carnevaa, «rigorosamente in dialetto» come lui stesso ci invita a pronunciare. Ottantacinque anni, già presidente della Pro Valle per un trentennio (ha lasciato nel 2014), Cereghetti è considerato una figura storica nella preparazione di quello che è tornato a essere un immancabile piatto nel mese dei coriandoli e del divertimento. Con la moglie Ivana, oltre a festeggiare i 60 anni di matrimonio il prossimo 8 maggio, ne ha sfornati (ma sarebbe meglio dire fritti) a migliaia.

Una telefonata alla settimana

«Sì, in effetti, sono un punto di riferimento. Ogni settimana ricevo almeno una telefonata da chi vuole raccogliere informazioni in merito alla ricetta o al procedimento – ci dice con una punta di giusto orgoglio –. Ho iniziato quando facevo parte dei Canterini e vi era necessità di raccogliere fondi per le trasferte. In quegli anni erano ormai pochi gli anziani che preparavano i raviöö, un dolce tipico del periodo di Carnevale, prodotto interamente in casa e mai venduto da alcun pasticciere. Così mi balenò in testa l’idea di prepararli, non solo per mantenere una tradizione ma per venderli e ricavarci qualcosa per le iniziative del coro. Fu subito un successo».

Oggi, sciolti i Canterini e nato il Gruppo Raviöö da Carnevaa della Valle di Muggio, Nemesio continua a mettere le mani... in pasta. E venerdì 7 febbraio, dalle 9 nella Casa parrocchiale di Muggio, sarà presente alla giornata di confezionamento e cottura: «Sono squisiti al palato perché sono dolci e fatti manualmente. Posso dirmi un esperto tramandando la tradizione familiare, prima con mio padre, poi con mia suocera e successivamente con mia moglie. Negli anni ho fatto diverse prove con mio fratello, affinando ingredienti e preparazione, provando, modificando le dosi e rivedendo la ricetta fino al prodotto di oggi che piace e funziona benissimo».

Importanti i numeri: «Il mio compito è quello di insegnare soprattutto alle nuove persone che si presentano. L’impasto viene fatto il giovedì sera, mentre l’indomani si cuociono, fino a metà pomeriggio, circa 2’000 ravioli, poi venduti alla popolazione il sabato».

Mix di sapori dolci e salati

Molti gli ingredienti. Un mix di sapori che sfociano nell’inconfondibile raviolo vallerano. Al loro interno, con sorpresa, anche il formaggio: «Non era così consueto lo Sbrinz, anzi una volta non era neppure questo il tipo di formaggio utilizzato ma la formaggella che facevano in Valle di Muggio i contadini; oggi non producendolo più si è ripiegato sullo Sbrinz perché tiene bene l’impasto. Se per la pasta abbiamo bisogno di farina, burro, sale e acqua con il successivo riposo di una mezz’ora, per il ripieno troviamo un tripudio di elementi: pane raffermo, tavolette di cioccolato fondente, latte, zucchero, uva sultanina, pinoli, zucchero vanigliato, grappa, scorza di limone non trattato, Sbrinz appunto e uova. Il tutto viene lavorato come un salame e infine tagliato in pezzetti di cinque centimetri». Cereghetti per questo ha ideato uno specifico misurino: «Una volta presa la mano i miei raviöö pesano fra i 48 e i 52 grammi».

Di generazione in generazione

Nemesio Cereghetti è, quindi, un dispensatore di tradizione. Uno dei suoi figli e tre nipotine ne hanno condiviso la manualità e il sapere, del resto non è geloso della ricetta: «Sono contento diversamente di aver riproposto questo dolce tipico, e vedere che altre persone imparano con gioia a farli non mi può che far molto piacere. Queste usanze alimentano la volontà di non dimenticare le nostre tradizioni gastronomiche ma sono soprattutto un’occasione di incontro, di animazione di un territorio profondamente mutato, a cominciare dal pericolo di spopolamento – rimarca Nemesio Cereghetti –. Io stesso ho contribuito a riprendere con la tradizione del suono delle trabaccole quando il Venerdì santo non suonano le campane. Ci troviamo fuori dalla chiesa e facciamo il giro del paese urlando ‘E l’è il misdì, chi ga mia voja da mangià che stagan insci’, è mezzogiorno chi non ha voglia di mangiare che resti così…».